L’Impero delle Ombre: recensione del film di Kim Ji-woon
Ecco la recensione de L'Impero delle Ombre, il film di Kim Ji-woon con Song Kang-ho, Gong Yoo e Han Ji-min
L’Impero delle ombre recensione del film di Kim Ji-woon. Il regista di culto Kim Ji-woon (Kim Jee-woon se preferite la versione inglese del nome) firma uno strepitoso film di genere sullo spionaggio durante l’occupazione giapponese della Corea. Presentato Fuori Concorso alla Mostra di Venezia, era stato selezionato pure come candidato sudcoreano agli Oscar 2017. Il film non riuscì però a rientrare tra i finalisti del premio come miglior film straniero. La pellicola è stata distribuita in Italia grazie alla Sound Mirror, che ha permesso al pubblico di godere di una vera e propria perla orientale.
Nel cast de L’Impero delle ombre (The Age of Shadows) troviamo uno strepitoso Song Kang-ho (Snowpiercer, Memories of Murder) nei panni del combattuto e tormentato poliziotto coreano Lee Jung-chool. Insieme a lui emerge un superlativo Gong Yoo (Train to Busan) e Lee Byung-hun, volto noto anche al pubblico europeo per Red 2 e G.I. Joe. Nei panni della femme fatale troviamo la dolce Han Ji-min, attrice nota in Corea più per la televisione che per il cinema.
L’Impero delle Ombre: recensione del film di Kim Ji-woon
La trama
Dopo la fallimentare trasferta americana con The Last Stand – L’ultima sfida, Kim Jee-woon dà vita a una pellicola superlativa. Il film abbina uno sviluppo narrativo molto serio a scene di azioni magistrali, riprendendo personaggi reali e inserendo squarci della sua cifra stilistica.
L’Impero delle ombre è un film di spionaggio ambientato nella Corea di fine anni Venti, in un paese che deve fare i conti con l’occupazione del regime giapponese. Si tratta dunque di un film in costume ma al tempo stesso di una modernità di messa in scena spaventosa. Il film segue le vicende di Lee Jung-chool (Song Kang-ho), poliziotto coreano al soldo dei giapponesi, che deve scoprire chi si trova a capo dell’organizzazione terroristica Virtuosa Fratellanza, un gruppo armato che lotta per la libertà del paese. Inizia così la caccia al loro leader, Kim Woo-Jin, interpretato da uno strepitoso Gong Yoo.
Lee Jung-chool farà così credere alla Fratellanza di essere un poliziotto che porterà informazioni importanti per la sua sopravvivenza. Allo stesso tempo convincerà la polizia di essere un infiltrato che sta lavorando per far crollare l’organizzazione. Assistiamo per la prima metà a un gioco di talpe non così dissimile dall’Infernal Affairs di Andrew Lau e Alan Mak, tra spie infiltrate nei rivoluzionari e spie nella polizia. La missione però si trasformerà ben presto in un pericoloso doppio gioco, senza riuscire mai a capire da che parte stiano i protagonisti. Questo è ottenuto magistralmente anche grazie a un lavoro perfetto sui personaggi, sfuggenti e interessanti. Nota di merito anche per i personaggi femminili, intriganti e molto importanti per la situazione narrativa che si andrà a svolgere nei 140 minuti di film.
L’eclettismo di Kim Ji-woon
L’impero delle ombre: recensione. L’inizio de L’Impero delle ombre è coinvolgente, caratterizzato da un ritmo vorticoso e da angoli di ripresa di ogni tipo. Dopo la scena iniziale dell’inseguimento ad alta tensione con una messa in scena e virtuosismi alla Brian De Palma (long-tage, carrellate, angoli di ripresa di ogni tipo con rimandi a Gli Intoccabili), la questione si fa seria. Spicca così l’intreccio narrativo scandito da corruzione e ideali, rivolte e doppi giochi che si fanno a volte anche tripli. L’opera è costruita con serietà e per questo si prende tutto il tempo necessario per deflagrare. Dalla spy story si trasforma presto in un noir classico nella parte centrale e termina nella tragedia, tutto amalgamato perfettamente.
Nella parte centrale il film, come detto, abbraccia lo storico genere del noir inserendo alcuni archetipi fondamentali dal tormento interiore del protagonista passando per la femme fatale. Più che sui contenuti Kim Jee-woon si concentra sulla forma, ambientando il tutto nella Shanghai anni ’20, dove la pioggia e i chiaro/oscuri sono molto di più di una semplice scenografia. Nella scena del treno la suspense raggiunge livelli altissimi, arrivando perfino a strizzare l’occhio al maestro britannico Alfred Hitchcock. Il regista ci regala anche una sparatoria veramente molto intensa che culminerà nel massacro della stazione di Gyengju con un’emblematica inquadratura a piombo.
Nell’ultima parte il film si dilunga forse un po’ troppo ed è proprio la difficoltà nell’essere sintetici che alla fine va ad annacquare la pellicola, senza però recare alcun danno grave. L’Impero delle ombre rimane un potentissimo film che può vantare al suo interno anche solo di singoli splendidi momenti che valgono l’intera visione. Ogni singola sequenza potrebbe essere perfino considerata un cortometraggio a sé stante.
