The Umbrella Academy: recensione della nuova serie Netflix
Il 15 Febbraio arriva su Netflix "The Umbrella Academy", serie tv tratta da un fumetto di culto. Ecco la nostra recensione
The Umbrella Academy, recensione. Uscirà il 15 febbraio su Netflix la nuova serie ispirata a un fumetto di culto della Dark Horse. Sviluppata da Steve Blackman (Fargo) e Jeremy Slater (The Exorcist), rappresenta un tentativo riuscito di trattare l’ambito supereroistico sotto una lente diversa. Sei individui dotati di capacità sovrumane devono fare i conti con un lutto che riaprirà vecchie ferite e, contemporaneamente, con una minaccia per l’intero pianeta. Infatti, nell’arco di dieci episodi, i protagonisti affronteranno molteplici archi narrativi che impatteranno sulle loro vite in maniera irreversibile.
The Umbrella Academy nasce da un’opera a fumetti poco conosciuta ma molto premiata, firmata da Gerard Way e Gabriel Bà. Il suo stile peculiare, sia dal punto di vista narrativo che da quello artistico, l’ha resa un gioiellino per gli amanti del genere. Ora che Netflix ha deciso di trasformarla in una serie di punta della nuova stagione siamo certi che anche il fumetto vivrà una seconda giovinezza. Ma il colosso dello streaming sarà riuscito a rendere giustizia a questi personaggi così strampalati e lontani dai cliché dell’universo dei superumani? Cerchiamo di capirlo attraverso la nostra recensione.
The Umbrella Academy: la recensione
Nel 1989 quarantatré donne in tutto il mondo danno alla luce dei bambini nonostante, fino a pochi istanti prima, non fossero incinte! Il bizzarro miliardario Reginald Hargreeves riesce a rintracciare sette di questi neonati e li adotta (in realtà li compra, letteralmente) per crescerli nella sua magione. I bimbi si rivelano dotati di incredibili super poteri e vengono addestrati da Hargreeves per diventare una squadra d’assalto potenziata. Nasce così la Umbrella Academy, un team di adolescenti sovrumani che sventano crimini e salvano il mondo a ripetizione.
Passano gli anni e la squadra non esiste più. In occasione della morte di Reginald i cinque ex-bambini prodigio ancora in circolazione si riuniscono per le esequie. Sono cambiati, inariditi, sempre più spesso a disagio con il mondo dei ‘normali’. La totale mancanza di affetto paterno da parte del defunto mentore li ha separati e incattiviti al punto che, per alcuni di loro, la morte di Hargreeves è un sollievo. Ma si è trattato davvero di un decesso per cause naturali? Mentre il gruppo cerca faticosamente di riassestarsi un ennesimo colpo di scena cambia le carte in tavola: il ritorno di uno di loro, dato per morto, dopo un viaggio nel tempo. A differenza dei compagni è rimasto un adolescente e ha assistito alla fine del mondo, in programma tra otto giorni. Come fare per fermarla?
Tutto questo senza considerare le condizioni psicofisiche dei superumani divenuti adulti. Deformati, psicologicamente distrutti, odiosi verso il prossimo, sono il frutto di un orribile percorso di vita. Indagare su questa duplice minaccia rappresenterà la migliore opportunità per uscire da un tunnel apparentemente infinito e affacciarsi a un futuro meno devastante. Non sarà così per tutti e le sorprese, nel corso dei dieci episodi che compongono la prima stagione, non mancheranno.
The Umbrella Academy: l’esatto opposto degli X-Men
Non è facile esordire con una serie tratta dai fumetti, di questi tempi. Piaccia o meno, il medium è stato sommerso da innumerevoli prodotti e il rischio ripetitività è ormai dietro l’angolo. Come se non bastasse, il fumetto d’origine di The Umbrella Academy è un progetto tanto brillante quanto complesso da trasporre in live action. Lo sceneggiatore Gerard Way (ex-cantante della band emo My Chemical Romance) è riuscito nell’impresa di coniugare ritmi da fumetto mainstream a uno stile narrativo d’autore. Ad aiutarlo nell’impresa è stato il disegnatore Gabriel Bà, dal tratto caratteristico e debitore di Mike Mignola, creatore di Hellboy.
