Tracker: la recensione dei primi episodi del procedurale Disney+
Il nuovo procedurale di Disney+ guarda a Reacher senza particolari guizzi inventivi ma riuscendo a coinvolgere grazie alla sua natura itinerante e a un interprete azzeccato
Dal 24 aprile su Disney+ sono disponibili i primi due episodi di Tracker (gli altri saranno caricati con cadenza settimanale), la nuova serie con protagonista il Justin Hartley di This Is Us. Un procedurale itinerante, tratto dal romanzo The Never Game di Jeffery Deaver e adattato per il piccolo schermo da Ben H. Winters, che segue l’esempio di Reacher presentandoci un nuovo anti-eroe letterario altrettanto determinato a entrare a gamba tesa nel nostro immaginario seriale.
Perché il Colter Shaw di Tracker, mercenario specializzato nel trovare persone scomparse, ha tutto quello che serve (sulla carta, almeno) per diventare l’ennesimo personaggio tutto d’un pezzo e un po’ sopra le righe che tanto piace alle narrazioni di questo tipo. Il protagonista perfetto, insomma, per un procedurale che contrappone alla prevedibilità di struttura e contenuti una inedita vocazione itinerante, facendo corrispondere a ognuno dei suoi episodi un nuovo caso e, soprattutto, una differente location. Dimostrandosi così una serie più dinamica della media, sebbene convenzionale.
Indice:
Trama – Tracker recensione
Colter Shaw è un “rewardist”. Una sorta di mercenario che riscuote ricompense trovando persone scomparse. Vive in una roulotte e attraversa il paese per conto di una coppia di donne di mezza età (Robin Weigert e Abby McEnany) che gli propone le taglie, aiutato, all’occorrenza, da un hacker (Eric Graise) e da un’avvocatessa (Fiona Rene) pronta a farlo uscire di prigione quando la situazione si fa un po’ troppo movimentata. Tutto quello che sa lo deve, suo malgrado, a un padre survivalista e instabile (Lee Tergesen), che gli ha insegnato come sopravvivere nella natura selvaggia.
Tutte cose che fanno comodo quando si tratta di ritrovare una escursionista ferita o di salvare un ragazzino rapito, ma anche quando si è alle prese con lo sgominare organizzazioni criminali o con lo sventare omicidi. Fatto sta che, per Colter, il passato non sembra mai davvero sepolto, come lasciano intuire i messaggi che il fratello continua a lasciargli e i ricordi che paiono tormentarlo a distanza di anni. Cosa è davvero successo la notte in cui morì suo padre?
Sulle tracce del passato
Affascinante, pieno di risorse, implacabile e con un oscuro passato alle spalle. Colter Shaw ha tutto quello che serve per essere il perfetto protagonista del più classico dei procedurali. Ed è questo, in fondo, Tracker. Una serie che pare seguire quasi pedissequamente ciò che l’ha preceduta prendendo ispirazione da questo o da quel personaggio. È così che a Colter sembra non mancare nulla: dal nomadismo all’assenza di legami (come Jack Reacher), dal nozionismo quasi patologico (le statistiche sciorinate come un mantra nelle situazioni di pericolo) all’infanzia traumatica, passando per un fascino innato capace di far capitolare tutte le donne che gli girano attorno.
Un personaggio a un passo dallo stereotipo, insomma, segnato, però, da una origin story fatta di segreti inconfessabili e traumi mai del tutto elaborati che, come da tradizione, va ad arricchire una story line orizzontale via via sempre più preponderante, sebbene la serie resti comunque votata alla verticalità. A uno sviluppo episodico che ne condiziona la struttura limitandone, in parte, gli sviluppi più interessanti e imprevisti.
Cambi di location
Certo, non che in Tracker l’imprevisto o la dinamicità siano assenti. Colter è infatti in grado di muoversi in realtà e situazioni molto diverse tra loro (letteralmente, come lascia intendere la sigla, con i differenti ambienti che si alternano), passando dal rapimento al tentato omicidio, dal caso di scomparsa alla frode e attraversando i luoghi più disparati, tra foreste, uffici e case abbandonate. Un cambio di eventi e location continuo che sicuramente giova alla serie rendendola più dinamica della media dei prodotti procedurali e facendo dimenticare, a tratti, persino la sua costruzione derivativa.
Tesori sepolti, riscatti, sette, sparizioni, il mondo di Tacker porta così il suo eroe ad affrontare sfide sempre nuove, contando ora sulla sua capacità di sopravvivenza, ora sulla sua abilità deduttiva. Casi ambientati in luoghi e contesti differenti ma destinati a toccare, sempre e comunque, il protagonista nel profondo, tracciando un parallelo tra la storia delle vittime e il suo vissuto personale.
L’originalità nella ripetizione
Tanti spunti differenti, insomma, ma che, almeno dopo la visione di questi primi episodi, a volte tradiscono un eccessivo schematismo. Un’incapacità di liberarsi da logiche decisamente derivative che sembrano quasi un’emanazione diretta di altre serie e altre storie. Eppure, grazie alla regia dinamica degli episodi e alla varietà di location e situazioni Tracker sembra riuscire a mantenere comunque una sua flebile originalità. Quanto basta, perlomeno, per essere in grado di emergere nell’ormai ricchissima offerta di prodotti di questo tipo.
Un’impresa tutt’altro che scontata, il cui merito, probabilmente, sta tutto nel materiale di partenza e, soprattutto, nel suo interprete principale, Justin Hartley, capace di sostenere da solo (o quasi) l’intera serie, mettendosi al centro di una storia dove azione, affetti e traumi convivono assieme, fino a dar vita a esiti se non imprevedibili almeno interessanti. Non sarà un caso, del resto, che la serie sia già stata rinnovata per una seconda stagione.
Tracker
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- Justin Hartley sorregge sulle sue spalle il peso di un'operazione che pare fatta a sua misura
- L'origin story di Colter, così come il continuo cambio di location, riesce a rendere la serie meno schematica e più dinamica
Lati negativi
- Tracker, come molti procedurali, è estremamente derivativa, con personaggi secondari appena abbozzati e una verticalità a volte fin troppo insistita