Rifkin’s Festival: recensione del film di Woody Allen
Il nuovo film di Woody Allen in esclusiva al cinema dal 6 maggio
Al di là delle controversie che lo vedono coinvolto in patria e della ricorrente (e stanca) litania dell’Allen minore, arriva in sala Rifkin’s Festival, quarantanovesimo lungometraggio del regista newyorchese di cui vi proponiamo la nostra recensione. Girato a San Sebastian fra luglio e agosto 2019, debutta a settembre 2020 proprio al Festival del Cinema della città dei Paesi Baschi. E le vicende si svolgono tutte durante le giornate della kermesse cinematografica. Il Festival cui assistiamo, però, non è solo quello che ha come teatro San Sebastian. È quello del titolo, è il Festival di Rifkin; un sogno (o un incubo) cinefilo che fra Fellini, Godard, Welles e Bergman presta il fianco alle riflessioni e le amare considerazioni del protagonista.
Wallace Shawn è Mort Rifkin, settantenne ex professore di Cinema con un esordio letterario in cantiere e una moglie, Sue (Gina Gershon), che lavora come ufficio stampa. Ed è proprio il lavoro di Sue che porta Mort a San Sebastian, costringendolo a prendere parte a eventi che non sopporta e ad avere a che fare con Philippe (Louis Garrell). Philippe è un giovane regista, beniamino dell’Industry, per cui Sue cura le relazioni con la stampa. Mort, letteralmente, non lo può vedere, per ragioni tanto professionali quanto personali. Trova Philippe presuntuoso e i suoi lavori sopravvalutati e ha il sospetto che tra lui e sua moglie ci sia qualcosa di più di un semplice rapporto di lavoro. L’incontro con la dottoressa Jo Rojas (Elena Anaya) porta a Mort un po’ di sollievo mentre, tra cinema e filosofia, tutti i nodi vengono al pettine.
Indice:
Atmosfera familiare e conferme – Rifkin’s Festival, la recensione
Woody Allen è forse uno dei cineasti più riconoscibili in assoluto. Fin dal carattere dei titoli di testa – i suoi titoli di testa – quelli cui è rimasto pressoché sempre fedele dai tempi di Io e Annie. Rifkin’s Festival non fa eccezione e vi si ritrovano tutti i luoghi tipici del cinema alleniano. C’è il protagonista newyorchese pieno di fissazioni, depresso e ipocondriaco, che si lamenta in continuazione e che resta ancorato alle sue granitiche convinzioni. Abbiamo il matrimonio in crisi insieme con gli intrecci amorosi, la cultura e la mondanità. C’è New York, sempre presente, che aleggia in sottofondo nonostante la vicenda si svolga a migliaia di chilometri di distanza. Ci sono i dialoghi fitti e asciutti e l’ironia pungente e brillante così tipica della scrittura di Allen.
Quando Mort viene a sapere che Philippe ha in cantiere un film che suggerisce un modo per risolvere il conflitto fra arabi e israeliani, osserva che è contento che “si dedichi alla fantascienza”. O ancora un’osservazione molto divertente sul possibile esito di una controversia legale fra un ebreo e Dio in persona. E avanti così, con battute che non entreranno nella storia del cinema come quelle di Manhattan o Io e Annie, ma che hanno il suono di una piacevole, riconoscibile familiarità. Ritroviamo l’andamento di una sceneggiatura con situazioni possibili, non tutte e non sempre credibili, ma plausibili. E ritroviamo lo sguardo di Allen regista “invisibile”, nascosto, interessato più al cosa raccontare che non al come farlo. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina è certamente studiato, ma mai esibito e mai troppo al centro dell’attenzione di chi guarda.
Il Festival di Rifkin
Come accennato nell’introduzione della nostra recensione di Rifkin’s Festival, Mort partecipa a una kermesse reale e ne “organizza” un’altra personale. Il Festival di Rifkin va in scena nei sogni di Mort che ripercorre la sua vita e analizza la sua situazione attuale attraverso i classici. Quarto Potere, 8½, Jules et Jim, Persona, L’angelo sterminatore, Il settimo sigillo; Mort si infila nei sui film preferiti, ne diventa protagonista. Con il bianco e nero di Vittorio Storaro, Allen confeziona delle parodie spassose e affettuose, omaggi al cinema che tanto ama, esattamente come Mort. Molto divertente il sogno di Jules et Jim, dove Mort, Sue e Philippe si sostituiscono ai protagonisti del triangolo spirituale e amoroso del film di Truffaut. Il sogno di Persona di Bergman è in svedese sottotitolato; in quello da Il settimo sigillo, invece, Mort gioca a scacchi con una Morte che ha il volto di Chrisoph Waltz.
