Thank You, Goodnight: The Bon Jovi Story, recensione della docuserie su Disney+
La leggenda di Jon Bon Jovi e della sua band rivive in una docuserie capace di unire passato e presente, nostalgia e riscatto
Dal 26 aprile è disponibile su Disney+ la docuserie Thank you, Goodnight: The Bon Jovi Story, dedicata ai quarant’anni della band rock Bon Jovi. Un documentario musicale in quattro parti che mette al centro, in un rimando continuo tra presente e passato, la storia di una delle band più celebri degli anni 80 e 90, dalle origini al successo, fino all’entrata nella Rock and Roll All of Fame e agli ultimi lavori. Tra ampio materiale di repertorio, rivelazioni e interventi di amici, colleghi e vere e proprie icone come Bruce Springsteen, prende così vita una storia dove l’epopea rock incontra il prodotto celebrativo, l’euforia del passato l’introspezione del presente, in un mix non sempre riuscito ma con momenti indubbiamente interessanti.
Prodotta da Religion of Sports e diretta da Gotham Chopra Thank You Goodnight è allo stesso tempo la cronaca di un successo e la parabola di un uomo, Jon Bon Jovi, che si guarda indietro senza smettere (o riuscire?) di guardare avanti. Un ritratto interessante e sorprendentemente sincero, le cui parti migliori restano, però, le immagini di repertorio, i pezzi inediti usciti da vecchie audiocassette, i retroscena e le canzoni che tutti, fan o meno, conosciamo e continuiamo a cantare.
Indice:
Trama – Thank You Goodnight recensione
2022. In vista dei quarant’anni della band, Jon Bon Jovi riunisce il gruppo per un piccolo tour preparatorio. Presto però diventa chiaro come la sua voce non sia più quella di un tempo. Non restano così al cantante che due opzioni: ritirarsi e sciogliere la band o sottoporsi a un intervento alle corde vocali. Indeciso sul da farsi Jon comincia così a ripensare al suo passato, chiedendosi se, a 60 anni, sia diventato davvero l’uomo che avrebbe voluto essere.
Da qui parte un viaggio che inizia in un sobborgo del New Jersey e arriva fino al successo globale. In mezzo, le tappe che ne scandiscono la parabola: dalla formazione della band nel lontano 1983 (insieme a Jon, il chitarrista e co-autore dei pezzi Richie Sambora, il bassista Alec John Such, il tastierista David Bryan e il batterista Tico Torres), al primo singolo di successo, fino ai tour mondiali, alle super hit, agli scioglimenti e ai tentativi di intraprendere carriere soliste. Per poi tornare (quasi) tutti inevitabilmente insieme. Onorando la filosofia di una band abituata a non dire mai addio, solo buonanotte.
Due format in uno
Sembrano esserci due anime, due format ben distinti, all’interno di Thank You Goodnight. Da una parte la narrazione tipica del rock, fatta di repentine scalate al successo, prevedibili crisi e immancabili eccessi; dall’altra la celebrazione fine a se stessa, tra l’agiografico e il confessionale, tipica di molti prodotti recenti di questo tipo. Due differenti modi di raccontare un artista che si rispecchiano anche nei due differenti linguaggi adottati, quello del documento storico, tra foto, testi di canzoni, spezzoni di concerti e interviste dell’epoca e quello della confessione, appunto, delle “teste parlanti” e dello sguardo in macchina, tra rivelazioni, paure ed emotività esibita.
Ed è il primo approccio, indubbiamente, a funzionare di più. A restituire, attraverso la sua confezione accattivante e giocosa, lo spirito della rock band dalle origini ai giorni nostri, nonostante la storia che racconti passi attraverso tutte le tappe obbligate del caso, tutti i cliché sulla vita da rockstar e sullo stare in una band, tensioni, scontri e allontanamenti compresi. Un elemento già di per sé avvincente cui però la serie decide – forse inevitabilmente – di affiancare una storia parallela. Quella di Jon Bon Jovi ai giorni nostri, alle prese con l’ennesimo ritorno e con le fragilità, i dubbi e i ripensamenti della vecchiaia.
Tra passato e presente
È così che Thank You Goodnight diventa una sorta di ibrido. Un mash up di stili e suggestioni diverse fatto di slittamenti e salti temporali, alla ricerca delle origini di una passione che pare inesauribile. Dall’adolescenza nel New Jersey, spesa cercando di sfondare come l’amico Bruce Springsteen, al primo singolo di successo, Runaways, fino alle super hit dell’album della consacrazione, “Slippery When Wet” (contenente, tra gli altri, i singoli You Give Love a Bad Name e Livin’ on a Prayer), e l’ultimo, grande successo globale con It’s My Life, il passato si confonde così con un presente più riflessivo, più lontano dalle luci della ribalta ma ancora vitale.
“Siamo nati quando il sogno americano era ancora vivo e vegeto”, racconta Jon Bon Jovi alla macchina da presa. E, in fin dei conti, quel sogno pare non averlo mai abbandonato davvero. Nemmeno oggi, alle soglie dei 60 anni, con le corde vocali distrutte e una reunion dietro l’angolo. È in fondo questo lo “script” della serie: la storia, universale, di un uomo maturo che si guarda indietro ma si ostina a non cedere alla nostalgia o alla rassegnazione, desideroso di scrivere un altro capitolo della sua parabola artistica.
Anche le rockstar piangono
Una parabola che la serie, attraverso quattro, corposi episodi (tutti oltre l’ora di durata), si premura di raccontare, seguendo ogni tappa obbligata del caso e narrandoci ora del successo improvviso e quasi provvidenziale della band, ora dei suoi eccessi (i problemi con la giustizia dello storico manager Doc McGhee, le dipendenze di Alec John Such e di Richie Sambora che li porteranno, in periodi diversi, a lasciare il gruppo). Senza trascurare le dinamiche al suo interno e i cambiamenti di una band capace di trasformarsi e reinventarsi senza mai tradire se stessa.
Una serie sicuramente interessante per fan e non, cui pesa però una parte, quella ambientata nel presente, decisamente troppo lunga e insistita. Così concentrata a ricevere le confessioni a cuore aperto del suo protagonista da non accorgersi di allungare una vicenda per cui, forse, sarebbero stati sufficienti tre episodi. Un eccesso di sentimentalismo che comunque si finisce col perdonare a un prodotto più sincero della media, ancora capace di mettere la musica al centro del suo racconto.
Thank You, Goodnight: The Bon Jovi Story
Voto - 7
7
Lati positivi
- La serie, seppur celebrativa, riesce a mantenere un certo distacco dal suo oggetto, dimostrandosi più sincera di quanto si sarebbe potuto immaginare
- I primi episodi, con il loro racconto dalle origini al successo mondiale, sono avvincenti e dosano bene materiali di repertorio e interviste
Lati negativi
- La parte più introspettiva e “confessionale” ambientata nel presente è troppo lunga e insistita
- Con un episodio in meno (o con episodi dalla durata inferiore) la serie sarebbe potuta essere meno dispersiva