Smile: recensione dell’inquietante horror di Parker Finn
Dal 29 settembre al cinema il lungometraggio d'esordio di Parker Finn: arriva Smile, horror psicologico con protagonista Sosie Bacon
Smile significa sorriso e si direbbe un titolo veramente poco azzeccato per un film horror. Ma, come vi diremo meglio nella nostra recensione di Smile (qui il trailer), non bisogna mai fermarsi alle apparenze. Il “sorriso” dell’opera prima di Parker Finn, regista e sceneggiatore, è infatti tutt’altro che allegro e benevolo. L’esordiente cineasta ci introduce la sua vena artistica con un horror psicologico dalle tinte veramente inquietanti e dark quasi come Ari Aster in Hereditary. Una pellicola oscura e disturbante, disseminata di fin troppi jumpscares (per lo più attesi) che vi tormenterà per circa due ore di girato. Un minutaggio decisamente eccessivo. Ma andiamo con ordine.
Abbiamo a che fare con un horror psicologico che fonda le sue basi in quel paranormale demoniaco che già abbiamo conosciuto in molti altri film. Potrebbe trattarsi in realtà di una pellicola con una precisa e delineata vena autoriale, ma diverse (scellerate) scelte ce lo hanno reso semplicemente l’ennesimo horror dei tempi moderni. Un qualcosa di commerciale, divertente, ben vendibile e soprattutto il possibile incipit di quello che potrebbe essere l’ennesimo franchise di successo (alla The Conjuring per intenderci). Se volete conoscere la nostra opinione sul film di Parker Finn proseguite con la lettura della nostra recensione di Smile.
Indice:
La trama – Smile recensione
La vicenda prende il via quando la paziente di una clinica psichiatrica si suicida brutalmente dopo aver riferito di essere tormentata da spaventose visioni. L’aspetto più agghiacciante della vicenda è che mentre si infligge le ferite mortali la vittima ha stampato sul volto un sorriso malvagio. E quel sorriso non riesce certo più a toglierselo dalla testa la dottoressa Rose Cotter (Sosie Bacon), unica testimone diretta di questo evento drammatico.
Nel tornare a casa le sembra di rivedere tra la penombra della stanza la ragazzina che si è suicidata, sempre con quel sorriso malefico stampato in volto. Ma le allucinazioni uditive e visive si fanno sempre più frequenti e persistenti nella sua mente. Rose non distingue cosa sia effettivamente reale e viene scambiata da tutti per una malata psichiatrica. Indagando su quanto le sta accadendo dopo aver assistito a quel suicidio, capisce di essere entrata in una sorta di catena mortale inarrestabile. E la cosa più spaventosa è che nessuno sembra capirla veramente.
Analisi in breve – Smile recensione
Mi piacerebbe poter scrivere “Parker Finn, buona la prima”, ma troppe sono le cose che mi hanno fatto storcere il naso nel suo Smile. Il film è un horror puro, mischia elementi psicologici (che vanno ormai molto di moda) al paranormale e tutto sembra avere una sua struttura e coerenza. Le atmosfere sono cupe, i risvolti della trama a dir poco inquietanti così come alcuni dei personaggi. È sicuramente un mondo inospitale per Rose Cotter, allontanata da tutti, persino dai parenti stretti che l’additano come una folle.
Ma d’altronde la malattia mentale è un qualcosa che ha da sempre caratterizzato la sua famiglia e Rose questo lo sa fin troppo bene. Sarebbe bastato tutto questo per spaventare il pubblico. Un po’ come aveva fatto già Ari Aster nel suo Hereditary creando, grazie anche ai toni dark della sua fotografia e della trama, una tensione palpabile ad ogni frame senza necessariamente martellare il pubblico con fastidiosi jumpscares.
La paura
Evidentemente Parker Finn non si accontenta di creare solo suspense e inquietudine e si gioca così la carta dei jumpscares. Ora, va bene spaventare e far sobbalzare il pubblico sulle poltrone, ma quando si calca un po’ troppo la mano il film rischia di diventare stucchevole. Specie se dura quasi 120 minuti, decisamente troppi per un horror così strutturato ed intenso. Basterebbe ogni tanto dare anche solo l’impressione a chi guarda che qualcosa possa succedere all’improvviso, senza realmente farla accadere. Questa è suspense. Invece far accadere ogni volta un qualcosa quando ci aspettiamo che effettivamente accada è fin troppo ripetitivo e di minor interesse.
