Tolkien: recensione del film biografico sullo scrittore de Il Signore degli Anelli
John Tolkien si trasferisce da una nobile signora insieme al fratello, dopo essere diventato orfano, per poter proseguire gli studi ed essere ben inserito nella società. Riesce ad entrare ad Oxford insieme ad uno dei tre amici più stretti, e continua a coltivare la sua passione per le lingue e per la fantasia. Supportato dai compagni e da una ragazza molto speciale. Procediamo quindi con la recensione di Tolkien, film del 2019 diretto da Dome Karukoski, alla sua prima pellicola in lingua inglese.
Racconta della vita dello scrittore e filologo J.R.R. Tolkien, autore de Il Signore degli Anelli, Lo Hobbit e Il Silmarillion. Fanno parte del cast principale Nicholas Hoult (saga di X-Men, Mad Max: Fury Road, Il cacciatore di giganti), Lily Collins (Fino all’osso, Ted Bundy- Fascino criminale, Biancaneve), Colm Meaney (L’ultimo dei Mohicani, Seberg, Bel Ami- Storia di un seduttore), Anthony Boyle (serie Patrick Melrose, Civiltà perduta, Il viaggio), Patrick Gibson (serie The White Princess, serie I Tudors, Darkest minds), Tom Glynn-Carney (Dunkirk, Il re, Rialto). Ecco la recensione di Tolkien.
Indice
- La trama
- Non un’amicizia, ma un’alleanza
- Ubi bene, ubi patria
- Il potere delle parole
- Considerazioni tecniche
La trama di Tolkien
Inghilterra, prima metà del 1900. John Ronald Reuel Tolkien è costretto a trasferirsi in Inghilterra dall’Africa, dopo la morte del padre. La madre non riesce a sostenere la sua istruzione e quella del fratello, così si affida all’aiuto misericordioso della Chiesa, tramite Padre Morgan. Sapendo di essere malata, prega il sacerdote di proteggere i due figli maschi e permettere loro di proseguire gli studi. Una volta deceduta, i giovani vengono affidati ad una nobile signora inglese, che ha accolto anche Edith Bratt, anch’essa ragazza orfana. John cresce ma non perde la passione per le lingue, le antiche leggende e le fiabe, grazie alle storie meravigliose e mitologiche che la madre era solita raccontare a lui e al fratello.
Inizia i suoi studi all’Exeter College di Oxford non senza difficoltà, accorgendosi che le lettere antiche non fanno per lui, ma la filologia lo appassiona notevolmente. Durante il suo percorso scolastico, incontra Geoffrey, Robert e Christopher, che col tempo diventano i suoi amici più cari. Durante la Prima Guerra Mondiale si arruola nei Lancashire Fusiliers e combatte, riuscendo a sopravvivere. Due dei suoi amici però cadono in battaglia, e l’innamoramento per Edith non accenna ad alleviarsi, anche se non sembrano destinati a restare insieme. Tolkien si ritrova a dover decidere della sua vita e chiarisce la sua situazione amorosa e scolastica, non abbandonando la passione per la magia.
Non un’amicizia, ma un’alleanza – Tolkien recensione
Robert: Cambiamo il mondo!
John: Oh bene, nientemeno.
Robert: Con l’arte, buffone. Con il potere dell’arte.
John, Robert, Christopher e Geoffrey si conoscono alla King Edward’s School. Sono giovani uomini pieni di spirito, speranza per il futuro e senso di onnipotenza. Hanno tutta la vita davanti, mille strade tra cui scegliere e la vanità di credere di poter cambiare il mondo. Insieme. La loro è un’amicizia nata per caso ma destinata a durare attraverso gli anni e nonostante la distanza. Così che quella che si era consolidata come affinità, diventa alleanza. Quattro camerati pronti a sostenersi e difendersi sempre e comunque, fino alla morte.
Per questo John propone di fondare un club, il Tea Club della Barrovian Society (T.C.B.S), dal loro luogo di ritrovo preferito, il miglior locale di tè di Birmingham, Barrow Stores. Una club che mostra i segnali di un’amicizia vera. Tutti i ragazzi cercano di identificarsi in un gruppo, quando affrontano il periodo dell’adolescenza. Sentono il disperato bisogno di riconoscere se stessi nello sguardo di un altro, nella mente di qualcuno che possa capirli davvero.
E così si adeguano alle mode, agli interessi del momento. Ma non sempre hanno la fortuna di trovare amici veri. Non conoscenti che all’occasione potrebbero abbandonarli o semplici figure di passaggio nella loro vita. Alleati, fratelli, confidenti e consapevoli che l’altro andrà supportato in ogni caso, nel bene e nel male. Questo è il tipo di rapporto che i quattro del T.C.B.S hanno stretto, e che saprà andare anche al di là della lontananza e della sofferenza. Perché la passione per la letteratura, la filosofia e la discussione li ha legati, il loro terreno comune nonostante le diversità; e ciò che l’arte unisce ed eleva, è destinato a rimanere.
