The Liberator: recensione della miniserie animata Netflix
Una miniserie di guerra realizzata con la tecnica del Trioscope
È disponibile su Netflix dallo scorso 11 novembre – giorno in cui negli USA si celebra il Veterans Day – The Liberator, miniserie animata di cui vi proponiamo la nostra recensione. Quattro episodi della durata di 50 minuti ciascuno che raccontano una storia ambientata verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, tra il 1943 e il 1945. La storia del terzo battaglione del 157° Reggimento di Fanteria, divisione nota come i Thunderbirds, guidato dal Capitano (poi Maggiore e Colonnello) Sparks. Un battaglione formato da uomini con origini e culture molto diverse fra loro; nativi americani, messicani e “cowboys”. Un gruppo di persone che in patria non avrebbero potuto nemmeno bere una birra insieme che hanno combattuto fianco a fianco in Italia, Francia e Germania. Ciascun episodio si concentra su uno specifico scenario di guerra. Si parte dalla battaglia di Anzio, passando per l’operazione Dragoon e la battaglia di Aschaffenburg, fino a Dachau.
The Liberator è la prima serie tv realizzata con la tecnica di animazione conosciuta come Trioscope Enhanced Hybrid Animation. Si tratta di una sorta di evoluzione della tecnica del rotoscopio, che unisce le riprese in live action con l’animazione digitale. In effetti le somiglianze con la tecnica del rotoscopio (recentemente utilizzata in Undone) sono parecchie e evidenti; il Trioscope però rende molto più centrale la prova interpretativa degli attori. Ci sono inoltre una maggiore attenzione ai dettagli (specie dei volti) e l’impressione generale è quella di un’immagine più stabile, esteticamente più appagante. Un esperimento decisamente interessante e meritevole di attenzione questo di The Liberator, anche se non esente da imperfezioni, come avremo modo di vedere nel corso della nostra recensione. Protagonisti della miniserie sono Bradley James (Merlin, Damien, I Medici), Martin Sensmeier, Jose Miguel Vasquez, Billy Breed e Forrest Goodluck.
Indice:
Il valore documentario della storia di Felix Sparks – The Liberator, la recensione
The Liberator è il racconto dell’odissea di Felix Sparks e degli uomini del suo battaglione. Un battaglione in cui nativi americani e messicani combattevano accanto ai “cowboys”; un gruppo di uomini che in patria non avrebbero potuto sedere allo stesso tavolo di un bar che si guardano le spalle come fratelli. Un gruppo che Felix Sparks non ha mai abbandonato, riconoscendo il loro valore e ricambiando il loro sacrificio. Lo racconta lo stesso Sparks in una lettera alla moglie Mary, spiegandole perché non può tornare a casa nonostante il congedo a seguito di una ferita che gli è quasi costata la vita. “Lo devo a un gruppo di uomini. Uomini che, prima della guerra, non avrei mai conosciuto e che adesso conosco come le mie tasche. Non potrei mai vivere sereno ignorando il debito che ho verso di loro”.
Con The Liberator la scelta è quella di raccontare una storia sconosciuta ai più sottolineandone il valore di testimonianza. Testimonianza e giusto riconoscimento del contributo di chi ha combattuto per la libertà di tutti in nome e per conto di una nazione che, in patria, non riconosceva loro nemmeno i diritti essenziali. Minoranze mandate in guerra come carne da cannone e inghiottite dall’oblio al loro rientro. Felix Sparks ha avuto il merito di rimanere accanto ai suoi uomini nel corso di un viaggio sanguinoso e terribile durato 500 giorni. The Liberator ha il merito di portare alla luce una storia che, al di là delle considerazioni specifiche sulla serie, valeva la pena di essere raccontata.
Analisi
La miniserie è adattamento del romanzo del 2012 di Alex Kershaw The Liberator: One World War II Soldier’s 500 Days Odysseys from the Beaches of Sicily to the Gates of Dachau. In origine avrebbe dovuto essere una serie live action in otto puntate per History Channel; per ridurre i costi, successivamente, è stata fatta la scelta dell’animazione e della riduzione a quattro puntate per Netflix. Prima di entrare nel merito delle questioni tecniche della nostra recensione, occorre soffermarsi sulla narrazione di The Liberator. Articolato in otto episodi, l’arco narrativo dei personaggi avrebbe avuto uno sviluppo migliore. Con ogni probabilità l’intento dei creatori era proprio quello di dare il giusto spazio al background di ciascun uomo del battaglione; impresa difficile in soli quattro episodi. La storia si concentra dunque quasi esclusivamente sul personaggio di Sparks, l’unico con un arco compiuto, approfondito e col quale si riesce a entrare in empatia.
