Piccoli Crimini Coniugali: la rabbia di un amore consumato dal tempo e dall’abitudine.
Infascelli firma un elegante thriller da camera, spietato e diretto. La vita di coppia oggi? Una diabolica guerra aperta.
È necessario premettere fin da subito che il ritorno di Alex Infascelli dietro la macchina da presa è un evento che non può e non deve essere trascurato. Questo è il suo terzo lungometraggio, a 16 anni dal David come miglior esordiente per Almost Blue e ad un anno dal suo secondo David al miglior documentario per S is for Stanley; in mezzo troviamo Il siero della vanità, ingiustamente sottostimato. Prosecutore diretto del cinema di Argento e Bava, nonché orgoglioso portabandiera del buon cinema di genere, Infascelli è uno di quei registi che i produttori italiani avrebbero dovuto sostenere senza remore e che, invece, è inspiegabilmente finito nel dimenticatoio per troppi anni, se non consideriamo la prova (comunque buona!) data con l’inquietante miniserie sul fenomeno delle sette sataniche Nel nome del padre e l’esperienza più fortunata di Donne Assassine.
Tuttavia, se la paziente attesa serviva per elaborare al meglio questo nuovo film, allora si può dire che ne è valsa decisamente la pena, perché Piccoli Crimini Coniugali è un autentico gioiellino. La trama è apparentemente semplice: Elia, autore di gialli, si ritrova con un colpo alla testa e privo di memoria; sarà compito della moglie rammentargli il passato dimenticato per sperare ancora in un futuro di coppia. Non si può dire nulla di più se non si vuole rischiare di svelare troppo; infatti, la storia è una vera e propria bomba ad orologeria, alimentata da una girandola di menzogne e inversioni di marcia continue, capaci di conferire ritmo e vivacità a quella che potremmo definire una tragicommedia da camera.
D’altro canto non era affatto scontato che potesse funzionare sul grande schermo l’adattamento di un’opera così densa, complessa ed estremamente letteraria come è quella di Eric Emmanuel Schmitt, dalla quale il film è tratto. Invece, il nostro regista dimostra ancora una volta la propria maestria, riuscendo da un lato a restituire in maniera fedele il testo di partenza, dall’altro a rimaneggiarlo con una cura onesta e pulita, senza rinunciare agli innesti grotteschi a lui tanto cari: basti citare la scena da applausi in cui Castellitto si abbandona ad una suadente danza erotica sulle note di I feel loved di Donna Summers. Il risultato è un noir coniugale diabolico, un gioco al massacro tra due esseri (dis)umani rabbiosi e devastati l’uno da un’ipertrofica megalomania e l’altro da un umiliante stato di consapevole inferiorità intellettuale, diventata nel tempo insopportabile sudditanza.
A rendere perfettamente ogni minima sfumatura di questi coniugi perversi troviamo due attori in stato di grazia: Sergio Castellitto, che gigioneggia beatamente passando con incredibile naturalezza dall’incredulità di vittima ingenua alla crudeltà di carnefice spietato; Margherita Buy, ora seducente strega ammaliatrice, ora donna ferita nell’orgoglio di casalinga borghese con velleità artistiche, di madre mancata prima volontariamente e adesso naturalmente, di moglie inutilmente gelosa e nonostante tutto perdutamente innamorata. Eccellente anche l’uso delle musiche, curate dallo stesso Infascelli (responsabile anche del montaggio!), con un concerto di percussioni tribali sui titoli di testa che in pochi minuti riesce a catapultare lo spettatore in un’atmosfera che trasuda una tesa aria di guerra. Non c’è più spazio per i sentimentalismi: è tempo di rivendicare sé stessi, di reinventarsi anche a costo di annientare l’altro, fosse anche letteralmente.
Le pareti domestiche sono ormai mura inespugnabili di una claustrofobica arena che reclama sangue, dove i lottatori ritornano ad uno stato primitivo e pressoché ferino, pronti a sbranarsi voracemente pur di innalzare lo scettro della vittoria, banchettando col cadavere del nemico. In questo senso è geniale la scelta di una scenografia asettica, laddove la casa diventa una prigione di massima sicurezza contornata da pareti e pavimenti neri, mentre dalle finestre non è possibile scorgere alcunché, se non una luce grigia e rarefatta. L’abitazione diventa assioma generale, un non-luogo in un non-tempo e in un non-spazio, metafora della coppia qualunque come angusta cella di un amore che il tempo ha reso stanco, consumato e desideroso di un’evasione improvvisamente percepita come necessaria e inevitabile: la tenerezza non è più una possibilità contemplabile, laddove un finale caustico (che avrebbe fatto felice il Monicelli di Parenti Serpenti!) potrebbe prontamente ridurla in cenere. Signore e signori, Infascelli è tornato più cattivo che mai e questa volta non accetterà tanto facilmente un nuovo esilio coatto!
Piccoli Crimini Coniugali: la rabbia di un amore consumato dal tempo e dall'abitudine.
Piccoli Crimini Coniugali: la rabbia di un amore consumato dal tempo e dall'abitudine. - 9
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The Good
- Volutamente minimalista nella messa in scena, il film è un imperdibile gioco al massacro con due interpreti eccellenti.