The Eddy: recensione della miniserie targata Netflix
Tra le strade di Parigi, il progetto di Jack Thorne e Damien Chazelle rivede il concetto di "musica al centro"
Sembra passata un’eternità da quando Netflix annunciò la produzione di The Eddy, serie di cui vi parleremo in questa recensione. Era il 2017 e il colosso dello streaming puntò fortemente sul nome di Damien Chazelle per promuovere una miniserie che, a detta delle prospettive, profumava già di successo annunciato. Al timone di un progetto lungo e ambizioso, il cui sviluppo risale addirittura nel 2013, si sono così riunite quattro eccellenze: l’autore Jack Thorne – recentemente showrunner della serie HBO His Dark Materials; il regista di La La Land, coinvolto nel progetto ancor prima del successo di Whiplash; Alan Poul, produttore e regista di serie quali Six Feet Under e The Newsroom; e Glen Ballard, pluripremiato compositore e produttore musicale con 5 Grammy in bacheca.
Dall’incontro tra questi ultimi è nata l’idea di un racconto musicale, un esperimento che non si concentrasse solamente sulla musica jazz ma che la rendesse in tutto e per tutto l’elemento focale della narrazione. Protagonista delle vicende è Elliot Udo (André Holland), celebre pianista ritiratosi dalle scene in una Parigi di periferia e adesso proprietario del The Eddy, jazz club aperto con l’amico Farid (Tahar Rahim). Attorno al locale e alla sua band, composta da personaggi dalle culture e dai passati differenti, ruotano le vicende di individui costretti ad affrontare situazioni complicate e le conseguenze dei propri errori.
Indice
La musica al centro – The Eddy recensione
L’intenzione di The Eddy si mostra ambiziosa sin dalle sue prime inquadrature. Inserire la musica nel cuore di un prodotto seriale, con una preponderanza così marcata, è qualcosa che raramente si è visto fare in tv. Ogni pezzo è stato composto da Ballard, suonato e registrato interamente dal vivo dagli stessi interpreti dei personaggi. Eccezion fatta per Elliot e la cantante Maja (Joanna Kulig, la musa di Pawel Pawlikowski in Cold War), tutti i membri della band sono musicisti professionisti con alle spalle poca o nessuna esperienza attoriale. Un elemento rischioso, ma che esalta ogni brano eseguito su schermo: le performance del gruppo si dimostrano il vero “spettacolo” della serie, spesso ammirate nella loro interezza insieme alle reazioni del pubblico.
La musica rappresenta in più occasioni il vero collante fra i personaggi, nelle gioie e nei dolori. È in questi momenti che The Eddy mostra il suo lato migliore, evidenziando la potenza salvifica dell’arte – che sia la forza motrice di un uomo turbato, l’unica via di fuga da un’esistenza difficile o il mezzo espressivo di un giovane sognatore. E il jazz si esalta maggiormente come forma d’arte che esplora e scava in fondo all’anima, decostruendo la struttura alla ricerca del senso profondo delle cose. Lo show mette in scena il delicato equilibrio tra introspezione e analisi, giocando su un interessante parallelismo: come le note su uno spartito, qualsiasi uomo può perdersi tra percorsi curiosi o prendere deviazioni inaspettate rispetto al percorso prestabilito.
Anime fragili – The Eddy recensione
La dinamica della serie gioca molto sulle relazioni fra i personaggi e fa della potenza attoriale dei suoi interpreti un grande punto di forza. Ciò che sorprenderà, proprio alla luce delle premesse, è la perfetta collocazione di chi attore non lo è affatto: la maggior parte dei musicisti riesce persino a esaltarsi al di fuori del palcoscenico. Ad alcuni di essi viene anche dedicato un episodio, un po’ come una variazione sul tema principale utile ad apprendere di più sulle rispettive storie e difficoltà. Il racconto di queste anime fragili condisce la narrazione con realismo e umanità, superando in diverse occasioni il mordente della storyline principale.