Il legame tra Sparks e i suoi uomini si coglie attraverso le lettere dell’ufficiale alla moglie e da alcune belle sequenze che ritraggono un cameratismo genuino, non retorico. Peccato invece che del Sergente Coldfoot, del Caporale Gomez e del soldato semplice Cordosa riusciamo a conoscere ben poco. Una scelta, questa, un po’ penalizzante per il messaggio e il valore della serie. Non che non ci sia spazio per loro, ma questo spazio è quasi sempre funzionale alla comprensione e allo sviluppo del personaggio di Felix Sparks. Fa eccezione in questo senso il terzo episodio, The Enemy, il più interessante, denso ed emozionante della serie. L’episodio fa luce anche sugli errori strategici dell’esercito statunitense e sulle loro conseguenze; c’è spazio anche per il nemico, per i soldati tedeschi e per le loro scelte.
Considerazioni tecniche – The Liberator, la recensione
Proseguiamo la nostra recensione di The Liberator soffermandoci sulla tecnica di animazione usata, sperimentata per la prima volta in un prodotto seriale. Il Trioscope Enhanced Hybrid Animation, sviluppato dal regista della serie Grzegorz Jonkajtis, mescola riprese live action, ambientazioni realizzate in computer grafica 3D e animazione 2D tradizionale. L’effetto è quello di un fumetto che prende vita, ma con un’attenzione fotorealistica ai volti umani e alle loro espressioni fin nel minimo dettaglio. Questa tecnica di animazione costituisce senz’altro un elemento di novità, più che benvenuto nell’ottica di un filone narrativo decisamente praticato e che lascia ben poco spazio all’elemento “inedito”. L’occhio ha bisogno di abituarsi all’utilizzo della tecnica del Trioscope – soprattutto associato a questo genere di storia – ma una volta che ciò accade si riesce a godere in pieno dell’effetto complessivo.
Le pecche maggiori, dal punto di vista tecnico, si riscontrano nella raffigurazione degli ambienti, a volte privi di profondità e prospettiva. Impressionante invece la resa alla luce della palette dei colori, soprattutto nel terzo episodio, in assoluto il più bello anche dal punto di vista tecnico. L’animazione permette inoltre di godere appieno delle performance degli attori; Bradley James è un Felix Sparks ispirato, credibile e profondamente umano. James fa suo il personaggio e veicola il messaggio legato alla sua figura in maniera più che apprezzabile, rendendogli il giusto tributo. Sul fronte della sceneggiatura, invece, nei dialoghi si riscontra un eccesso di battute ad effetto; battute che spesso, all’orecchio dello spettatore, suonano un po’ retoriche e forzate.
Conclusioni
Arrivati alla conclusione della nostra recensione, apparirà chiaro come The Liberator sia una serie che valga la pena vedere. La miniserie entra a far parte di un macro-filone che nel corso dei decenni ha saputo raccontare e sviscerare gli orrori e i traumi legati alla Seconda Guerra Mondiale da varie prospettive e sotto molteplici punti di vista. The Liberator ha il merito di aver posto l’attenzione su una storia per lo più sconosciuta, che aggiunge un tassello al genere, arricchendolo. La veste grafica, poi, rende la serie un prodotto decisamente unico all’interno di un panorama sconfinato.
La scelta dell’animazione in Trioscope permette di affrontare la materia con un approccio fresco e innovativo; una veste stilistica accattivante e curiosa, che pur lasciando il fianco scoperto a qualche artificiosità di troppo e pur con qualche imperfezione da limare riesce a catturare l’attenzione di chi guarda dall’inizio alla fine. Attenzione che va di pari passo con un coinvolgimento autentico, spesso carico di empatia. Il finale, poi, nella sua linearità, colpisce per il suo essere – né più né meno – l’agognata chiusura di un cerchio. The Liberator si chiude con un’inquadratura disarmante nel suo essere essenziale, nel vero senso della parola. La fotografia di un istante tanto semplice quanto carico di significato; un dipinto che con pochi tratti riesce a racchiudere una vera miriade di emozioni.
The Liberator
Voto - 7
7
Lati positivi
- Una storia emozionante, dal valore documentario
- Una miniserie dallo stile innovativo e sperimentale
Lati negativi
- Troppo poco spazio riservato ad alcuni dei personaggi, a discapito del messaggio complessivo