Onimusha: recensione della serie anime Netflix
Tratta dal celebre videogioco Capcom la nuova serie d'animazione di Netflix è un anime tecnicamente sorprendente e suggestivo sebbene a tratti tradisca lo spirito della saga originale
Disponibile su Netflix dal 2 novembre, Onimusha è la serie d’animazione tratta dall’omonimo videogioco survival horror targato Capcom. Otto episodi, diretti dal Shinya Sugai di Dragon’s Dogma e supervisionati da Takashi Miike, che riprendono i toni tipici della celebre saga declinandoli però in una storia inedita. Immersi nuovamente nel Giappone feudale facciamo così la conoscenza del leggendario spadaccino Musashi Miyamoto (ispirato nei tratti a Toshiro Mifune), suo malgrado al centro dell’ennesima ed eterna lotta tra i clan demoniaci degli Oni e dei Genma.
Dopo Resident Evil e Castlevania Netflix, affiancata da Capcom, si affida ancora una volta all’animazione per confrontarsi con una saga videoludica di successo. Quello che ne esce è un prodotto tecnicamente pregevole, impreziosito da un’animazione in cel-shading che fa tesoro del recente successo del film di Slam Dunk e si dimostra il modo ideale per mettere in scena una storia fatta di samurai tormentati, scontri all’arma bianca e demoni sanguinari. Un anime che sconta però un ritmo spesso altalenante e in antitesi con la frenesia del videogioco, forse non avvincendo come dovrebbe.
Indice:
Trama – Onimusha recensione
Giappone, periodo Edo. Il celebre spadaccino Musashi Miyamoto parte per una missione affidatagli dallo shogun. L’obiettivo: reprime il dominio illegittimo di un samurai del luogo, Iemon. Ad accompagnarlo un gruppo di guerrieri un tempo legati proprio a Iemon e un monaco, custode per conto di Musashi di una misterioso guanto dall’antico potere. Proprio a quel manufatto Musashi dovrà presto ricorrere per combattere contro una temibile progenie di demoni, i Genma, sfruttando il potere degli Oni custodito al suo interno.
Tra armate di soldati posseduti e vecchi nemici tornati magicamente in vita con nuovi, mostruosi poteri, Musashi e i suoi compagni dovranno così farsi largo a colpi di katana fino alla misteriosa fortezza di Iemon per porre fine al suo potere e a quello dei Genma suoi alleati. Ma l’incontro con una ragazzina in cerca dei genitori farà ridefinire a Musashi le sue priorità, dimostrandogli che, forse, non è il demone spietato che credeva di essere.
Simili eppure diversi
Più di vent’anni sono passati da quando la Capcom usciva con un videogioco che univa le dinamiche da survival horror tipiche del suo Resident Evil con quelle del picchiaduro, immergendo poi il tutto nel Giappone feudale dei samurai. È proprio questa natura ibrida che Onimusha ripropone anche in questa sua inedita veste seriale. Una storia che unisce assieme i classici film di samurai ai racconti di fantasmi giapponesi, le vicende storiche (la battaglia di Sekigahara che torna ciclicamente) alle dinamiche di anime recenti come Demon Slayer.
È in questo mix di riferimenti e suggestioni differenti che si dispiega così questo nuovo capitolo della saga. Un nuovo tassello che, pur rimanendo autonomo rispetto alle vicende narrate nei videogiochi, cerca di riproporne a suo modo lo spirito, ripresentando un mistero da svelare all’ombra di una lotta millenaria per il potere. Ecco allora tornare il mitico Guanto degli Oni e, assieme a esso, tutte le dinamiche ben note ai fan della saga, assorbimento di anime e potenziamenti compresi.
Prodigi della tecnica
Ma a sorprendere di più, in questo adattamento filologicamente attento al materiale originale ma desideroso di una sua autonomia, è sicuramente l’animazione. Usando la tecnica del cel-shading combinata con la motion capture, una pratica già sperimentata con esiti non felicissimi nelle nuove stagioni di Berserk e con grande successo nel film The First Slam Dunk, Onimusha si garantisce infatti una fluidità sorprendente che lo avvicina, in un certo senso, più all’immagine videoludica che agli anime tradizionalmente intesi.
Forte di combattimenti realistici e movenze naturali, piccoli gesti quotidiani e una plasticità tutta cinematografica la serie si discosta così da altri prodotti simili rendendo i suoi scontri credibili e spettacolari. Un approccio fresco e accattivante che garantisce a una vicenda per certi versi classica e convenzionale un valore aggiunto, capace di avvincere e suscitare fascino (complici anche gli sfondi disegnati interamente a mano) anche in un pubblico estraneo alla serie di videogiochi e alle sue dinamiche.
Un’indecisione di fondo
A non essere altrettanto innovativa, casomai, è una scrittura che, pur restando solida ed equilibrata, non ha particolari guizzi inventivi, dispiegando un mistero poco accattivante e mettendo in scena combattimenti che sarebbero potuti essere molto più numerosi ed elaborati. È proprio la scarsa fantasia nel gestire nemici e varietà degli scontri il principale difetto di Onimusha. Una serie che mette al centro il viaggio del protagonista e dei suoi alleati, soffermandosi su desideri, paure e motivazioni individuali, ma che trascura spesso i punti di forza dei videogiochi, dall’eterogeneità dei nemici all’iconicità dei boss, dalla varietà delle armi a disposizione al ritmo coinvolgente.
Ne risulta così un anime efficace nella resa delle ambientazioni e suggestivo nella sua animazione all’avanguardia ma che sarebbe stato ben altra cosa se supportato anche da un intreccio più elaborato e da un ritmo più sostenuto. Un esperimento affascinante ma non del tutto riuscito, quindi, indeciso com’è se abbracciare in pieno lo spirito del materiale di partenza (lo spettacolare scontro finale) o essere la versione in computer grafica di un tradizionale, seppur suggestivo, film di samurai.
Onimusha
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- L'animazione digitale, accompagnata dalle ambientazioni disegnate a mano, è suggestiva e perfetta per la storia raccontata
- I personaggi sono ben caratterizzati e la vicenda di Musashi ha la gravitas di un film di samurai
Lati negativi
- A volte la mancanza del giusto ritmo rende meno coinvolgente la storia e la allontana dal materiale di partenza
- La scarsa eterogeneità dei nemici e degli scontri può lasciare con l'amaro in bocca, specie i fan dei videogiochi