Il film diventa talmente schiavo di questo rituale per spaventare il pubblico che perde di vista qualsiasi altra “velleità”. Si affossa senza sviluppare ulteriormente la trama, rallentando il ritmo. Diversi in tal senso sono gli elementi che ci hanno lasciato perplessi. Sembra quasi che Parker Finn non abbia volutamente aggiunto altri elementi per lasciare tutto in sospeso, e dare magari seguito ad un sequel. O più di uno. Ma rimanendo su Smile si sente la mancanza di un vero e proprio background di demonologia, un excursus sul perché accadano certe cose. Insomma va bene l’horror ma non bisogna solo cercare di terrorizzare il pubblico, quanto meno per non scadere troppo in un prodotto commerciale.
Aspetti tecnici
Pur non trattandosi di un cast stellare abbiamo trovato interessanti le interpretazioni di praticamente quasi tutti i personaggi, fondamentali per creare quell’atmosfera cupa che ha ricercato il regista. Sempre rimanendo sul versante tecnico possiamo dire di aver veramente molto apprezzato Smile. La regia di Parker Finn è eccezionale nel creare la giusta tensione di scena: in particolar modo le inquadrature, specie quelle in soggettiva, e la fotografia giocata sull’assenza di luce in molte delle scene chiave del film. Il sonoro invece, in linea con quanto detto prima sui jumpscares, è fin troppo invasivo e rumoroso. Fracassare i timpani all’improvviso non è forse il miglior modo per mettere paura.
In definitiva l’opera prima di Parker Finn poteva essere ben più di un ennesimo horror moderno. Ci aspettavamo più autorialità da un regista esordiente, un qualcosa molto più vicino ad un film di Scott Derrickson (Black Phone, Sinister) o Ari Aster (Hereditary, Midsommar) che ad Annabelle tanto per intenderci. Un film rovinato dagli eccessivi jumpscares che lo rendono pesante, ripetitivo e schiavo di un formula che non porta mai ad evolvere la trama come dovrebbe. Non ci sono grandi colpi di scena, né risvolti interessanti della storia o del background. Tutto rimane vago, solo accennato, forse volutamente non approfondito per lasciare materia da trattare anche per eventuali sequel. Anche perché lo sappiamo ormai quale è la formula: divertire, replicare. D’altronde si parla sempre di Industria cinematografica.
Le nostre conclusioni
Smile è un horror che ci sentiamo di consigliare solo ai veri amanti del genere. Non ci sono elementi che lo potrebbero rendere interessante ad un pubblico più vasto a causa soprattutto di uno script piuttosto debole. Ma soprattutto la frequenza ed intensità dei jumpscares risulterebbe indigesta a chi si aspetta di vedere un qualcosa di più leggero, magari a metà tra il thriller e l’horror puro. Peccato, perché Parker Finn poteva veramente fare una grandiosa entrata in scena con questo suo primo lungometraggio. Smile mette paura, è disturbante, oscuro, maligno, uno di quei film carichi di negatività che ti lasciano senza speranze.
Bene dunque l’antefatto, le atmosfere, l’idea di fondo che ripropone il tema della maledizione/catena, un qualcosa sicuramente non originale ma che in Smile funziona comunque benissimo. L’eccessiva lunghezza, il voler spaventare ad ogni costo lo spettatore con scene forti, la voglia di creare probabilmente dei sequel hanno ridotto il lavoro di Parker Finn ad un qualcosa di più commerciale. Decisamente meno interessante. Peccato. Ci sarebbe piaciuta una formula “più soft”, meno pretenziosa sul versante scary e magari più concentrata sull’effettiva solidità della storia. Consigliato solo ad amanti del genere horror puro, gli altri lascino perdere.
Smile
Voto - 6
6
Lati positivi
- Atmosfere cupe e inquietanti
- A tratti davvero spaventoso
Lati negativi
- La durata è eccessiva
- Troppi jumpscare
- Evidenti buchi nella trama