Tre piani: recensione del nuovo film di Nanni Moretti
Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2021 arriva in sala Tre piani di Nanni Moretti, tratto dall'omonimo romanzo di Eshkol Nevo del 2015
Dopo la presentazione allo scorso Festival di Cannes, arriva in sala Tre piani, nuovo film di Nanni Moretti di cui vi proponiamo la nostra recensione. Tratto dall’omonimo romanzo di Eshkol Nevo, racconta le storie di tre famiglie che abitano nello stesso palazzo. Tre piani è il primo film diretto da Moretti che si basa su un’opera altrui e non su un soggetto da lui stesso sviluppato. Rispetto al romanzo, Moretti si prende diverse libertà. Prima di tutto, ambienta le vicende a Roma e – gioco forza – priva la storia del contesto politico ben presente nel romanzo di Nevo. In secondo luogo, come dichiarato dallo stesso regista, se nel libro “le storie si interrompono nel momento più alto della crisi, nel film era importante farle accadere fino in fondo”.
Una decisione dettata dall’esigenza di dare una chiusura; di approfondire le conseguenze e le ripercussioni di ciascuna scelta compiuta dai personaggi. Sono tre i piani narrativi e anche quelli temporali in cui Moretti articola il racconto, le cui vicende si svolgono nell’arco – tripartito, appunto – di dieci anni. E anche qui il regista si discosta dal libro, in linea con una visione e un punto di vista ben precisi sul materiale di partenza. Nel cast, accanto allo stesso Nanni Moretti, ci sono Margherita Buy, Alessandro Sperduti, Riccardo Scamarcio, Elena Lietti, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Denise Tantucci, Anna Bonaiuto e Paolo Graziosi. Prima di passare alla recensione di Tre piani vediamo qui di seguito la sinossi ufficiale del film.
Indice:
La trama – Tre piani, la recensione
Al primo piano di una palazzina vivono Lucio, Sara e la loro bambina di sette anni, Francesca. Nell’appartamento accanto ci sono Giovanna e Renato, che spesso fanno da babysitter alla bambina. Una sera Renato, cui è stata affidata Francesca, scompare con la bambina per molte ore. Quando finalmente i due vengono ritrovati, Lucio teme che a sua figlia sia accaduto qualcosa di terribile. La sua paura si trasforma in una vera e propria ossessione. Al secondo piano vive Monica, alle prese con la prima esperienza di maternità. Suo marito Giorgio è un ingegnere che trascorre lunghi periodi all’estero per lavoro. Monica combatte una silenziosa battaglia contro la solitudine e la paura di diventare un giorno come sua madre, ricoverata in clinica per disturbi mentali.
Giorgio capisce che non potrà più allontanarsi da sua moglie e sua figlia. Forse però è troppo tardi. Dora è una giudice, come suo marito Vittorio. Abitano all’ultimo piano insieme al figlio di vent’anni, Andrea. Una notte il ragazzo, ubriaco, investe e uccide una donna. Sconvolto, chiede ai genitori di fargli evitare il carcere. Vittorio pensa che suo figlio debba essere giudicato e condannato per quello che ha fatto. La tensione tra padre e figlio esplode, fino a creare una tensione definitiva tra i due. Vittorio costringe Dora a una scelta dolorosa: o lui o il figlio.
Un affresco borghese severo e doloroso
O per dire meglio, tre affreschi severi e dolorosi che confluiscono verso un’unica amara considerazione. Le tre famiglia protagoniste – gli adulti, in particolare – portano in scena quello che pare a tutti gli effetti l’atto ultimo di una discesa della borghesia in uno stato di alienazione totale. Nel suo film più corale, Nanni Moretti fa parlare personaggi che sono, chi più che meno, monadi, individui chiusi in loro stessi. Fragili e tormentati da paure e ossessioni vivono chiusi nelle loro case senza interesse per quello che c’è fuori; per una comunità di cui non si sentono parte, che rifiutano e di cui sentono di non avere bisogno. Il quadro che ne emerge è piuttosto desolante; tanto più che in Tre piani c’è poco spazio per la speranza e totale assenza della benché minima ironia così tipica di Moretti.