Di conseguenza, era necessario evitare paragoni con altre serie dal medesimo tenore come Legends of Tomorrow, Gifted o, per i più nostalgici, Heroes. Il solo modo per riuscirci era individuare uno stile visivo e narrativo che potesse rendere bene il messaggio alla base della storia: essere diversi non sempre è figo! Basta guardare Luther, schiavo di un corpo smisurato che non gli appartiene; Klaus che, per colpa della sua capacità di parlare con i morti, ha perso completamente la testa e vive in perenne ricerca di droga; Allison e la sua battaglia per l’affidamento della figlia nel mezzo di una carriera costruita sulle menzogne (vedrete perché). Senza contare Vanya, da sempre esclusa perché apparentemente priva di poteri o il Numero 5 che torna dal futuro e sente la responsabilità di arginare una catastrofe.
I membri della Umbrella hanno molti punti di contatto con gli X-Men, dall’anziano mentore alla villa quartier generale. La sostanziale differenza risiede nel fatto che Hargreeves non è Xavier. Non ha cresciuto degli adolescenti insegnando loro la convivenza pacifica o fornendo quell’affetto capace di mitigare l’emergere dei super poteri. Anzi, li ha privati di figure genitoriali e li ha addestrati come atleti soprannaturali, senza mai abbassarsi al ruolo di ‘padre’. Le conseguenze di questi atteggiamenti verranno sviscerate nel corso della stagione.
The Umbrella Academy: stile e narrazione
La serie Netflix cerca di replicare lo stile anomalo del fumetto fin dalle prime sequenze, fra simmetrie alla Wes Anderson e abili montaggi alternati. Adotta un approccio all’insegna della stilizzazione visiva ma senza mai rinunciare alla caratterizzazione dei personaggi. La scelta di un cast azzeccato aiuta la riuscita dell’impresa. A rubare la scena, tolta la sempre brava Ellen Page, è senza dubbio Robert Sheehan nei panni di Klaus. L’attore rivelazione delle prime due stagioni della serie britannica Misfits si era un po’ perso fra produzioni più o meno dimenticabili. Vero che, a conti fatti, il suo personaggio è molto simile a quel Nathan che gli portò fortuna ma la sua bravura sta nel gestire i molteplici toni di simili caratterizzazioni. Sheehan padroneggia tanto il registro comico quanto quello drammatico e conferisce a Klaus una tenera fragilità che non passa inosservata.
La prima stagione copre l’arco narrativo della prima miniserie a fumetti, La Suite dell’Apocalisse, con una sola eccezione: l’inclusione dei due killer Cha-Cha & Hazel, originariamente apparsi nel secondo ciclo a fumetti. Si muove tra le singole storylines dei protagonisti mantenendo, però, ben salda la macro-trama apocalittica e non rinnega lunghe scene di violenza. Recupera un certo mood da serialità televisiva anni 2000 quando le scene madri venivano accompagnate da brani musicali che calzavano alla perfezione. Da questo punto di vista sono già memorabili il montaggio che apre l’episodio pilota e una sequenza di viaggio nel tempo sulle note di Run Boy Run di Woodkid. Anche questi dettagli denotano il tentativo di trovare una Voce alternativa per questa serie, requisito essenziale per distinguerla dalla massa.
The Umbrella Academy: solo superpoteri?
The Umbrella Academy non vuole spiccare a tutti i costi nel mondo degli adattamenti fumettistici. Al contrario, vuole costruirsi uno spazio ben definito, senza sgomitare e senza eccedere. Trova fin da subito uno stile narrativo che gioca con alcune peculiarità e con la stessa natura dei cinecomic. La nostra recensione non può esimersi, però, dal segnalare una caratteristica affascinante di questa serie: i superpoteri sembrano sovente passare in secondo piano. Ironicamente, a farla da padrone sono le vicissitudini dei singoli personaggi che, anche se non fossero dotati di capacità sovrannaturali, risulterebbero comunque interessanti.
The Umbrella Academy finge di raccontare le vicende di un super gruppo; in realtà tratta le ‘doti’ dei protagonisti come difetti fisici o mentali con i quali fare i conti per tutta la vita. Per questo motivo, giunti al termine della prima stagione, non tutti saranno simili a come li abbiamo conosciuti e il desiderio di vederli tornare in futuro diventa da subito irrefrenabile.
The Umbrella Academy
Voto - 7
7
Lati positivi
- Ricerca di un aspetto inedito che coniughi le esigenze televisive con l'affascinante fumetto d'origine
- Ottimo uso del montaggio e di canzoni note per veicolare il tono
Lati negativi
- La stilizzazione visiva potrebbe infastidire chi predilige una narrazione più convenzionale
- Rischia di risultare l'ennesimo prodotto fumettistico in un mercato saturo