L’uomo del labirinto: recensione del film con Dustin Hoffman e Toni Servillo
Donato Carrisi sbarca nelle sale con un nuovo thriller psicologico
A due anni dal suo esordio con La ragazza nella nebbia, Donato Carrisi torna nelle sale cinematografiche con L’uomo del labirinto. Adattamento dell’omonimo noir arrivato in libreria nel 2017, come anche la sua pellicola precedente, il film riprende tutti i motivi drammatici, psicologici e polizieschi della letteratura di Carrisi. L’opera, distribuita da Medusa, analizza temi quali il tempo, l’inconscio e il concetto dell’Io. Approfondiamo le tematiche di questo L’uomo del labirinto nella nostra recensione.
Produzione tutta Italiana, il film non si ritrae però dalla ricerca di un’aura internazionale, soprattutto grazie alla presenza nel cast di star quali Dustin Hoffman e Toni Servillo. Ora la pellicola si prefigura come un thriller psicologico intricato, che non manca di riprendere le atmosfere di film come Donnie Darko, Saw-L’enigmista e The Game.
Carrisi – per sua stessa ammissione – ha come scopo quello di “fare dei film che assomiglino ad un romanzo” e tale intento è da riscontrarsi indubbiamente in questa sua ultima fatica. Tuttavia l’opera filmica presenta dei difetti evidenti e allo stesso tempo la dichiarazione d’intenti del regista non sembra giovare del tutto al prodotto presentato. Infatti esso risulta troppo parlato e la narrazione, per quanto anche ben pensata, risulta più attinente alla carta stampata che al mezzo cinematografico. Il risultato è quindi un film a metà, capace da una lato di deludere le attese, ma allo stesso tempo di stupire in alcuni frangenti.
Indice
- La trama
- Il labirinto e l’inconscio
- L’incertezza dell’Io e il non tempo
- Il lato tecnico
- Considerazioni finali
La Trama: L’uomo del labirinto recensione
Sono passati ormai quindici anni da quando la giovane tredicenne Samantha Andretti (Valentina Bellè) è stata rapita una mattina d’inverno. La ragazza, ormai donna, si risveglia all’ospedale Santa Caterina, stordita, con una flebo al braccio e una gamba ingessata. Davanti a lei si trova il profiler Green (Dustin Hoffman), il quale ha il compito di aiutarla a recuperare la memoria affinché la polizia possa catturare il suo rapitore.
Green deve agire velocemente in quanto la droga psicotropa iniettata a Samantha è difficile da rimuovere con una semplice flebo. Bisogna scoprire cosa è accaduto nel “labirinto” in cui la ragazza è stata tenuta imprigionata da questo “sadico consolatore” e bisogna scoprirlo al più presto.
Nello stesso momento, al di fuori delle mura dell’ospedale, l’investigatore privato Bruno Genko (Toni Servillo) ha deciso di indagare sulla scomparsa della donna. Anche Genko ha poco tempo per risolvere il caso poiché, essendo un malato terminale, gli restano pochi giorni di vita. Ora nella ricerca del seviziatore egli non solo verrà in contatto con le forze dell’ordine, ma chiederà aiuto anche ad uno dei suoi rappresentanti. Quest’ultimo non è altri che Simon Baerish (Vinicio Marchioni),un poliziotto di base all’archivio delle persone scomparse, noto come il Limbo, e che seguirà l’investigatore nell’indagine.
Contemporaneamente allo sviluppo dei due filoni narrativi, la storia presenta sullo sfondo una figura dalla testa di coniglio. Ma le vere domande sono: chi è il coniglio? Riuscirà Genko a scovare il rapitore? Il dottor Green farà riacquistare la memoria a Samantha?
Il labirinto e l’inconscio
All’interno di questo L’uomo del labirinto Carrisi decide fin da subito di porre l’accento su due temi principali: il labirinto e l’inconscio. Queste due tematiche si intrecciano l’una con l’altra, simmetricamente con l’intreccio della storia, e portano ad una riflessione di stampo kafkiano. Infatti il tema del labirinto non solo si prefigura come un’immagine concreta, esemplificata dalle “pareti vive”, ma richiama astrattamente anche quelle atmosfere claustrofobiche tanto care a Kafka che mettono in gioco la solitudine e l’isolamento. Inoltre l’idea del labirinto è da riscontrarsi ovunque, dalla trama al dècoupage, passando anche per la scenografia e il montaggio. Nel film il labirinto non è solo una tematica messa in gioco, bensì è la tematica. Si potrebbe dire che in sostanza è il film.
In primis il labirinto rappresenta la vena sadica del rapitore, che lo paragona alla stregua di un gioco e che così lo mette in atto. Tuttavia è un labirinto anche l’indagine di Genko, figura che più di tutte insieme a Samantha mette in atto un’altro tema kafkiano come il senso di colpa. Ecco che il labirinto si pone anche come un pretesto per riflettere sui temi dello scrittore praghese, ma che comunque il film non vuole far concludere con quelli che sono i suoi stilemi.
Infatti il labirinto non è solo caos, ma è anche dedalo, cioè un andirivieni intricato, ma con un suo ordine. Un’ordine che si traduce nella possibilità di uscire da questa condizione esistenziale e che può condurre a “quell’aperto che è comune a tutti” di cui parlava Giordano Bruno. In secondo luogo l’inconscio è invece lo spazio in cui gli argomenti della solitudine, del senso di colpa e dell’isolamento prendono forma; lo spazio dove l’idea del sequestratore diventa realtà soggettiva, ovvero vissuto e condizione esistenziale.
