Nerve – Quando il virtuale entra nelle nostre vite – di Henry Joost e Ariel Shulman: la Recensione
Un gioco social, in cui si può essere Spettatore o Giocatore, Watcher or Player. Pillola rossa o pillola blu, per citare qualcuno. Vee – alias Emma Roberts – è una ragazza che non si sente “socialmente” al livello delle sue amiche, in particolare di Sydney, e decide così di iscriversi al divertimento online più in voga del momento: Nerve. Vee sceglie di essere un giocatore e comincia così le sue sfide, che saranno scelte dagli altri membri del gioco. Dalla prima sfida la ragazza entra subito nel vivo: deve baciare un ragazzo, Ian (Dave Franco), il quale diventerà il suo compagno nelle prove successive. Ma Nerve è un terribile gioco. Step by step i due entrano nel vortice delle sfide e la partita si fa sempre più complicata..
Henry Joost e Ariel Shulman firmano la regia di questa pellicola, che segue il filone Young Adult, continuando su quella scia che loro stessi hanno iniziato nel 2010 presentando al Sundance Film Festival il loro film d’esordio: Catfish, che divenne poi una serie reality-tv trasmessa da Mtv. Infatti Nerve ha la stessa affinità mediatica di quella pellicola di ormai 7 anni fa. Lì c’era un ragazzo che costruiva una relazione romantica con una donna sul social-network Facebook. Qui una ragazza all’ultimo anno di liceo che non riesce a trovare chissà quale soddisfazione dalla sua vita reale e si rifugia, quindi, in quella virtuale. Nerve contiene al suo interno anche un po’ di nichilismo generazionale, mostrandoci dei giovani che fanno a gara a chi ha più followers, totalmente immersi nella rete in cui sono invischiati.
Una scena nell’incipit nel film è particolarmente interessante: Vee parla al cellulare con il suo migliore amico seguita dalla macchina da presa. La conversazione passa improvvisamente dall’esser filtrata dallo smartphone ad essere vissuta in prima persona, perché uscendo dal portone di casa i due si incontrano fisicamente. Questa sequenza è emblematica. Joost e Shulman sono riusciti con questa pellicola a creare un ponte tra reale e virtuale. Sulla strada intrapresa da Spike Jonze nel suo Her, in cui ci si immergeva così facilmente in quell’universo pseudo-ipotetico che era incredibilmente affascinante, in Nerve vi è un’importante capacità da parte dei due registi di ricreare un mondo nel quale la stragrande maggioranza dei giovani è coinvolta in un social network dagli esiti incredibilmente distruttivi. Il tutto condito da un amore abbastanza profondo che essi provano per New York, a cui dedicano delle inquadrature molto belle, in una notte che riserva molte sorprese e tanta tensione, con delle scene che alzano inevitabilmente la suspense di un thriller veramente ben riuscito.
Il tema è incredibilmente d’attualità. Non solo per la Blue Whale, di cui abbiamo sentito parlare molto in questo periodo, ossia quella sfida sui social che prevede 50 prove che porteranno al suicidio finale, ma anche per diversi casi mediatici esplosi negli ultimi mesi che vedevano al loro centro la sofferenza di alcune persone che alcune volte sono riuscite a superare il problema della diffamazione, ed altre volte no.
ATTENZIONE, SPOILER.
In una scena chiave dello sviluppo di Nerve, Vee dirà che “anche se ti nascondi dietro un nickname sei complice, di qualsiasi atto”. Probabilmente è proprio questo il messaggio che i due registi vorrebbero mandare con questo film, espresso anche dalla scena finale. I social non sono necessariamente un male. C’è un limite, però, che non va valicato, perché si rischia di offendere ed urtare sia la propria personalità, sia quella altrui. Bisogna semplicemente farne il giusto uso.