Slow Horses: recensione della serie Apple TV+ con Gary Oldman
Su Apple TV+ una serie spy thriller da non perdere, con Gary Oldman, Jack Lowden e Kristin Scott Thomas
Slow Horses, di cui vi proponiamo la nostra recensione, è la serie spy thriller di Apple TV+ tratta dall’omonimo romanzo di Mick Herron del 2010. Protagonista nei panni di Jackson Lamb, burbero, trasandato e geniale leader delle spie fallite dell’MI5 che lavorano alla Slough House – in italiano il pantano – uno strepitoso Gary Oldman, all’ennesimo confronto con una nuova entusiasmante declinazione del suo stile interpretativo. Ad affiancarlo, un cast decisamente all’altezza, in cui spiccano i nomi di Kristin Scott Thomas, Jack Lowden, Olivia Cooke e Jonathan Pryce. Kristin Scott Thomas è Diana Taverner, vice Direttore Generale dell’MI5 che, dall’impeccabile sede all’avanguardia dell’MI5 a Regent’s Park, non perde occasione di ricordare a Lamb e ai Ronzini – così sono soprannominati gli agenti della Slough House – quanto faccia male precipitare dai vertici e affondare nel pantano.
Fra i Ronzini, River Cartwright (Jack Lowden) è quello che più di tutti risente ancora dei danni della retrocessione, avvenuta proprio sotto gli occhi di Taverner nel corso di una missione clamorosamente fallita. Alla Slough House tutto procede fra squallore e monotonia fin quando il caso del rapimento di un ragazzo pakistano da parte di un gruppo di estremisti di destra scuote la nazione. I Ronzini di Lamb si ritrovano invischiati in un’operazione rischiosissima, dove il doppio gioco e gli stratagemmi dell’MI5 la fanno da padroni. Un’operazione che per tutti gli slow horses, e per Cartwright in particolare, potrebbe rappresentare l‘occasione per risorgere dalle ceneri e, magari, risalire la vetta. Nei sei episodi diretti da James Hawes, Slow Horses tesse le fila di una spy story di impianto piuttosto classico, ricchissima del miglior humour inglese, che coniuga con encomiabile equilibrio dramma, thriller e commedia, riuscendo nell’intento di intrattenere dal primo all’ultimo minuto innestando una serie di riflessioni anche profonde sull’animo umano. Tutti e sei gli episodi di Slow Horses sono ora disponibili su Apple TV+.
Indice:
- It’s a strange, strange game
- Fra azione, intrighi, british humour: una formula vincente
- In conclusione
It’s a strange, strange game – Slow Horses recensione
Somewhere a ghost of a chance
To get back in thath game
And burn off your shame
And dance with the big boys again
Recita così una delle strofe di Strange Game, il brano di Mick Jagger che fa da sigla di apertura di Slow Horses. Una riflessione sui protagonisti di questa storia, un gruppo di reietti che si aggrappa a uno straccio di speranza (“a ghost of a chance”) per rimettersi in gioco e cancellare la vergogna del fallimento. River Cartwright finisce tra i Ronzini della Slough House dopo un errore – molto pubblico e maledettamente cruciale – nel corso di una importantissima missione di prova. Un errore che gli costa la carriera a Regent’s Park e lo fa finire in mezzo ad altri agenti che, come lui, sono caduti in disgrazia per le più svariate ragioni. Jackson Lamb non ha un briciolo di comprensione (ma è davvero così?) per i suoi uomini che considera, chi più chi meno, delle autentiche palle al piede.
Nel corso dei sei episodi di Slow Horses abbiamo occasione di conoscere meglio gli uomini e le donne che lavorano per Lamb. Con pochi tratti sapienti – frutto di una scrittura perfettamente sintonizzata col genere – andiamo a fondo della loro psicologia, del loro passato, scoprendo come sono finiti alla Slough House e qual è la spinta che li muove a cercare di riemergere dal pantano. Non solo quello lavorativo, ma anche quello personale e privato in cui sono invischiati. Più spazio è dedicato a Lamb e Cartwright, i personaggi principali della serie, ma non è loro appannaggio esclusivo. Ogni ronzino ha il suo arco narrativo dotato del giusto respiro e spessore: una mossa che facilita l’empatia se non addirittura l’immedesimazione. Perché, in fondo, chi non ha dovuto risalire una china almeno una volta nella vita, scrollandosi di dosso la vergona per rientrare in gioco?