I’incertezza dell’Io e il non tempo
Il film spinge lo spettatore a riflette su tematiche diverse come l’incertezza dell’Io e l’idea cristiana del tempo. Se la prima tematica è sicuramente da raccordarsi con l’inconscio e il labirinto stesso, la seconda implica invece un ragionamento sulla categoria kantiana del tempo.
Il primo nucleo tematico trova il suo fondamento nella droga somministrata a Samantha, con la quale il regista introduce l’incertezza dell’Io. La donna non solo non ricorda, ma avendo perso la memoria non sa neanche chi sia. Ora è evidente la mancanza di un equilibrio tra essere e pensiero poiché Samantha, pur pensando, non ha percezione di sé. In questo modo, mancando quella che Kant definisce “appercezione trascendentale”, manca l’Io; in tal modo Samantha c’è, ma non è. Il concetto è sicuramente difficile, ma il film cerca più volte di modificare la realtà, di inquietarci sull’identità dei personaggi e così facendo di distruggere quella sintesi tra oggettività e soggettività che è l’Io, cioè l’unione tra pensante e pensato che costituisce il reale.
L’uomo del labirinto si prefigura quindi come un’analisi del soggetto uomo, ma allo stesso tempo indaga la categoria umana del tempo. Carrisi qui ribalta l’idea kantiana di tempo e lo fa in maniera mirabile. Infatti non solo il tempo del film non è specificato, ma è in sostanza un “non tempo“, abilmente tratteggiato da una scenografia e una fotografia attinenti. Se Kant infatti diceva essere il tempo una forma a priori della sensibilità umana in quanto ogni cosa ci viene presentata in un determinato tempo, in questo caso il tempo non esiste così come la nostra idea dello stesso. Pertanto il regista da vita ad un’opera fortemente filosofica, ma in tal modo, concentrandosi più su queste tematiche che sull’idea filmica, fa venir meno alcuni elementi fondamentali della pellicola e si scorda di approfondirli.
Il lato tecnico – L’uomo del labirinto recensione
Procediamo nella recensione di questo L’uomo del Labirinto approfondendo il lato tecnico dell’opera. Tecnicamente il film risulta ben interpretato, con un bravissimo Hoffman e con un Servillo, per quanto sopra le righe ed espressionista, di buon livello. Deficitaria e per niente convincente, nonostante il plauso di una parte della critica, pare essere Valentina Bellè, la quale non solo è piatta, ma non trasmette alcuna emozione. Dall’altro lato si riscontra un Marchioni scolastico, che non stupisce ma allo stesso tempo non sfigura.
La regia non è né buona né cattiva, piuttosto si potrebbe classificarla come una via di mezzo. Le scene in interni infatti sono troppo caotiche, con una valanga di inquadrature. Si capisce la voglia di narrare con minuzia di particolari, ma il montaggio risulta troppo frenetico. Inoltre alle volte il citazionismo diventa ridondante e tale pratica fa pensare ad un espediente per narrare situazioni che altrimenti il regista non saprebbe mettere in scena. Infatti il film è intriso di riferimenti a Suspiria di Dario Argento, Alice in Wonderland, Il silenzio degli innocenti e Harvey di Koster.
La scenografia è invece molto apprezzabile, mentre la fotografia risulta troppo ritoccata e patinata. È comprensibile lo scopo di delineare quel “non tempo” sovracitato, ma alle volte il tutto si rivela iperbolico e a tratti fastidioso. Oltre a ciò bisogna aggiungere come non ci sia la scusante di fare avanguardia, soprattutto visto e considerato l’intento del film. Pertanto questa scelta appare più in linea con ricerca di americanizzare l’opera, seguendo il percorso tracciato dalle citazioni, piuttosto che con un’idea artistica matura. Infine è da evidenziare una prima parte zoppicante. Qui la sceneggiatura ha sicuramente le sue colpe e si presta a quel cinema “così scritto, così parlato e così telefonato” che ha sapientemente tratteggiato Gianni Canova.
Considerazioni finali: L’uomo del labirinto recensione
È necessario sottolineare come la pellicola si qualifichi come riuscita solo a metà, cioè una produzione ben pensata solo a tratti. Essa è infatti capace di mettere in luce delle riflessioni di stampo fortemente esistenziale, ma trascura alcuni principi fondamentali dell’arte cinematografica. Probabilmente il difetto più grande è da trovarsi nella direzione della prima parte, nonché nelle immagini ad effetto create dalla fotografia. Esse purtroppo dovrebbero disturbare in modo tale da non rendere manifeste alcune mancanze registiche.
Partendo da questo presupposto si riesce ad inquadrare il film come un tentativo di creare molti colpi di scena in forza dei temi trattati, ma contemporaneamente l’espediente non appaga. Così come non appaga il finale, che delude sia i fan del libro come i neofiti, risultando banale e commerciale.
Concludendo la nostra recensione di questo L’uomo del labirinto possiamo dire che ci risultano comprensibili i plausi che ha ottenuto da parte della critica, ma non volerne vedere i numerosi difetti ci pare sbagliato. Infatti, nonostante la miriade di spunti interessanti nel film, le attese non sono state rispettate, soprattutto guardando al fatto che ci si aspettava un’evoluzione dell’autore. Pertanto l’opera non può che essere appena sufficiente ed entrare di diritto nel novero delle grandi occasioni sprecate.
L'uomo del labirinto
voto - 6
6
Lati positivi
- Tematiche approfondite
- Buone interpretazioni
Lati negativi
- Fotografia e sceneggiatura zoppicanti
- Regia mediocre