The Hater: recensione del film disponibile su Netflix
Il regista di Chorpus Christi torna con un film sull'emarginazione moderna e l'odio nei social
Nelle tematiche, tutte in divenire, espresse nel cinema del trentanovenne Jan Komasa sembra delinearsi un denominatore comune: l’emarginazione e la lotta del singolo contro un élite. Nel 2014, in City 44 il regista polacco raccontava storie giovanili di amore e d’amicizia durante la brutale e sanguinosa Rivolta di Varsavia. Tre anni prima in Suicidal Room aveva seguito le vicende di un giovane studente che sceglie l’isolamento virtuale come risposta al bullismo; mentre lo scorso anno aveva colpito pubblico e critica con il film religioso Corpus Christi. Candidato a miglior film straniero agli Oscar 2019, la pellicola rifletteva sulle difficoltà di Daniel, un giovane pregiudicato, nel diventare sacerdote a causa dei suoi precedenti reati. È proprio in questo filone tematico che s’inserisce The Hater, l’ultimo film di Komasa di cui vi proponiamo la nostra recensione.
Riprendendo il disegno precedente ma calcandone la mano, il regista è riuscito a mettere in scena un film che inquadra l’odio nei social come sintomo finale di un malessere sociale ben più radicato. The Hater, disponibile in questi giorni su Netflix, è stato presentato lo scorso marzo in concorso al Tribeca Film Festival vincendo il premio come miglior film internazionale. Intelligente, spietata e assolutamente contemporanea, la pellicola richiama l’ascesa e la caduta fatale del genio di The Social Network e le atmosfere paranoiche di Limitless. Di seguito la recensione di The Hater, il nuovo film di Jan Komasa disponibile su Netflix.
Indice
La trama
Tomasz Giemza (Maciej Musialowski) non ha proprio la stoffa del campione. Il corpo esile, il viso scavato, l’espressione della bocca che lo fa apparire imbronciato, insofferente e sottomesso. È un looser, anzi un creepy come lo chiama Gabi (Vanessa Aleksander), la ragazza amica d’infanzia per la quale eglprova un’attrazione ossessiva ma non ricambiata. Lei, bionda e dall’animo inquieto ma libertino, proviene da una famiglia alto-borghese, dedita alla cultura e all’impegno politico. Lui, appena espulso dall’università perché accusato di plagio, ha un legame speciale con la famiglia di Gabi. Per Tomasz, infatti, i genitori della ragazza sono come degli zii; tanto affettuosi e interessati al suo promettente futuro da pagargli la retta del college. Ma questa non è una storia d’amore. O forse sì.
Perché quell’amore non ricambiato e quell’umiliante sbeffeggiamento per le sue umili origini è in realtà la miccia che farà innescare in Tomasz un meccanismo interiore di rivalsa personale e social(e). Da semplice moderatore di contenuti social, il protagonista entra in contatto con Beata Santorska (Agata Kulesza). La donna è a capo di una società operante nel dark web, impegnata nella diffamazione online di social influencer e candidati politici. Tra le figure pronte ad essere prese di mira via web c’è anche il candidato a sindaco di Varsavia Pawel Rudnicki (Maciej Stuhr), che sullo sfondo in una Polonia in pieno tumulto nazionalista, anti-europeista e anti-migratoria farà del politico liberale e democratico un perfetto bersaglio. Tomasz da inerte pedina diventerà la mano che deciderà le mosse di una partita spietata e immorale fino alle inevitabili e tragiche conseguenze.
Nessuno − The Hater, la recensione
Ispirato da una parte al precedente Suicide Room (2011) e dall’altra all’omicidio di Paweł Adamowicz – il sindaco di Danzica che il 3 gennaio 2019, durante un intervento di beneficenza, venne brutalmente pugnalato al petto da un uomo – The Hater riflette sulla moderna solitudine sociale e sulla marginalizzazione di una parte socioeconomica che riversa sui social network un odio scatenato e spietato. Nonostante non lo giustifichi mai, Komasa fa di Tomasz una figura complessa. Il regista illumina i chiaroscuri e le ombre di una condizione emotiva fragile e sul punto di esplodere.
