Serenity – L’isola dell’inganno: recensione del film con Matthew McConaughey e Anne Hathaway

Arriva in Italia il thriller che ha generato più polemiche quest'anno: ecco la recensione di Serenity - L'isola dell'inganno

Serenity recensione – Uscito nelle sale americane a inizio anno, Serenity – L’isola dell’inganno è stato in grado di generare tante discussioni e polemiche fra i critici. Scritto e diretto da Steven Knight (Locke), il film è un thriller dalle venature drammatiche, interpretato da Matthew McConaughey (Dallas Buyers Club) e Anne Hathaway (Il diavolo veste Prada). Il cast comprende altri nomi noti come Diane Lane (L’uomo d’acciaio), Jason Clarke (Pet Sematary) e Djimon Hounsou (Blood Diamond).

La storia ha come protagonista Baker Dill, uomo solitario e taciturno che ha mollato tutto per trasferirsi su un’isola al largo della Florida. Le sue giornate passano fra uscite in barca per turisti, tanto alcool e incontri sessuali con la matura Constance. Tutto cambia quando sbuca dal passato la sua ex moglie, Karen, con una proposta: aiutarla a uccidere il suo violento marito. Una storia dal carattere decisamente noir, che ricorda grandi classici come La fiamma del peccato.

Tra noir e thriller dalle atmosfere torride in stile anni ’90, Serenity è un’opera ricca di stereotipi e citazioni. Un’operazione che ha una motivazione, svelata a metà del film con un plot twist inaspettato e che stravolge tutte le carte in tavola. Proprio questo colpo di scena è stato l’elemento più discusso: c’è chi l’ha odiato, chi l’ha ridicolizzato e chi l’ha apprezzato per il coraggio. Tra mix di generi, incoerenze e desiderio di andare fuori dagli schemi, Serenity pecca di ambizione ma non può essere totalmente accusato di essere ridicolo. Scoprite nella nostra recensione il nostro giudizio approfondito sul film.

Indice

Serenity recensione

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Baker Dill (Matthew McConaughey), in fuga dal suo passato, si è ritirato su Plymouth Island, isola al largo della costa della Florida. Il lavoro che svolge principalmente è portare in giro con la sua barca ricchi e antipatici turisti, che vogliono pescare e rilassarsi. In queste battute di pesca cerca di catturare ogni volta un gigantesco tonno, che ha chiamato “Justice“. Il resto del tempo il solitario protagonista lo impiega fra varie bevute di alcool e incontri sessuali con la matura Constance (Diane Lane).

Una sera, su quest’isola dove tutti sanno tutto, arriva la sensuale e misteriosa Karen (Anne Hathaway). La donna è l’ex moglie di Baker ed è giunta a Plymouth, dopo una lunga ricerca, per trovare l’uomo e chiedergli aiuto. Il suo nuovo marito (Jason Clarke) è spregevole e violento, non solo con lei ma anche con il bambino che lei ha avuto da Baker. Per questo Karen chiede aiuto al suo ex per uccidere suo marito. In cambio dieci milioni di dollari. La realtà di Baker cambia drasticamente, soprattutto quando verrà a conoscenza della verità che si cela dietro tutto ciò che lo circonda.

Serenity: quando il noir si rivoluziona

L’intenzione era costruire una storia piuttosto convenzionale, quasi un noir anni ’40 e ’50, con il ritorno dell’ex moglie e il piano omicida. Poi, nel momento meno indicato per la storia, si trattava di buttare tutto quanto all’aria e tentare qualcosa di completamente diverso. Non volevo allestire il plot fin dall’inizio, ma fare in modo che saltasse fuori dal nulla, preceduto al massimo da qualche seme gettato qua e là. Si trattava di vedere come tenere in piedi un personaggio, mentre sperimenta un’avventura assurda e si confronta coi suoi dubbi esistenziali

Con queste affermazioni, il regista cerca di spiegare le caratteristiche della sua opera, riuscendoci perfettamente. Serenity, sin dal trailer e durante la sua prima parte, si mostra allo spettatore come un neo-noir, che cita diversi elementi di alcuni grandi film, come La fiamma del peccato. A questo però si aggiunge un’ambientazione e un’estetica tipica di certi film anni ’80 o di thriller anni ’90: impossibile non notare vari collegamenti con opere di Adrian Lyne (regista di 9 settimane e ½) o film come The Hot Spot – Il posto caldo o Sex Crimes – Giochi pericolosi. Atmosfere patinate e sudate fanno da padrone a Plymouth Island. In questo contesto, inoltre, tutti i personaggi sono poco caratterizzati e ricchi di stereotipi.

Queste caratteristiche sono utilizzate da Knight in funzione di un plot twist, che sconvolge non solo la vita di Baker Dill ma anche le aspettative di noi spettatori. Improvvisamente il noir si fa ancor più contemporaneo e arriva a scontrarsi con un genere filmico totalmente agli antipodi. Il colpo di scena, infatti, porta con sé un’incursione estrema in una sorta di fantascienza, che vuole però essere alta, collegandosi a tematiche come il senso di responsabilità, la famiglia e la giustizia. Un’operazione ambiziosa, che non riesce a soddisfare completamente.