Questo è il tassello più personale di tutto Rifkin’s Festival; quello in cui la figura di Mort lascia maggior spazio a quella di Allen. Una Morte filosofica e soprattutto molto pratica. Che consiglia di evitare i grassi saturi e incombe su un uomo provato che ha ancora molto da dire a chi non ha più voglia di ascoltare. Ma la riflessione di Allen sul cinema e sulla vita non si limita agli spezzoni dei sogni. Tutto lo scontro tra Philippe e Mort ricalca la posizione di Allen su un cinema che “non è più quello di una volta”. Mort ha la passione per i maestri europei, Philippe si rifà agli americani. Philippe piace a un’industria che, per Mort, è sempre pronta a osannare chiunque butti lì un’idea banale vestendola di (presunto) impegno. “Non sai cosa ha detto Philippe della fame” dice Sue, “che è contro, suppongo” le risponde Mort.
Punti di forza e debolezze – Rifkin’s Festival, la recensione
Rifkin’s Festival è nel complesso un film molto godibile, divertente e brillante. Un film personale, maturo, che tira in qualche modo le fila di una carriera costellata di alti (altissimi) e bassi. Woody Allen torna a collaborare con Vittorio Storaro, portando avanti un sodalizio che dura da quattro anni. Storaro gioca con una luce calda, delicata e con sfumature tendenti al giallo nella realtà; le parti oniriche sono affidate a un bianco e nero molto caro al regista e ben sfruttato. Il racconto procede scorrevole, con trovate e situazioni che non mancheranno di accontentare gli spettatori più affezionati. Risulta un po’ meno efficace tutta la parte dedicata all’infatuazione di Mort nei confronti della bella dottoressa Rojas. Divertente nella premessa – l’ipocondria come molla che fa scattare il corteggiamento -, perde smalto nello svolgimento e finisce col girare spesso a vuoto.
Wallace Shawn (Manhattan, Ombre e nebbia, La maledizione dello scorpione di giada) è perfetto nel ruolo di Mort Rifkin. Caustico quanto basta, nevrotico ed eternamente insoddisfatto (non porta a termine il suo romanzo perché non all’altezza dei capolavori del Novecento) è un personaggio alleniano fino al midollo. L’interpretazione di Shawn ne esalta brillantemente ogni sfumatura, anche in contrasto col personaggio affidato a Gina Gershon. Non si può poi non spendere due parole di lode su Christoph Waltz, impegnato in un insolito cameo bergmaniano. Sorriso beffardo e ironia tagliente, Waltz filosofeggia in una parodia/omaggio folgorante.
Conclusioni
Rifkin’s Festival esce solo ed esclusivamente al cinema e, va detto, tornare a frequentare le sale con un film di Woody Allen ha senza ombra di dubbio il suo perché. Ed è un piacere che questo film sia così legato a doppio filo all’amore per il cinema, ai classici, ai maestri di quest’arte. Magari non sarà un film perfetto, sarà un Allen minore (qualunque cosa voglia dire), ma anche senza eccellere, Woody Allen è un regista che di minore ha ben poco.
Avviandoci alla conclusione della nostra recensione di Rifkin’s Festival non possiamo fare altro che consigliarne la visione. Per la bella fotografia di Storaro, per la prova di Wallace Shawn, per sentir parlare di Cinema al cinema ironizzando sui grandi classici. O ancora per quell’ironia nichilista e malinconica, per i dialoghi brillanti, per gli sketch divertenti e una certa nostalgia di fondo che permea ogni film di Woody Allen. Rifkin’s Festival è un film piacevole, intelligente e divertente; il film di un regista che conferma di avere molto da dire per chi ancora lo sa e lo vuole ascoltare.
Rifkin's Festival
Voto - 7
7
Lati positivi
- Gli estimatori di Woody Allen ritroveranno tutto ciò che amano dei suoi film in una declinazione in chiave matura e consapevole
- I sogni cinematografici, i dialoghi asciutti e divertenti, l'ironia inconfondibile e la prova di Wallace Shawn rendono il film piacevole e molto godibile
Lati negativi
- Il racconto dell'infatuazione di Mort gira un po' a vuoto e non tiene il passo col resto del film