La ragazza d’autunno: recensione del film russo diretto da Kantemir Balagov
Recensione del film vincitore del premio alla Miglior regia nella sezione Un Certain Regard a Cannes 2019
Al suo secondo lungometraggio il ventottenne russo Kantemir Balagov si conferma come uno dei giovani registi più interessanti del panorama internazionale. In concorso nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2019; La ragazza d’autunno, di cui vi presentiamo la recensione, replica il successo del premio della stampa FIPRESCI che il regista aveva già conquistato nel 2017 con Tesnota al suo esordio. La ragazza d’autunno è girato interamente a San Pietroburgo; la storia trascina lo spettatore indietro di settant’anni, quando la città si chiamava Leningrado e i suoi abitanti stavano superando la fine di uno degli assedi più sanguinosi della storia. Conflitti irrisolti, sensi di colpa e il tentativo di ricostruirsi una vita tra le macerie sono elementi che il regista dispone lentamente durante la narrazione. Viene così data vita a una storia nel quale le protagoniste imparano come appianare i conflitti per prendersi cura l’uno degli altri.
Non a caso la vicenda spazia da un’ospedale militare alla minuscola residenza delle due protagoniste. Viktorija Mirošničenko e Vasilisa Perelygina danno vita a una performance strettamente emotiva, nella quale i sentimenti dei loro personaggi emergono fortemente attraverso la recitazione. Attraversando gli strati della loro memoria sviscerano passo dopo passo ogni elemento ad essa legato. I ruoli secondari non sono mai macchiette ma figure che attraverso il loro passato amplificano il racconto delle due donne, dando spessore a un racconto sul superamento dei traumi attraverso l’affetto che Balagov dirige in maniera estremamente autoriale.
Indice
La ragazza d’autunno – La trama
Autunno 1945. A Leningrado è terminato da poco l’assedio, gli ospedali sono pieni di reduci mutilati e altri soldati feriti continuano ad arrivare dal fronte. Su questo sfondo emerge il forte legame che si instaura fra due donne. Ija (Viktorija Mirošničenko) infermiera introversa, soprannominata “la giraffa”, soffre di un disturbo post-traumatico che la costringe a lunghe paralisi, e Maša (Vasilisa Perelygina), soldatessa che aveva affidato il figlio Paška alle cure di Ija quando venne arruolata.
Il ritorno di Maša dal fronte costringe le due donne a affrontare la verità su quanto successo durante la loro separazione. È l’inizio di un continuo riemergere di ferite che il conflitto aveva lasciato nell’anima e che entrambe le donne tentavano di lasciarsi alle spalle. La ragazza d’autunno è infatti un dramma ampiamente introspettivo nella quale Balagov osserva la fuerra dal punto di vista femminile; raccontando una delle peggiori battaglie della storia e i suoi effetti sulla mente delle persone attraverso uno sguardo originale e particolarmente emotivo.
La particolare attenzione che il regista dedica agli stati d’animo delle donne si rivela contemporaneamente sia il punto di forza che il punto debole della narrazione. La sceneggiatura arranca più volte, sbatte contro la paralisi sia fisica che ideologica di personaggi incapaci di superare il conflitto ed elaborare il lutto. Diventa anche il modo per ribadire quanto sia importante prendersi cura degli altri nei momenti di difficoltà. In tal senso Balagov riesce nell’intento di realizzare la storia intima del rapporto di due donne, amiche o amanti, che insieme superano il senso di colpa e cercano di ricostruirsi una vita in una città che prova giorno dopo giorno a ricostruire sé stessa.
La ragazza d’autunno – La regia
Dalle prime inquadrature de La ragazza d’autunno è chiaro il tentativo di Kantemir Balagov e del direttore della fotografia Ksenjia Sereda di dare un’impronta autoriale al loro film. Le immagini mostrano una nitida attenzione al modo di riprendere una storia dai forti connotati introspettivi, costruendo ogni inquadratura come un dipinto manierista. Inevitabilmente la luce e il colore scelti rimangono impressi nello spettatore. Ogni personaggio è ripreso a pochi passi dalla macchina da presa, inondato da una luce che ne sottolinea ogni espressione facciale.
La scelta dei colori è anch’essa particolarmente influente nel corso della narrazione. Se inizialmente ogni inquadratura è invasa da un’ocra acceso e straniante; con il proseguire delle vicende un verde smeraldo simbolo di speranza invade la scena. Lo vediamo nei vestiti, nelle pareti, nell’arredamento, assumendo un significato diretto verso il finale. Un tentativo di proporre una visione dello stato d’animo attraverso il colore perfettamente riuscito. A convincere meno della regia sono i momenti in cui Balagov sceglie la camera a mano per ribadire lo stato d’animo di Ija. Il movimento tremolante della macchina da presa ribadisce l’insicurezza dei pensieri della donna, il terremoto che i sensi di colpa le scatenano internamente. Contemporaneamente però la scelta in tali circostanze di riprenderla da lontano svalorizza la recitazione della Mirošničenko che nei primi piani dà il meglio di sé.
Conclusioni
Lo stile strettamente autoriale che trova le sue radici nel recente cinema russo di Zvjagincev e nel neorealismo italiano di Visconti e Rossellini al momento si rivela ancora un freno all’ambizione del regista. A differenza di altri giovani dal successo internazionale come Dolan o Eggers, Balagov appare ancora lontano dal mettere in scena uno stile personale. Nonostante questo riesce a servirsi dei rimandi di grandi maestri del passato per dar vira a un’opera di estrema delicatezza. La sensibilità della vicenda, unita dalla forte emotività che traspare dalla recitazione delle due protagonista, rende indubbiamente il film un’appassionante storia sul bisogno d’affetto e sulla ricerca di completezza attraverso l’altro. In maniera indiretta il regista affronta la guerra analizzando le sue conseguenze, l’amore confinato nei suoi limiti, il senso di colpa indagato nel suo tentativo doloroso di redenzione.
Il punto di originalità di Balagov si dimostra quindi quello di non scegliere mai la via più scontata per far procedere la storia. I dettagli del passato vengono liberati nel corso del racconto, incastrandosi nel finale come tessere di un mosaico. Il tal modo viene impresso ritmo a una narrazione che rischia in molti casi di restare sommersa da uno stile manierista e a tratti autoreferenziale. I premi ottenuti a Cannes e l’inserimento nella shortlist degli Oscar come miglior film internazionale di certo propongono La ragazza d’autunno come uno dei film più interessanti del 2019 e Balagov come uno dei migliori registi emergenti, nonostante ancora gli manchi qualcosa per emergere dalla nicchia dell’autorialità.
La ragazza d'autunno
Voto - 7
7
Lati positivi
- Recitazione di Viktorija Mirošničenko e Vasilisa Perelygina
- Messa in scena accurata e attenta al dettaglio
Lati negativi
- Stile di regia pesante e artificioso
- Ritmo della narrazione a tratti macchinoso