Il senso della bellezza: quando l’arte incontra la scienza
Quante cose possono avere in comune una legge della fisica e un quadro di Paul Gauguin? Quanto si può spingere al largo la ricerca scientifica e quanto quella artistica? E quale delle due si avvicina di più all’obbiettivo preposto?
Domande che sono più che approfondite nel nuovo documentario italo-svizzero “Il senso della bellezza”, diretto da Valerio Jalongo.
Con la sua esigua durata di 75 minuti, il documentario cerca di avventurarsi nei diversi ma simili percorsi che compiono arte e scienza.
Sono passati quattro anni dalla scoperta del bosone di Higgs (la molecola di Dio), da parte degli scienziati del CERN ed ora sono pronti ad un nuovo grande esperimento. L’infinitamente grande ed immaginabile si fonde nell’infinitamente piccolo in quello che è un viaggio verso un nuovo mondo invisibile, “bello” sia dal punto di vista scientifico che artistico. Durante la visione del documentario, le nostre guide virgiliane saranno artisti e scienziati che, con i loro strumenti e metodi, ci aiuteranno a capire come comprendere e scoprire quella che è l’energia vitale e creatrice dell’universo. In sintonia con loro, la macchina da presa segue e danza insieme allo spettatore in un viaggio fatto di dettagli, di alberi e gocce d’acqua, di gigantesche macchine e gessetti che tracciano misteriose formule. In questo senso, la visione lucreziana o eracliana della natura si fonde con quella di scienziati come Higgs od Englert.
La forza delle immagini
Grazie anche alla fotografia di Alessandro Pesci e Leandro Monti, il viaggio interpretato dallo spettatore si fa più colorato, più variopinto e più approfondito mostrando l’ordine e il disordine che governa sia il cosmo ma anche un quadro espressionista. Come se fosse un’opera di Land Art, ci viene mostrato l’acceleratore di particelle, grandi tubi metallici mixati a performance, quadri e video arte. In effetti, la grandezza di questo prodotto audiovisivo è proprio la commistione di diversi linguaggi: dall’intervista al materiale d’archivio, passando per VideoArt e documentario paesaggistico. Grazie a questa unione, è facile individuare la grande metafora che sta dietro ad ogni parola od immagine mostrata: c’è solo un unico modo per guardare la realtà e perseguire la verità.
“L’armonia invisibile è una sfera perfetta e incontaminata. Quella visibile, invece, si deforma continuamente sotto il pesodella realtà.” Eraclito
Partendo dal fatto che siamo umani, per quanto possono essere diversi sulla carta i metodi di ricerca, tutto sembra combaciare e voler dire la stessa cosa. Per questo mentre si guada il film ci si riesce ad emozionare mentre un simpatico scienziato orientale sorride o scrive con il gessetto un’equazione sulla lavagna più di come si potrebbe fare di fronte ad un film romantico. È la scienza che è romantica, e bella.
Qual è il senso della bellezza?
Grazie ad una scansione in nove capitoli, ci si avvicina sempre più al cuore del documentario, alla ragione ed al senso di tutto: l’indagine e l’immaginazione al seguito della bellezza. Cos’è la bellezza? Dei numeri e delle incognite, segni freddi e alla superficie amorfi e neutri, sono belli. Inutili certe volte. Questa macchina, si dice nel film riferendosi all’accelleratore di particelle, è inutile. Come la poesia, come un tempio, non è utile nel senso pratico, ma cerca risposte a domande insite nell’uomo.
Commistione di arti e linguaggi
Come se stesse scorrendo un film di Terrence Mallick (si guardi The Tree of Life) o di Stanley Kubrick (2001: Odissea nello spazio), Il senso della bellezza ti incanta grazie a piogge di immagini e movimenti, presi da numerose opere d’arte contemporanee. Si prendano ad esempio The Weather Project della star Olafur Eliasson, la danza delle particelle dello scienziato artista David Glowacki, l’interazione tra onde sonore e acqua di Alexander Lauterwasser, le esperienze cinetiche di Paul Prudence, la prefigurazione del mondo quantico nelle fluttuazioni create da Markos Kay, le installazioni umane di Antony Gormley, gli ambienti immersivi di Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand, le esplosioni elaborate da Fabian Oefner, le sequenze di design 3D di Robert Hodgin, a cui si devono le immagini finali, la ricerca sul suono di Carla Scaletti, le ambientazioni spaziali di Charles Lindsay e le fotografie di Michael Hoch.
Considerazioni finali
Nota di merito va alla colonna sonora, composta da Maria Bonzanigo e Carlo Crivelli, coerente ed enfatizzante fino alla fine. Ecco forse un piccolo problema del percorso cristallina fatto dal documentario: l’epilogo. In un viaggio ottimista e aperto a tante visioni e interpretazioni, il cammino si conclude con una nota di negativismo e di sbriativa risoluzione che fa un po’ storcere il naso, soprattutto dopo tutto quello mostrato in precedenza. Tutto sommato però, quest’opera ti fa appassionare, ti fa domandare, ti fa meravigliare e ti spinge ad imparare. Vivamente consigliata la visione ad adulti e bambini, studenti ed inseganti, credenti e atei, artisti e scienziati.
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