Film stranieri: In the Mood for Love di Wong Kar-wai
Analizziamo uno dei migliori film orientali, opera dell'acclamato regista cinese
La storia è sempre quella, i blockbuster americani e le commedie all’italiana avranno sempre la meglio nel bel paese. Ma noi portiamo avanti il nostro percorso attraverso la scoperta dei migliori film stranieri, passando da un paese all’altro del mondo. L’ultima volta ci eravamo persi in una disperata ricerca nella fredda Russia con Loveless. Oggi il vento cinematografico ci porta ad Hong Kong per scoprire l’opera raffinata, elegante e di altissimo livello di un cineasta forse troppo poco considerato da molti nel nostro paese: Wong Kar-wai. Andiamo ad analizzare il suo film del 2000 in questa recensione di In the Mood for Love, un racconto che non lascerà delusi, al massimo un po’ d’amarezza.
Indice
Non siamo tutti uguali – In the Mood for Love, la recensione
1962, Hong Kong. La storia nasce all’interno di una sorta di condominio. Protagonisti sono Li-Zhen, segretaria, e il giornalista Chow Mo-wan che si ritrovano, dopo aver assistito ai traslochi con i rispettivi partner, vicini di casa. I partner trascorrono molto tempo fuori città per lavoro. Così i due protagonisti si ritrovano a passare le loro giornate incrociandosi per i corridoi, frequentandosi pian piano e vivendo con la mancanza del vero affetto. Dopo poco, molti indizi porteranno la coppia e rendersi sempre più conto che i loro partner sono amanti.
Tra di loro comincia quindi un legame, che deriva dal supporto psicologico che reciprocamente si danno ma anche da una velata, ma presente costantemente, attrazione che porta lo spettatore e gli stessi protagonisti a riflettere. Entrambi sono uniti dalla sofferenza e dall’abbandono, dall’umiliazione da parte dell’amore che si manifesta come impossibile. Un rapporto che è più dell’amicizia ma meno dell’essere amanti, in una sorta di negazione del sentimento per non cadere nell’errore che è costato già caro alle loro relazioni.
L’eleganza
Wong Kar-wai, che è anche sceneggiatore del film, crea un universo accessibile solo attraverso la repulsione dell’uomo-animale. Privilegia un’eleganza esterna che celi parzialmente il rollercoaster di emozioni che esplodono dentro il nostro animo e quello dei protagonisti. Eleganza che si infiltra nella vita quotidiana. In the Mood for Love cadrebbe, senza essa, in una bella storia ma scialba, monotona e quotidiana. Essa ci impone uno sguardo diverso sul mondo di tutti i giorni, su una storia universale, che fa brillare anche gli oggetti tipici del quotidiano. Porta alla riflessione nei momenti in cui i protagonisti sono ritratti a compiere azioni quotidiane, a guardarsi allo specchio. Tutto è stilisticamente e elegantemente misurato ma nella sua compostezza va oltre, dove pochi altri film stranieri riescono ad arrivare: colpisce e coinvolge l’animo e lo trascina dentro la storia.
Le immagini di In the Mood for Love sono costruite attraverso le bellissime luci morbide e soffuse che scendono con delicatezza sul volto, ad esempio, della protagonista Maggie Cheung: figura al confine tra uomo e statua greca dall’impatto sublime. Proprio le luci e le scenografie, i colori, creano quel caratteristico effetto di sfumato e indefinito che è una delle peculiarità stilistiche del film. Il ritmo solenne è, in aggiunta, assecondato dalla splendida colonna sonora, ossessivamente e morbosamente ripetuta, in varie tonalità e con velocità diverse per scandire le giornate, i movimenti e il meccanismo di “autodifesa” dei due amici-amanti. Da molti considerato un mero esercizio di stile: ma anche se fosse, risulta controllato e soprattutto ad livello altissimo di maturità cinematografica.
