Mudbound: recensione di uno dei migliori film originali Netflix
Dee Rees presenta un duro dramma sul razzismo adattando "Fiori nel fango", scritto da Hillary Jordan
Mudbound, film di cui vi presentiamo la recensione, è un dramma d’epoca diretto da Dee Rees, adattamento dell’omonimo romanzo Fiori nel fango di Hillary Jordan. Dopo il personalissimo Pariah e l’Emmy Award con Bessie, la regista afroamericana si avvale di un soggetto più comune. Il messaggio di Mudbound non è più indirizzato ad una nicchia sociale quanto all’intera America. La regista si è potuta avvalere di un cast di buon livello: Carey Mulligan, Mary J. Blige, Jason Mitchell, Garrett Hedlund, Jonathan Banks.
Presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel gennaio del 2017, l’opera ha immediatamente colto il plauso della critica; venendo accaparrata poi da Netflix per la distribuzione mondiale. Mossa poco fraintendibile; nella speranza che, come da carte in regola, Mudbound possa far incetta di candidature, magari portandosi a casa pure qualche premio alla notte degli Oscar. Se così non fosse, se non altro, Mudbound si propone sicuramente come uno tra i migliori film originali Netflix.
Indice
La trama di Mudbound – Recensione
Siamo negli Stati Uniti, precisamente nel Mississippi degli anni ’40, nel pieno della seconda guerra mondiale. Due famiglie si ritrovano a condividere giocoforza lo stesso appezzamento di terreno in virtù della mezzadria. Da un lato i proprietari, rigorosamente bianchi, i coniugi McAllan (Carey Mulligan e Jason Clarke) con tanto di figli e padre padrone di lui (Jonathan Banks) al seguito, tutti totalmente estranei alla vita di campagna; dall’altro i coltivatori, colpevolmente neri, della più numerosa famiglia dei Jackson (Mary J. Blige e Rob Morgan) che dopo anni di sacrifici e duro lavoro, segretamente, sognano l’indipendenza.
Le due famiglie sono accomunate dalla guerra. Quando, nel 1941, gli Stati Uniti entrano nel conflitto, entrambe le famiglie vedono partire per il fronte un parente stretto: Jaime, il fratello minore di Henry, e Ronsel, il figlio maggiore dei Jackson. Sullo sfondo le nefaste Leggi Jim Crow ancora in atto, tra segregazione razziale e razzismo dilagante. Ciononostante non è nel pregiudizio con cui le due famiglie si guardano vicendevolmente il motore narrativo che alimenterà la narrazione. E questo è sicuramente un bene.
Mudbound: i personaggi
Il film si divide nettamente in due tronconi: la prima parte, fondamentale per quanto lenta, introduce i personaggi che animeranno la vicenda, sfruttando intense e multiple voci fuori campo. Da un lato risalta Laura McAllan (Carey Mulligan) zitella destinata ad una vita insulsa, salvata dal neo-marito, per il quale non sarà mai innamorata, tutt’al più eternamente grata; almeno fin quando, all’alba della seconda guerra mondiale, la routinaria vita domestica verrà stravolta e buttata, letteralmente, nel fango (“quando penso alla fattoria penso al fango”). Dall’altro lato, oltre a un’azzeccatissima Mary J. Blige nei panni di Florence Jackson, spicca il coniuge Hap Jackson (Rob Morgan) e la malinconica ricerca di un riscatto esasperato ma utopico
Hanno lavorato fino a sudare, sudato fino a sanguinare, sanguinato fino a morire. Sono morti con la terra di quegli 80 ettari sotto le unghie. Morti graffiando quella terra bruna e dura che non sarebbe mai stata loro.
Fin qui la sceneggiatura, scritta a quattro mani dalla stessa Dee Rees e da Virgil Williams, fatica a decollare. Il montaggio alternato funziona, impreziosendo e rimarcando differenze e uguaglianze; i repentini cambi nel voice over, no. Fortunatamente, passati i primi 20 minuti, la voce fuori campo, comunque presente, non sovrasterà più di tanto la narrazione. Tra due mondi così distanti sarà la sensibilità femminile il primo punto di contatto. Quella di Laura McAllan (Carey Mulligan), di chi “sognava solo in marrone”, che apprezza e ricambia il lavoro di Florence Jackson (Mary J. Blige), di chi “non può voltarsi perché guardare qualcuno partire porta sfortuna”. Le performance attoriali sono tutte di spessore: anche quelle del troglodita e burbero Pappy McAllan (Jonathan Banks), e del figlio Henry McAllan (Jason Clarke). Mentre la fotografia di Rachel Morrison vira sul marrone, sulla sporcizia, sul fango, restituendoci la giusta sensazione di disagio.
Considerazioni finali – Mudbound recensione
È con la seconda parte che il film stravolge sé stesso: il ritorno dei due figliol prodighi dal fronte, uno per parte, Jamie McAllan (Garrett Hedlund) e Ronsel Jackson (Jason Mitchell) stravolge l’insperato equilibrio innestatosi, rivelando ben più di un’ipocrisia di fondo e frizioni anche inter familia. Il tutto si riverbera, poi, sulla narrazione: le voci fuori campo spariscono, la narrazione da corale si fa singolare, soffermandosi sui due reduci. Le ferite di guerra, più mentali che fisiche, portano i due a riconoscersi, capirsi l’un l’altro; in una società e un ambiente familiare mai così distante, incomprensibile.
Ma la società non è ancora pronta per il grande passo, per la rottura delle barriere, per apprezzare davvero questi sporadici fiori nel fango: una rapida sequela d’eventi ci accompagna verso un finale al cardiopalma, crudo e violento come un calcio nello stomaco, e oltremodo apprezzabile per la contrapposizione epilogo/prologo. Oltre che per qualche flebile traccia di speranza.
Mudbound
Voto - 8
8
Lati positivi
- La sceneggiatura
- I personaggi e più in generale il cast
- La fotografia
- Epilogo e prologo
Lati negativi
- Le iniziali voci fuori campo
- Non è sicuramente un film per tutti