La potenza scenica e musicale
Il percorso di Kim Ji-woon, uno dei massimi esponenti della generazione cinefila del ’70, è decisamente eccentrico. Il regista sudcoreano si è spesso mosso all’interno di diversi generi ma sempre con toni e ambizioni che variano da un titolo all’altro. Dall’esordio di The Quiet Family fino a film come Two Sisters e I Saw the Devil, Ji-woon ha esplorato diversi territori, per arrivare fino all’omaggio dello spaghetti western con Il buono, il matto, il cattivo. Con L’Impero delle Ombre, Kim Jee-woon ha raggiunto probabilmente l’apice della sua maturità artistica, girando sicuramente uno dei suoi film migliori. In questo film inoltre ritrova la grandezza che ha contraddistinto il suo cinema a cavallo tra film di genere puro (si veda l’adrenalinica sequenza iniziale) e spettacolarità decisamente più classica (con tanto di richiami a La conversazione di Francis Ford Coppola).
Come in Mademoiselle di Park Chan-Wook, la duplicazione etnica e linguistica riflette bene il tema della duplicità con l’elemento del doppio gioco portato all’estremo. Il finale è clamoroso, di una potenza sorprendente e vive di una messa in scena davvero poderosa. Il regista ha una mano eccezionale riuscendo a trattare egregiamente il dramma, l’azione e il thriller, senza mai perdere la linearità con tutti il resto del film. Inoltre si tratta anche di un film storico-politico, con tanto di finale dedicato a tutti gli uomini della resistenza coreana contro il dominio giapponese.
In ultima nota non si può non citare l’accompagnamento musicale, sempre ottimo per tenere viva la tensione. Si passa così dalle semplici percussioni alla When You’re Smiling di Louis Armstrong, per finire nel climax scenico con l’uso mozzafiato e intelligente del Bolero di Maurice Ravel. Tutto è curato nel dettaglio.
L’Impero delle ombre – L’intreccio della pièce teatrale
Dobbiamo andare avanti anche quando falliamo. Andando avanti calpesteremo i nostri fallimenti e alla fine staremo in piedi nel punto più alto.
L’Impero delle ombre si sviluppa in un quella che potrebbe essere considerata una vera e propria pièce teatrale con al centro tre personaggi. Il regista Kim Jee-woon si appoggia molto sulla prestazione incredibile di Song Kang-ho, suo attore feticcio già comparso in The Quiet Family, The Foul King e ne Il buono il matto il cattivo. Kang-ho interpreta Lee Jung-chool, capitano coreano che lavora per la polizia giapponese, che finirà per sposare la causa dei reazionari coreani che dovrebbe fermare. Lo stesso Ji-woon ha detto in un’intervista che Lee Jung “rappresenta in un certo senso la schizofrenia che vive il paese oggi con l’attuale divisione territoriale“.
A intrecciarsi nella vicenda di Lee Jung, c’è Kim Woo-jin (Gong Yoo), il leader della resistenza, e l’agente giapponese Hashimoto (Um Tae-goo). Il fatto che Hashimoto e il suo superiore Higashi (Shingo Tsurumi) siano rappresentati come dei sociopatici che farebbero di tutto per distruggere la Fratellanza, rendono credibile l’interesse di Kim per la controparte del regime giapponese. Inoltre la scelta di creare una storia d’amore tra Kim e Yun Gye-Soon è utile per mostrare il lato umano dello spietato capo della resistenza.
L’Impero delle ombre recensione – Conclusione
L’intrigo inizialmente fatica a ingranare, ma grazie a un cast al massimo della forma, il lavoro di Kim Ji-woon è strepitoso. Basterebbe l’inseguimento iniziale oppure la tesissima sequenza sul treno da far invidia allo Snowpiercer di Bong Joon-ho per far capire l’ottima mano del regista. Viene così confermata la grande vitalità del cinema coreano, riuscendo a far breccia nei cuori anche degli scettici del cinema orientale. L’impero delle ombre è l’ennesimo capitolo del sempre più interessante cinema orientale, dimostrando ancora una volta come diversi generi nelle mani di ottimi registi possano diventare dei veri e propri film d’autore.
Potrebbe inizialmente crearsi un po’ di confusione tra i moltissimi personaggi, cercando di capire chi stia tradendo chi, ma ciò non inficia negativamente sul film. Lo spettatore si ritrova perso momento per momento nell’eleganza della fotografia di Kim Ji-yong e nella bravura registica di Kim Jee-woon. In conclusione si tratta di un film sulle persone in un tempo in cui il bianco e il nero persero ogni significato e tutto si mischiò definitivamente nel grigio delle ombre.
L'Impero delle Ombre
Voto - 8
8
Lati positivi
- Messa in scena superlativa
- Thriller, noir, tragedia mischiati perfettamente
- Fotografia e scenografia eccellenti
- Contesto storico sfruttato al meglio
- Sequenza del treno girata con maestria assoluta
Lati negativi
- Lento ad ingranare
- Alto rischio di confusione a livello di intreccio