L’intimità e l’eros – In the Mood for Love, la recensione
In The Mood for Love (花样年华, tratto da un romanzo di Liu Yichang) è carico di attenzione al rapporto conflittuale tra eros e castità. Presente anche un costante senso di intimità che ci obbliga a vivere dall’esterno certe condizioni e certi piccoli attimi tra i due amici-amanti. I gesti confidenziali tra i due sono esclusi alla nostra visione, come a farci riflettere su quello che sta succedendo o che potrebbe succedere. Un’intimità preservata ai fini dell’eleganza e del chiave essenziale del film che va contro la mera materialità.
Lo spettatore, prima ammaliato, ora resta spettatore di una frustrazione amorosa e sessuale. Tutto è frenato dal buon senso e dal rispetto reciproco e, paradossalmente, dei partner. Ma questo eros non deve essere consumato. Questo amore non deve essere carnale. Wong Kar-wai ci insegna sapientemente a cogliere l’emozione come atto a se e a non legarla alla corporeità. Tutto è evidenziato dalla sensualità che pur essendo sempre presente non è mai esplicita e palese, mai accenni di nudità, mai accenni di sguardi erotici o provocatori. La sensualità della figura della protagonista viene enfatizzata dai movimenti di macchina che seguono le sue curve attraverso la salita di scale, o le camminate notturne. Con quelle luci e quei movimenti delicati, che portano a immaginare di sfiorarla, il regista cinese riesce a rendere sensuali i lunghi abiti della donna che poco danno all’immaginazione erotica.
Il metalinguaggio
Molti film stranieri e cineasti utilizzano il mezzo cinematografico per calarsi all’interno di precise condizioni storiche e sociali. Wong Kar-wai non è da meno e inserisce in questo piccolo gioiello orientale anche la riflessione storica, una storia nella storia più generale. L’accenno è quello agli anni Sessanta. Periodo in cui l’estremo oriente fu scosso dal crollo imperiale e dall’occidentalizzazione quasi coatta. Le immagini finali, quasi slegate dal film (ma che coincidono per il dettaglio storico), sono quelle dell’arrivo in Cambogia del generale francese de Gaulle, nel periodo in cui avviene il crollo degli imperi coloniali.
Così, il regista, pone la storia e i suoi avvenimenti come spartiacque decisivo tra due mondi diversi e due concezioni diverse. Non resta che la memoria, le azioni sono ormai irreversibili. E qui ci ricolleghiamo alla vicenda dei due protagonisti. Ogni azione, ogni mancata azione, ogni carezza, sfioramento e mancato passo avanti, segna irrimediabilmente il futuro. Non ci resta che pensare a quello che è stato, che poteva essere e che forse un giorno sarà. Questo viene illustrato nelle sequenze finali, oltre quelle storiche citate sopra, ambientate in Cambogia (e ci ricolleghiamo ancora alla storia). Queste, anche se in parte criptiche, mostrano come il tempo scorre inesorabile scandito dalle nostre scelte ma la memoria resta e perdura attraverso altre scelte, ma quelle che forse avremmo dovuto compiere.
Considerazioni finali – In the Mood for Love, la recensione
Wong Kar-wai da una magistrale lezione di regia. Si serve di poche parole, posizionate ognuna al posto giusto. Il suo film si muove e parla quasi solamente attraverso il linguaggio cinematografico con cui delinea il mutare dei sentimenti, delle emozioni e del tempo (quest’ultimo spesso percepibile solo attraverso il cambio del vestiario di Li-Zhen). La linearità del film viene stravolta per dar spazio ad un arco temporale che non segue più gli obblighi cronologici ma è dettato da una “cronologia del sentimento”.
L’oriente raccontato è antitetico alla materialità occidentale in cui tutto deve essere visto e raccontato e se c’è la possibilità pure reso esplicito. Qui prevalgono le parole non dette e i gesti non compiuti. La storia è una banale, se pur vogliamo definirla tale, storia d’amore: Wong Kar-wai però ci regala l’emozione del mezzo cinematografico e di come esso sia capace di raccontare la più quotidiana delle storie diversamente. Tra i film stranieri e orientali di maggior impatto emotivo e cinematografico perché fa del cinema, proprio come la memoria, una scatola in cui accogliere le emozioni