Pur scorgendo occasionalmente questi frammenti di vita vissuta, il focus della narrazione converge quasi sempre sulla relazione padre-figlia tra Elliot e Julie (Amandla Stenberg). La dinamica affettiva tra i due, inserita nel caotico contesto delle vicende, riesce ad esaltare le rispettive performance evidenziando punti di forza differenti. La Stenberg è una vera mina vagante, un personaggio altamente imprevedibile che riesce però a maturare nel corso degli episodi; André Holland, dal canto suo, si conferma uno degli interpreti più interessanti della sua generazione: Elliot rimane spesso imperscrutabile, almeno all’apparenza, permettendo a contrasti, contraddizioni e fragilità di emergere con grande potenza. Tra relazioni complicate, intrighi e segreti pronti ad essere svelati, il mondo di The Eddy rischierebbe facilmente di crollare su se stesso senza l’apporto dei suoi protagonisti.
Chi guarda il diverso
Allontanandosi dalla band e dai suoi comprimari, la serie sceglie di puntare con forza sulla “sua” Parigi. A giudicare dai vari elementi, non c’è alcun dubbio che Chazelle fosse il nome perfetto per indirizzare la visione dell’opera; ma le differenze con la tradizione filmica sono sostanziali. La città non viene mai ripresa nei suoi luoghi più celebri, preferendo la vita dei quartieri etnici alla “jewel box” parigina che il cinema ha insegnato ad amare. La Tour Eiffel appare di sfuggita in un paio di inquadrature al massimo, velata tra gli agglomerati urbani e ben lontana dal cuore delle vicende. I contesti dei quartieri più moderni sono raramente mostrati su schermo, ma qui trovano ampio spazio. Con i primi due episodi da lui diretti, Chazelle detta la strada da seguire anche per i successivi.
Tra lunghi piani sequenza e riprese con camera a mano, The Eddy si mostra in tutta la sua maestosità visiva; il “cinema dell’inseguimento” che ha reso celebri i cineasti francesi viene spesso omaggiato nell’esecuzione, ma evidenzia differenze sostanziali tra forma e contenuto. “La differenza è la nostra forza” recita un manifesto tra le banlieue del tredicesimo arrondissement, e Chazelle, cresciuto in quei quartieri e a contatto con quelle realtà, spazia tra contesti differenti e li pone in contrasto con l’euforia del palcoscenico. A Thorne il merito di aver scommesso sul costante multi-linguismo dei dialoghi, emblema della grande varietà culturale parigina. Anche se lontana dai suoi monumenti storici, la città pulsa di vita grazie ai suoi abitanti. Gli switch linguistici sono onnipresenti e il frenglish col quale si destreggiano i personaggi rappresenta la nota più originale del progetto.
Quando l’opera si fa corale – The Eddy recensione
Pur con una qualità così elevata, The Eddy rischia fin troppo spesso di perdersi fra i suoi dettagli. Diluendo le proprie sottotrame, cercando di giustificare col comportamento del suo protagonista scelte narrative abbastanza deboli, tale rischio diventa concreto in più occasioni. Se il ritratto di personaggi e contesti sociali incuriosisce ed emoziona quando è accompagnato dalla musica, la componente thriller non garantisce lo stesso effetto e pare quasi forzata per dare un tono alle vicende. Come ribadito dagli stessi creatori, non è quello il focus dell’opera. Dedicar meno spazio ad elementi non propriamente originali avrebbe forse garantito più armonia e fluidità.
Al netto della gestione corale dell’opera e di alcune discordanze, sarà curioso osservare l’impatto della serie sul pubblico. Una cosa è certa: The Eddy osa senza paura e si prende le proprie responsabilità; proprio come un musicista imbraccia il suo strumento senza paura mentre si lancia in un’improvvisazione. Senz’altro, il vortice di suoni e atmosfere uniche riuscirà a catturare chi ha occhi e orecchie per apprezzare le sottigliezze. Saggio dire che, in attesa di risposte concrete, “stasera tutti hanno ragione”; per quanto mostrato fin qui, che si sia appassionati o semplici curiosi, lasciarsi sorprendere da The Eddy potrebbe essere la scelta migliore che si possa fare.
A vortex of sound revolving around, dissolving you down to the essence
Of secret desires that midnight inspires, sweetest surrender pulling you under
The Eddy
The Eddy - Recensione
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- Impronta stilistica eccellente, che si esalta anche oltre gli episodi di Chazelle
- Musicisti dal carisma magnetico e personaggi interessanti
- Un contesto multiculturale dalla profondità notevole, abile e coraggioso nella messa in scena
Lati negativi
- Alcune sottotrame non rendono giustizia alla qualità complessiva del prodotto
- Ritmo altalenante fra elementi che rischiano troppo spesso il contrasto