Pinocchio di Guillermo del Toro: la recensione del nuovo film d’animazione di Netflix
Il Pinocchio di Guillermo del Toro è un inedito e “mostruoso” coming of age contro il conformismo. Un ribaltamento dell'opera originale, tra innovazione e amore per la diversità
Pinocchio di Guillermo del Toro è finalmente arrivato anche su Netflix, dal 9 dicembre, dopo un breve passaggio in sala. Un film d’animazione, quello dell’immaginifico regista messicano, che non delude le aspettative, riproponendo la celeberrima storia del bambino di legno sotto una luce nuova e un’impronta fortemente autoriale. Una versione decisamente divergente sia dal romanzo di Collodi che dal classico Disney, Pinocchio di Guillermo del Toro, che mischia le carte in tavola e ammanta il tutto coi toni dark di una storia finalmente inedita.
Allontanandosi da operazioni filologiche alla Garrone, ma anche da qualsiasi tentazione live action come l’ultimo Zemeckis, del Toro prende infatti un’altra direzione. Un cambio di rotta coerente con la propria poetica e il proprio percorso registico che ridisegna l’avventura del burattino che voleva essere un bambino vero sovvertendola in più punti. Il risultato è un coming of age evocativo che fa il paio con l’originalità della messa in scena, raccontandoci di lutto, amore filiale, disobbedienza e mortalità in un modo unico e sorprendente.
Indice:
- Trama
- Un’impronta inconfondibile
- Tra fiaba e Storia
- “Quel che accade accade. E, a quel punto, non ci siamo più”
La trama – Pinocchio di Guillermo del Toro recensione
Quando Marco, figlio di Geppetto (David Bradley), muore sotto un bombardamento durante la Grande Guerra, per il vecchio falegname la vita sembra essere finita. Anni dopo, però, in una notte di disperazione, sopraffatto dall’alcol e dal dolore, Geppetto comincia a costruire, rabbiosamente, un sostituto del figlio scomparso. Dopo essere crollato ubriaco, al suo risveglio scopre che quel burattino incompleto e intagliato rozzamente da un pezzo di legno ha preso magicamente vita.
È l’inizio di un’avventura in cui lo scalmanato Pinocchio (Gregory Mann), assistito dal grillo parlante Sebastian J. Cricket (Ewan McGregor), dovrà imparare sulla propria “pelle” cosa significa davvero essere umani, cosa sia realmente la vita e, di riflesso, quale valore abbia anche la morte. Dal palco del perfido Conte Volpe (Christoph Waltz) a un Paese dei Balocchi tramutato in campo di addestramento militare, dai surreali incontri con la Morte (Tilda Swinton) agli spettacoli di propaganda, Pinocchio metterà così alla prova sé stesso e gli altri, nella speranza di diventare finalmente un bambino vero.
Un’impronta inconfondibile – Pinocchio di Guillermo del Toro recensione
Non può che essere un’operazione fortemente personale quella del Pinocchio di Guillermo del Toro. Un accentramento evidente sin dal titolo, con quel nome messo lì a garantire l’autenticità dell’operazione – esattamente come avvenuto per Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities – , attestando la portata e l’impatto dell’universo fantastico del regista sul nostro immaginario e, insieme, la sua capacità di costruire e dar vita a storie immediatamente rappresentative e riconoscibili. È proprio all’interno di questo universo immaginifico ben codificato e circoscritto che prende posto questo Pinocchio. L’ennesimo tassello di un percorso poetico fatto di mostri dal cuore d’oro ed emarginati in attesa di riscatto, atmosfere soprannaturali e orrori tutti umani.
Del resto, paiono un horror in tutto e per tutto le premesse di questa versione funerea del classico collodiano. Da un lutto capace di spingere sull’orlo della follia, a personaggi che paiono usciti da oscure leggende popolari, fino a un Pinocchio mai così simile al mostro di Frankenstein. Proprio come la creatura di Mary Shelley, è infatti incompleto il Pinocchio di del Toro. Un personaggio incompiuto alla perenne ricerca di quel vuoto che lo colmi. Un vuoto da cercare in ogni dove, dall’Oltretomba (le scene più suggestive, con creature a metà strada tra Hellboy – The Golden Army e Antico Testamento) allo stomaco gorgogliante di una balena, dai tendoni di un circo fino agli orrori farseschi della Storia.
Tra fiaba e Storia – Pinocchio di Guillermo del Toro recensione
È proprio la Storia, con le sue brutture assurde ma terribilmente concrete, a confondersi ancora una volta col mondo fantastico del regista. Esattamente come ne Il labirinto del fauno e ne La forma dell’acqua, anche qui è infatti il contesto a fare la differenza, a permettere a una vicenda arcinota e abusata di vivere di nuova vita. Non è un caso, d’altronde, che del Toro scelga proprio il Ventennio fascista come ambientazione del suo film. Un mondo dove gli uomini non sono che marionette nelle mani di un regime che li vorrebbe obbedienti e all’interno del quale Pinocchio stona come un pesce fuor d’acqua.
Nel suo essere un burattino senza fili, e quindi uno spirito libero al di là di ogni imposizione e regola, Pinocchio rappresenta infatti una critica vivente al Sistema. Disobbediente e sovversivo per natura, manda a monte qualsiasi piano il regime (ma anche lo stesso Geppetto, che vorrebbe fosse una copia brava e obbediente del figlio) abbia in serbo per lui. È proprio in questo anticonformismo intrinseco nel personaggio che il cinema di del Toro si innesta alla perfezione, trovando un punto di contatto tra il protagonista e la sua poetica, arrivando, in questo modo, a ribaltare la morale originaria e a spiegarci come non sempre la disobbedienza sia sbagliata e come non serva necessariamente cambiare per essere accettati.
“Quel che accade accade. E, a quel punto, non ci siamo più”
Sta proprio nell’irriducibilità e nella libertà assoluta del suo protagonista, allora, il valore di quest’ultimo Pinocchio. Un aspetto che la regia di del Toro valorizza anche e soprattutto attraverso la sua messa in scena, creando un mondo irreale ma allo stesso tempo decisamente concreto. Grazie alla magnifica e “analogica” tecnica dello stop-motion (in cui modellini reali vengono animati “a passo uno”), il regista dà infatti letteralmente vita al burattino inanimato e alla sua realtà, facendo di esso la creatura più vera, viva e sincera all’interno di quell’universo di pupazzi senz’anima (il Podestà, Volpe, Lucignolo).
Cosciente che le regole esistano anche per essere infrante, del Toro, nel suo film forse più rigoroso e coerente, infonde così questa lezione di vita nel percorso iniziatico del suo outsider, stravolgendone le tappe e i passaggi fondamentali, in una viaggio di formazione atipico all’insegna del ribaltamento di prospettiva (non è Pinocchio a cambiare ma è lui, con la sua purezza e intrinseca bontà, che cambia chi gli sta intorno), costruendo un finale che nega il lieto fine canonico in favore di una riflessione sulla mortalità e sulla sua accettazione. Una consapevolezza irrinunciabile per potersi dire realmente umani.
Pinocchio di Guillermo del Toro
Voto - 8
8
Lati positivi
- La natura da ribelle ed emarginato di Pinocchio si fonde perfettamente con la poetica di Guillermo del Toro, ribaltando intelligentemente la storia originale e dando vita a un viaggio inedito.
- La suggestiva animazione in stop-motion è il mezzo perfetto per dare valore e senso ulteriore a una vicenda fantastica e reale al tempo stesso