Melancholia: recensione del film di Lars Von Trier
Il pianeta Melancholia sta per distruggere la Terra: due sorelle affrontano l'ipotesi della fine nel film di Lars Von Trier.
Cosa ci vuole dire Melancholia, il controverso film di Lars Von Trier presentato al 64° Festival di Cannes? Proviamo a capirlo con questa recensione. Nella pellicola del regista danese Melancholia è il nome di un pianeta in rotta di collisione con la Terra. È la storia di due sorelle. Ma è anche la metafora di una malattia da cui sembra impossibile guarire.
Recensione di Melancholia, di Lars Von Trier
Il film è ripartito in tre momenti. Il maestoso prologo presenta una sequenza di immagini prive di una narrazione unificante, in un ralenti dal carattere onirico, in cui il principio di realtà appare vistosamente contraddetto. Vediamo una donna in abito da sposa (Justine, Kirsten Dunst), una seconda donna (Claire, Charlotte Gainsbourg) e un bambino (Leo, Cameron Spurr). Le immagini “terrestri” si alternano ad altre nello spazio siderale in cui compare il Sole ed un grande pianeta (Melancholia, come scopriremo) che, alla fine della sequenza, entrerà in mortale collisione con la Terra. Il tutto accompagnato dal possente “Tristan und Isolde Prelude” di Richard Wagner.
Justine
Eccoci di punto in bianco alla seconda sezione, intitolata Justine. Justine è con il futuro sposo su una Limousine per andare alla sontuosa villa in cui si terrà il ricevimento. Nonostante i contrattempi irradia gioia da ogni sguardo. Ma già durante la cena, comincia ad emergere il lato prevalente di Justine, quello oscuro e malinconico. La futura sposa si ritira in solitudine, allontanatasi dalla civiltà ritrova il proprio contatto con la natura urinando nel campo da golf con lo sguardo rivolto al cielo. Poi la spossatezza si impadronisce di lei: fa un bagno mentre tutti la attendono al taglio della torta.
Tutto il cerimoniale si scioglie in un attimo: Justine liquida in malo modo il proprio spocchioso principale, che la licenzia seduta stante. Anche allo sposo risulta chiaro che non v’è alcuna unione possibile, e non resta che andarsene. Il racconto procede per spezzoni, in sequenze prodotte in steadycam e contrappongono l’insensato e rituale movimento degli ospiti alla statica verità dei primi piani di Justine, consapevole della vanità di tutto quanto si sta celebrando.
Claire
Siamo alla terza ed ultima parte, intitolata Claire. Claire è la sorella razionale e attiva che, nonostante quanto consigliatole dal marito, continua a prendersi cura di Justine, che si ritrova senza forze dopo il tentativo fallito di matrimonio. La presenza del pianeta Melancholia, dopo aver fatto capolino già nella prima parte (quando era stata scambiata per la stella Antares, la più luminosa della costellazione dello Scorpione) comincia ad emergere minacciosa. La gente parla di una fatale “danza della morte”: ipotesi nettamente smentita dal marito di Claire, Jack, che invoca la certezza dei calcoli scientifici in base ai quali il pianeta le passerà solo accanto.
Nel rapporto tra le sorelle i ruoli iniziano a capovolgersi: man mano che i segni della presenza affascinante ma funesta di Melancholia si fanno più concreti. Justine prende forza (anche fisicamente: ricomincia ad avere appetito), mentre Claire appare smarrita e impotente. Il pericolo della collisione, durante la notte, sembra fugato: Melancholia si allontana. Ma sarà dopo il sorgere del sole che Claire, addormentatasi, scopre la terribile verità: il pianeta si riavvicina irrimediabilmente. Il marito (interpretato da Kiefer Sutherland) non ha retto e si è nel frattempo suicidato ingerendo dei barbiturici. Spetta a Justine affrontare il momento cruciale della fine con coraggio, senza patetiche finzioni. Lo farà costruendo una piccola capanna con pochi rami intagliati e ricongiungendo sotto il suo fragile tetto sorella e nipote. L’esplosione finale troverà però solo Justine e Leo con le mani strette l’una nell’altro.
La malinconia è, come diceva Victor Hugo, la felicità di essere tristi?
Justine continua a ripetere alla sorella: “La Terra è cattiva”. Sulla scelta di Justine come protagonista, va notato, che tutte le personificazioni della Malinconia sono femminili. Proprio come nella celeberrima Melancholia I di Dürer, in cui è raffigurato un astro celeste che sta precipitando in mare. Si tratta di una cometa che, secondo la più diffusa interpretazione, rappresenta il sole nero.
Nel film l’elemento del malinconico è la terra, capace di tirare fuori il lato più profondo e introspettivo della protagonista affetta da una patologia che trascina verso il basso. In una delle sequenze del prologo vediamo Justine nel suo abito da sposa che tenta faticosamente di camminare, mentre rami e radici le allacciano polsi e caviglie rallentandola. La vediamo anche galleggiare sulle acque con un bouquet di mughetti proprio come l’Ofelia dell’Amleto shakespeariano, secondo la rappresentazione iconografica del dipinto di John Everett Millais che viene mostrato nella seconda sezione del film, in una scena metanarrativa che rivela le sue suggestioni pittoriche principali.
Melancholia: valutazioni finali
Il film è un susseguirsi di immagini di rara bellezza. La fotografia è glaciale e l’atmosfera bluastra e fatalista provoca nello spettatore un certo malessere. Una pellicola che predilige esprimere l’emotività sacrificando i dialoghi che si fanno rarefatti e apatici. Un sacrificio necessario affinché il regista potesse raggiungere lo scopo prefissato: la rappresentazione di uno stato mentale, di una malattia che trascina verso il basso, verso il desiderio di autodistruggersi. E in questo Lars Von Trier è riuscito in pieno dato che egli stesso soffre di episodi depressivi ed ha saputo canalizzare quanto provato su pellicola.
Da notare infine che il film è stato presentato in concorso al 64º Festival di Cannes, dove la protagonista Kirsten Dunst ha ricevuto il premio per la miglior interpretazione femminile. Melancholia merita la visione proprio per come la Dunst presta il corpo e il volto a Justine. Un’incantevole creatura dalle movenze aggraziate ma al tempo stesso selvatiche. Come le grandi dive del muto, la Dunst riesce a reggere la difficile sfida di inquadrature trattenute che sono vere e proprie anatomie del personaggio.
Melancholia, di Lars Von Trier
Voto - 7.5
7.5
La fotografia di glaciale bellezza. I dialoghi rarefatti per favorire l'affiorare degli stati d'animo dei protagonisti. Il senso della fine che si avvicina che attrae e trascina anche lo spettatore
Si intuisce da subito che il regista ha trasposto nella figura della protagonista l’esperienza della depressione come caduta cosmica nel non senso della vita. La sorella nella seconda parte del film vive dall’esterno quello che la protagonista vive e ha vissuto nella depressione dall’interno del suo Io. Il rallentamento, il vissuto di fatica e sofferenza senza limiti si riflettono in una dimensione planetaria, non confortata da nessuna speranza o fede. Paradossalmente il senso di vuoto e solitudine della protagonista sembrano attenuarsi nel momento di condivisione di una morte collettiva: è lei che riesce a escogitare la finzione del riparo magico per tentare almeno di allontanare per un attimo lo spavento del nipote.
Il regista ha reso con efficacia il senso di sospensione e mistero che precede la collisione planetaria, dando corpo ad una metafora sulla morte vissuta dei maliconici che è inconcepibile da chi non vi è passato attraverso.