Ubi bene, ubi patria – Tolkien recensione
Dove si sta bene, è casa. Queste le parole che la madre aveva detto a Tolkien per convincerlo a partire; nuova casa, nuovo futuro. Cos’è una casa? Un insieme di mattoni e fondamenta, mobilia ed oggetti che facciamo nostri e che diventano quotidianità. Ci abituiamo a determinati colori, forme, odori, suoni. Condividiamo i nostri spazi con noi stessi oppure con chi amiamo. Tutti partono da una casa comune con la famiglia, un nido che li protegge e li cresce, fino a quando diventano abbastanza grandi per spiccare il volo e crearsi un proprio rifugio.
E via così. Una casa alla fine non è altro che un posto fisico per sentirci al sicuro e un posto mentale per custodire dei pezzi di cuore. Di solito non ne abitiamo una sola nell’arco dell’esistenza, ma ci trasferiamo, spostiamo i mobili o ne compriamo di nuovi; dipingiamo di nuovi colori le pareti e diventiamo familiari con quartieri e città differenti. Fisicamente, sì.
Ma dentro di noi, quel desiderio di trovare sempre casa non si soddisfa solo con quattro mura e una porta chiusa a chiave. Sentirsi a casa a che fare con la sensazione di essere dove si vuole, con le persone care o un fedele animale domestico. E Tolkien provava questo quando la madre era in vita. Riusciva a farlo sentire al riparo e creava anche dei mondi paralleli tramite le sue storie e leggende. Lui e il fratello si perdevano nei sotterranei di un antico castello sorvegliato da un drago, negli abiti di seta di una misteriosa principessa e nella foresta più nera. Non sono anche questi i posti che ci fanno sentire a casa? Un mondo fantastico creato per sospendere il tempo, e con lui, far vivere sempre i nostri cari. Così realtà e finzione si fondono, l’una la linfa vitale dell’altra.
Il potere delle parole – Tolkien recensione
Le parole non sono belle per come suonano, sono belle per ciò che significano. (Prof. Wright)
Pensiamo sempre a quello che esce dalla nostra bocca, prima di pronunciarlo? Quanto è importante il significato dei termini che scegliamo per comunicare con gli altri? Le parole sanno essere musicali, graziose, evocative, violente. L’importante però è il senso che ad esse associamo, dato che le stesse possono assumere una sfumatura diversa a seconda di come vengono dette, e di conseguenza veicolare emozioni addirittura contrastanti. Chi poi fa delle parole uno strumento per fare arte e non solo per comunicare tra simili, deve tenere in conto ancora più degli altri del loro immenso potere. Una poesia, una citazione di un film o di un romanzo, una canzone. Diventano speciali per noi nella misura in cui ci rimandano a qualche situazione, atmosfera, esperienza, luogo o persona.
Per John, le parole dei suoi racconti si fanno mezzo per rievocare le magiche storie della madre e i mondi fantastici che lei aveva creato. Gli permettono di aggiungere dei tasselli, ampliare quegli orizzonti, raccontarli e in un certo senso viverli. La sua passione per la filologia, ovvero l’origine delle parole, deriva dalla possibilità di scavare a fondo dei significati. Analizzarne le radici e l’etimologia, studiare tutti i termini che dallo stesso punto di partenza sono nati e si sono diramati in mille direzioni e contesti differenti.
Studiare una parola è come studiare una persona, conoscerne la storia e le ragioni per cui oggi è quello che è; osservare come si modifica nel tempo e se chi la circonda la percepisce sempre allo stesso modo. Inventare un nuovo linguaggio, poi, vuol dire avere il desiderio di allargare il proprio mondo e le possibilità d’espressione. Per condividere con gli altri il potere delle parole.
Considerazioni tecniche – Tolkien recensione
Per le considerazioni sulla tecnica, partiamo dalle scene di guerra: sono sempre accompagnate da una colonna sonora epica e d’effetto, spesso unita alla tecnica del ralenti. Troviamo, nelle stesse scene, primissimi piani e inquadrature focalizzate su dettagli del corpo degli attori o oggetti, oltre che carrellate a precedere e a seguire. L’uso dell’illuminazione cade sui personaggi e sulla scenografia con interessanti giochi di luci ed ombre, ed è giustificato nel filmico con una candela, una lampada o comunque una debole sorgente luminosa. Per quanto riguarda il montaggio, la struttura del film è suddivisa in due parti: nella prima, il presente del Tolkien soldato è alternato a flashback sulla sua adolescenza e il suo percorso di studi. Nella seconda parte, il presente diventa l’unico tempo in cui è immerso lo spettatore e la storia torna ad essere raccontata in modo lineare, seppure con alcune ellissi.
Da menzionare anche i riferimenti ai contenuti dei libri di Tolkien: il concetto di fratellanza e sostegno “tra i più nobili degli uomini e i più piccoli” rimanda all’alleanza tra hobbit, nani, elfi e umani contro un nemico comune. L’innamoramento tra un mortale e una principessa elfica sono il modo in cui John traspone su carta il suo rapporto con Edith. Il suo fedele compagno di guerra si chiama Sam e lo fa sopravvivere esattamente come un altro Sam fa con Frodo. Non manca un riferimento alla musica classica, tramite la citazione di un’opera di Wagner che presenta similitudini con la storia de Il Signore degli anelli.