Serenity recensione: opera di culto o flop totale?

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L’operazione di Steven Knight non si può che definire coraggiosa, ambiziosa e decisamente fuori dagli schemi. L’intenzione di sconvolgere la trama e l’ambizione di trattare un materiale narrativo estremamente delicato incontrano, tuttavia, diverse contraddizioni. Il colpo di scena non è così nascosto, anzi risulta troppo telefonato a causa di piccole scene che lo anticipano. Durante la visione di esse, inoltre, si spera proprio che non si voglia arrivare a quel risultato. In più la sceneggiatura, scritta dallo stesso Knight, non è curata in tutte le sue parti, rivelando anche alcune incoerenze. Per questi motivi Serenity è un vero e proprio divertissement creato dal regista e sceneggiatore, in grado di dividere nettamente in due i suoi spettatori, che lo ameranno o lo bocceranno senza perdono.

Non si può però rimanere totalmente indifferenti di fronte a un film simile. Knight crea un esempio particolare di cinema postmoderno, citando film noir e tendenze cinematografiche di periodi più recenti e adattandoli alla nostra era digitale. In più gioca consapevolmente con gli stereotipi, arrivando quasi a esagerarli enormemente: l’esempio lampante è la Karen di Anne Hathaway, femme fatale dalla chioma bionda palesemente finta. Il problema più grande, alla fine, è che Knight si spinge a divertirsi troppo, rendendo la sua opera complessivamente incoerente. Il finale, ricco di sentimento che può anche commuovere, stona un po’ troppo con le atmosfere precedenti, dove sembrerebbe prevalere la componente thriller. Ma anche questa tuttavia non è ben costruita.

Il regista e il cast

Serenity rappresenta per Steven Knight il ritorno alla regia, dopo la lodevole prova di Locke, film del 2013 con Tom Hardy. L’opera era un thriller diverso dal solito, ambientato tutto dentro un’automobile, in cui il protagonista tenta di risolvere, con diverse telefonate e “chiacchierate” con sè stesso, i problemi della sua vita. Dopo un simile lavoro, dunque, le aspettative erano alte. In più Knight si era occupato anche della sceneggiatura di recenti buoni film come Allied – Un’ombra nascosta, Il sapore del successo e Millennium – Quello che non uccide. Con Serenity il regista tenta di toccare un apice altissimo, ottenendo come risultato una caduta con diversi scossoni, che conduce non a una bocciatura completa ma a un giudizio misto, fra la sufficienza e non.

A cause delle tante critiche poco lusinghiere, dispiace pensare che probabilmente con Serenity la carriera di Matthew McConaughey e Anne Hathaway rischi di subire una battuta d’arresto. Il primo ha avuto un grande periodo d’oro qualche anno fa, tra Dallas Buyers Club e The Wolf of Wall Street, ma successivamente si è perso fra lavori come La torre nera e La foresta dei sogni. McConaughey ha talento e si spera che possa trovare presto un nuovo progetto in cui poter tornare a brillare. La Hathaway, invece, appare qui troppo impostata e poco convincente, probabilmente anche a causa del suo personaggio, un mix di omaggio al passato e parodia. Fa piacere, infine, ritrovare sugli schermi Diane Lane, attrice poco valorizzata ma di talento, in grado di brillare sia in ruoli comici che drammatici.

Serenity recensione: conclusioni

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Come definire in poche parole Serenity? Un noir postmoderno che si rivoluziona intrinsecamente? Un grande omaggio a tradizioni del passato che si incontra con le manie del presente? Un finto film di fantascienza che esplora tematiche umane e intime? Steven Knight non ci ha reso facile il compito.

Serenity – L’isola dell’inganno è decisamente il film che vuole attirare in ogni modo attenzione su di sè, mettendo in gioco tante cose, forse troppe. Vengono mixati insieme noir, thriller anni ’90, atmosfere anni ’80, stereotipi, un esplosivo plot twist e persino la fantascienza (però intima). Il risultato finale si muove dunque fra opera che sarà considerata di culto da alcune piccole cerchie e flop di dimensioni colossali, in grado di attirare su di sé i commenti più maligni della critica. Il nostro giudizio finale si muove su un terreno intermedio, poiché oltre quello non ci sembra possibile andare.

L’ultima opera di Steven Knight è ambiziosa (anche troppo), coraggiosa, originale nel rimaneggiare riferimenti, citazioni e tradizioni cinematografiche e letterarie. Tuttavia alla fine tutto risulta troppo incoerente, con i diversi generi filmici trattati poco legati fra di loro. In alcune parti il film appare anche lento, poco interessante e non avvincente. Il plot twist, poi, non funziona e lascia anche perplessi. Il finale risolleva un po’ il tutto, svelando retroscena interessanti e che possono anche commuovere. Il giudizio complessivo però rimane invariato.

Serenity - L'isola dell'inganno

Voto - 5.5

5.5

Lati positivi

  • Omaggi e citazioni
  • Il finale

Lati negativi

  • Progetto troppo ambizioso che si rivela incoerente
  • Il plot twist che non funziona bene

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