Prima di rivelarsi come uno spietato creatore di fake news pronto a piegarsi a qualsiasi gioco sporco pur di arrivare al suo scopo, del protagonista ci viene progressivamente raccontata una condizione di anonimato mentale e sociale che lo relegano in un’esistenza borderline e assolutamente anonima. La sofferenza nell’essere “nessuno” in un mondo che t’impone costantemente di essere qualcuno, nel film viene raccontata con arguzia e spessore narrativo: nonostante però la parte centrale risulti a tratti meno forte rispetto alle sequenze iniziali e a quelle finali, culmini di una violenza annunciata. È il dare una visione tortuosa, contraddittoria e ambigua delle motivazioni interiori che portano all’odio e che lo contraddistinguono che fa di The Hater un film che, partendo dal singolo, riflette sulla massa.
Avatar − The Hater, la recensione
Gli occhi di Tomasz sono quasi sempre davanti a uno schermo. Nel suo “lavoro” assume quotidianamente una decina di identità non proprie; crea profili, eventi, hashtag e news false tutte con lo scopo di far scendere la popolarità di influencer e diffamare politici per conto dei propri avversari. Il tema dell’assunzione di identità diverse nel film raggiunge il suo culmine nella creazione da parte del giovane protagonista di un avatar in un gioco di ruolo che il giovane utilizzerà per comunicare in gran segreto con un nazionalista anti-islamista che si rivelerà una figura chiave nel racconto. Parlare dietro a uno schermo è dunque diventata la modalità più facile per esprimere il proprio malessere, mantenendo un’incognita sulla nostra vera essenza e persona.
Il corpo si annulla e assume caratteristiche liquide e indefinite. Il regista alterna il reale e il virtuale e sceglie di inserire sequenze prolungate di un videogame. Mette in evidenza le chat, le pagine social e web, i video su YouTube. Tomasz ci appare come un Mark Zuckerberg polacco, anch’egli mosso da un amore non corrisposto. Oppurecome l’Eddie Morra interpretato da Bradley Cooper nel già citato Limitless: personaggio all’incessante ricerca di una mente ultra potenziata e ultra potente. La sceneggiatura di Mateusz Pacewicz e la fine performance dell’attore classe ’93 Maciej Musialowski, però, fanno di Tomasz e della sua personalità il vero enigma. I numerosi primi piani sul suo viso, poi, anche grazie alle espressioni dell’attore, diventano paesaggio perfetto per una ricerca dell’acorporeità tipica del virtuale.
Riflessioni finali – The Hater, la recensione
Quello di Komasa sembra dunque essere un cinema che rivolge il suo sguardo verso parabole personali che si scagliano contro ambienti politici e tessuti sociali che tendono a precludere. Dopo il successo di Corpus Christi, il regista polacco conferma il suo talento nel panorama europeo; grazie soprattutto alla capacità di raccontare i legami fra le storie personali sullo sfondo di questioni politiche e sociali, delicate e attuali. Il suo sguardo deciso ma aperto, cupo ma incisivo, scava a fondo sulla condizione d’emarginazione personale e su quella politica della Polonia degli ultimi anni, intersecandosi con le vicende di una generazione inascoltata e lasciata sola. Giovani pronti ad odiare che trovano nei social un mezzo facile (forse troppo) per fare da riverbero alle proprie voci.
Lo sguardo di Komasa non è assolutorio, non è pietistico, non è simpatizzante. Il regista, nonostante l’ambizione di mettere in tavola molteplici temi e le oltre due ore di visione, va in profondità soprattutto sulla violenza brutale che ci può apparire semplice ma che in realtà è spinosa e imputabile a più colpevoli. Perché forse, anche indirettamente, siamo tutti colpevoli.
The Hater
Voto - 7
7
Lati positivi
- La riflessione complessa sull'origine dell'odio nei social
- L'ottima performance dell'attore protagonista
Lati negativi
- Le due ore di durata
- Una parte centrale più debole