Recensione: È solo la fine del mondo
Omosessualità, insicurezza, depressione, voglia di evadere: questo è ciò che affronta il film “È solo la fine del mondo”. Quello che rende, però, la nuova pellicola di Xavier Dolan davvero unica è che egli abbia deciso di trattare tutti questi temi all’interno di un solo nucleo familiare con un limitatissimo cast di soli cinque attori.
Il regista vuole chiaramente far entrare lo spettatore a fondo nella psicologia di ogni singolo personaggio, tanto che non si impegna nel fornire informazioni futili, come il cognome della famiglia o la città in cui vivono, ma le lunghe sequenze prive di dialoghi permettono una precisa lettura e analisi dei volti dei personaggi, il carattere dei quali emerge grazie alle sublimi interpretazioni dei cinque: Marion Cotillard, Léa Seydoux, Gaspard Ulliel, Vincent Cassel e Nathalie Baye.
I primi piani strettissimi, infatti, rendono perfettamente visibili le minime espressioni da cui è facile comprendere e registrare ciascuna delle emozioni provate. Lo spettatore, quindi, trovandosi di fronte ad inquadrature chiuse, strette, quasi claustrofobiche, si sente molto vicino ai personaggi, ma allo stesso tempo escluso dalla scena, come se non ci fosse abbastanza spazio per contenerlo.
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La particolare trama del film non sviluppa secondo il susseguirsi di grandi avvenimenti, ma si manifesta attraverso dialoghi di cui vine esaltato il ‘non-detto’, il ‘trattenuto’. Questo aspetto si riscontra maggiormente nel personaggio di Catherine (Marion Cotillard), sempre insicura nell’esprimere le proprie idee, e in quello di Luis (Gaspard Ulliel) che, come afferma la madre:”Non risponde mai con più di tre parole”. I due caratteri, infatti, sono molto simili e già dal primo incontro si percepisce una forte intesa che li legherà in modo molto profondo. Le loro anime sono simili e in completa affinità l’una con l’altra, nonostante i dialoghi brevi e balbettanti.
Il lato introspettivo è protagonista tanto quanto il senso di angoscia, sottolineato dal caldo opprimente, che aleggia durante tutto il lungometraggio e pervade le menti dei familiari, suscitando pensieri di dubbio e ostilità reciproci. Il tema della morte, inoltre, accennato direttamente solo all’inizio del film, può essere ricollegato a quel ‘non-detto’ che riempe i vuoti lasciati dai dialoghi mancati.
“È solo la fine del mondo” non è certo un film di facile interpretazione, ma la bravura degli attori e lo studio delle inquadrature da parte del regista lo rendono un capolavoro dell’introspezione psicologica all’interno dei rapporti interfamiliari.