La bella estate, recensione del film di Laura Lucchetti
La bella estate, scritto e diretto da Laura Lucchetti, è il primo adattamento del racconto di Cesare Pavese, dal titolo omonimo e contenuto nella raccolta di racconti chiamata appunto La bella estate e che comprende anche le opere Le amiche e Il diavolo sulle colline. La bella estate è il primo racconto della raccolta e da il titolo all’intera collana. Presentato in anteprima alla 75ª edizione del Locarno Film Festival, La bella estate (qui il trailer) è interpretato da Yile Vianello, Deva Cassel, Nicolas Maupas, Alessandro Piavani, insieme a molti altri.
Indice
Trama – La bella estate, la recensione
È il 1938 quando Ginia si trasferisce dalla campagna alla città, a Torino, dove trova lavoro come sarta e si prende cura del fratello Severino, che lavora come operaio la maggior parte della giornata. Dall’incontro casuale e in parte distruttivo con Amelia, ragazza che lavora come modella e diversa da chiunque abbia mai conosciuto, Ginia scopre un mondo nuovo che la trasporta lontano da quelle che credeva essere le sue aspirazioni. Ginia intreccia una storia con Guido, pittore e amico di Amelia, iniziando a frequentare insieme ambienti e personalità artistici di una Torino notturna e intrigante, dove tra Ginia e Amelia si percepisce un’alchimia e una vicinanza speciale. Tra senso del dovere, importanza di costruirsi un futuro e sentimenti nei confronti di Amelia che la confondono, Ginia si chiede se per essere se stessa dovrebbe cedere a quello che prova, per capire chi é e cosa vuole realmente. Sentendosi mordere dal senso di colpa, dalla paura che amore e moralità non possano convivere e che prima o poi tutto le sembrerà assurdo e sbagliato, Ginia si rende conto che chi l’ha catturata e accolta, può essere la stessa persona che poi la allontana e abbandona.
Una sensualità misteriosa e trascinante – La bella estate, la recensione
La bella estate di Laura Lucchetti è una rivisitazione del racconto di Cesare Pavese in chiave moderna, che pur mantenendo la storia nel 1938 rende le scoperte e le necessità di esplorazione del personaggio di Ginia più attuali, più vicine a una generazione lontana da quella nata nel primo dopoguerra. Vivendo così i drammi del secondo conflitto mondiale. I temi cari a Pavese, presenti nel primo racconto che dà il titolo alla raccolta che valse all’autore il Premio Strega nel 1950, ci sono tutti. Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, l’interrogarsi sulla propria identità, la concezione dell’artista, con un gusto verso il proibito, il controcorrente e il ribelle, e il rapporto tra campagna e città. Ginia è pronta a crescere e ad affacciarsi al mondo come le hanno insegnato, seguendo le regole e obbedendo al fratello, più grande e già inserito nel mondo del lavoro, e visto come un uomo realizzato.
Ma si può davvero scegliere come crescere? Se Ginia pensa inizialmente di essere pronta ad affrontare il proprio futuro, la figura di Amelia arriva come la dirompente consapevolezza di un mondo che va esplorato, e che attrae una Ginia timida e insicura. Sentendosi fuori posto e capace solo di osservare quel mondo senza viverlo, la protagonista viene travolta dagli ambienti bohémien degli atelier dove arte e pittura sono simbolo di anticonformismo, di opposizione, di dissenso e del rifiuto di vivere secondo ciò che impone la società. Luoghi dove per Ginia ci si può esprimere, innamorare e scoprire, e dove forse si può sbagliare senza paura. Non è però solo ciò che Amelia rappresenta ad attrarre Ginia, ma l’immagine di una modella bellissima, sensuale e malinconica, dall’innocenza rubata, dall’adolescenza negata e che dietro uno sguardo incantatore e seducente nasconde una sofferenza che la rende diversa, affascinante, misteriosa.
La luce dell’innocenza e l’oscurità della colpa – La bella estate, la recensione
È nel rapporto con Amelia che Ginia affronta un viaggio interiore, attraverso la sua identità sessuale e culturale, rendendo La bella estate un racconto di formazione che si distanzia da quelle che erano le problematiche dell’epoca. Concentrandosi sulla scoperta del proprio corpo, dei propri desideri, dell’attraente potere che il trasgressivo e il provocatorio hanno sulle persone più giovani, fragili e ancora alla ricerca di sé. Perfettamente girato e recitato, ancora più accurato nella ricostruzione della Torino anni ’40, dove quei nascosti angoli fatti di musica, alcool, pittura e divani impolverati sono in contrasto con la città urbana di un polo industrializzato, di case squadrate, ordinate ed essenziali. Impeccabile è la scelta dei costumi e del trucco, con una scenografia e una fotografia che cala personaggi e spettatori in un 1938 tormentato e disteso, in un momento storico in cui ci si poteva interrogare ancora su chi si era.
Così come Ginia è bionda, Amelia è nera, gli occhi di Ginia sono chiari, quelli di Amelia sono scuri, gli abiti di Ginia sono spenti, opachi, consumati, quelli di Amelia sono un’esplosione di colori, nitidi, vivaci, eccessivi. In una regia che si concentra sui primi piani, sui gesti impercettibili delle due protagoniste, che si sfiorano e si avvicinano, sui loro occhi che si fissano e sui loro sguardi che si catturano da lontano, La bella estate è un coming of age sensuale e delicato, dove l’erotismo è lampante in un ballo fatto di abbracci esitanti, sorrisi trattenuti e un continuo accarezzarsi di sfuggita, fino a danzare insieme nell’accettazione di sé e di ciò che provano. Se all’inizio il processo di crescita e di maturazione interessa il personaggio di Ginia, a spezzarsi per poi ricucirsi è anche l’equilibrio di Amelia. Di loro e di tutte quelle ragazze che stavano trovando il proprio posto nel mondo, pronte ad affacciarsi alla vita adulta, una vita che stava per essere stravolta dall’inizio della seconda guerra mondiale.
La bella estate
Voto - 7
7
Lati positivi
- Sensuale e affascinante
- Ricostruzione dell'epoca perfetta nella scenografia e nei costumi
Lati negativi
- Manca una tensione crescente