Fra azione, intrighi e british humour: una formula vincente – Slow Horses recensione
Della profondità psicologica dei personaggi, perfettamente analizzata e amalgamata nel tessuto narrativo di Slow Horses abbiamo detto poco sopra. Un altro punto forte di questa serie è l’armonia e il bilanciamento delle sue parti fra azione, intrighi e segreti, generose dosi di british (e black) humour e una piega drammatica, soprattutto mentre ci si avvicina al finale. La sequenza di apertura – 10 minuti buoni di un inseguimento con protagonista River Cartwright magnificamente diretto, interpretato e coreografato – introduce all’azione con una bella carica di adrenalina. Fatte le dovute presentazioni – in primis quella di Lamb – veniamo catapultati in una vicenda a tratti un po’ troppo intricata (qualche snodo non è chiarissimo) ma ricca di colpi di scena e svolte improvvise. Doppio gioco, retroscena e fascicoli segreti e in generale un ritratto non proprio lusinghiero dell’MI5.
Slow Horses omaggia il genere spy e si pone nel contempo come una sorta di rovesciamento dei canoni tipici di una saga come quella di James Bond, la spia per eccellenza. I momenti più caustici e amaramente divertenti sono per buona parte veicolati dal personaggio di Lamb, così come i risvolti psicologici più oscuri e drammatici, ma non solo. L’amalgama del cast è notevole fra Jack Lowden (a cui non si riesce a trovare un difetto nemmeno volendo), Kristin Scott Thomas (spietata nei panni di Taverner), ogni comprimario e Jonathan Pryce impegnato in una parte breve per minutaggio ma non per impatto e importanza nella trama. La formula di Slow Horses funziona a dovere, senza cali di tensione o lentezze, senza inserimenti forzati o linee narrative appena abbozzate. Un pregio non da poco che spinge a divorare gli episodi uno dopo l’altro.
In conclusione
Il catalogo di Apple TV+ si distingue nel panorama delle piattaforme streaming per contenuti di qualità. Per citare solo alcune delle uscite più recenti basterebbe citare Severance o Pachinko. O Roar, autentico gioiellino dai tratti sperimentali trainato da un cast tutto al femminile davvero eccellente. Slow Horses è una produzione di qualità, anche dal punto di vista tecnico, in seno a un genere ben codificato e classico, che le penne di Morwenna Banks, Will Smith, Johnny Stockwood e Mark Denton sanno in qualche modo rileggere in maniera efficace. Il cast è eccezionale, con un Gary Oldman che ancora una volta sa rinnovarsi centrando in pieno ancora un altro ruolo, ancora un altro personaggio. Jack Lowden, con il suo Cartwright tormentato, tenace a affamato di rivalsa, colpisce per presenza scenica e sfumature. E così fanno anche i comprimari, nessuno escluso, ciascuno agevolato da una scrittura a tutto tondo.
Avviandoci verso la conclusione della nostra recensione di Slow Horses non possiamo fare altro che consigliarvene caldamente la visione. Una serie che parte in quarta con ritmo, azione e ironia per poi giocarsi tutte le carte con uno sviluppo via via più profondo e drammatico, con riflessioni non banali sui temi del riscatto, della rivalsa, del senso di appartenenza. Slow Horses è già stata rinnovata per una seconda stagione che – garantito – appena finita la prima avrete già voglia di vedere.
Slow Horses
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- Azione, intrighi, svolte drammatiche e british humour amalgamati perfettamente in una serie che intrattiene e tiene incollati dal primo all'ultimo episodio
- Un'interessante riflessione sull'animo umano, sui concetti di riscatto, rivalsa e senso di appartenenza
- Il cast è davvero eccellente
Lati negativi
- Qualche svolta narrativa poco chiara e troppo contorta