Nei suoi film Nanni Moretti ha sempre fatto critica e autocritica, ma qui il registro è diverso, il tono duramente solenne e a tratti destabilizzante. Ci si sente spiazzati guardando Tre piani e a volte si fa fatica a riconoscere Moretti. Non perché il focus sia altrove: al centro di Tre piani c’è la tipica critica alla società italiana, ai suoi costumi, debolezze e ossessioni. Piuttosto perché questa critica è portata avanti senza l’usuale filtro caustico e sarcastico, ma con una freddezza e un rigore disarmanti. Freddezza e rigore che sono una costante in un film che tratteggia un ritratto disperato, con una timida speranza sul finale. Quando gli adulti lasciano il loro spazio “sicuro” e i figli sono finalmente lasciati liberi di cercare e costruire la propria strada.
La donna come figura chiave – Tre piani, la recensione
Abbiamo accennato in apertura della nostra recensione come i personaggi di Tre piani convivano con ossessioni, paure e fragilità. Questo vale tanto per le figure maschili quanto per quelle femminili. Ma l’elemento femminile racchiude in sé una spinta differente, una sorta di marcia in più. Quelli di Vittorio (Moretti) e Lucio (Scamarcio) sono i due personaggi più rappresentativi della dimensione ossessiva, nonché della totale chiusura. Dora (Buy) e Sara (Lietti), per contro – benché a loro volta fragili – sono meno rigide e in qualche modo più aperte. In particolare il personaggio di Dora, con la sua parabola narrativa, è quello che meglio simboleggia il ruolo chiave della donna.
Una donna che nel film è figura centrale nel momento in cui cerca un contatto con gli altri, col fuori; che è più propensa al confronto, più disposta a mettersi in discussione. Dora e Sara, così come pure Monica, cercano di mediare o di mitigare le posizioni ossessivamente rigide dei loro compagni. Spesso falliscono pagando a caro prezzo le loro scelte ma, razionalmente o istintivamente che sia, sanno quanto sia importante provare quantomeno ad uscire dal proprio isolamento. Moretti affida quindi ai personaggi femminili un ruolo fondamentale, difficile e mai eccessivamente schematico.
Conclusioni
Tre piani è un film lucido, estremamente angosciante e, come già detto, piuttosto destabilizzante. Duro con i suoi personaggi e duro anche con lo spettatore. Nanni Moretti non lascia possibilità di entrare veramente in contatto coi protagonisti, tutti prevalentemente freddi, per lo più impenetrabili e ritratti quasi come automi. Una scelta ostica, perché toni così asciutti e prove attoriali impostate su queste corde non facilitano certo la partecipazione e il coinvolgimento di chi guarda.
Moretti realizza un film che ne racchiude tre al suo interno, con raccordi fluidi e archi compiuti per ciascuna storia e ogni personaggio sulla scena. Se i toni sono asciutti e il messaggio doloroso e disturbante, la confezione tecnica è in perfetta sintonia col quadro generale. Michele D’Attanasio cura una fotografia, algida e cupa, che è specchio degli stati d’animo dei protagonisti. Arrivati alla conclusione della nostra recensione, si può dire che con Tre piani Moretti abbia voluto mettere un punto fermo nella propria filmografia. Resta difficile tuttavia capire quale strada potrà prendere con i film a venire. E la sensazione che l’obiettivo immediato di far comprendere allo spettatore la direzione stessa di quest’ultimo sia centrato solo in parte.
Tre piani
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- Un film severo e doloroso che racconta tre storie con raccordi fluidi e il giusto approfondimento di ciascuna linea narrativa
Lati negativi
- I toni così asciutti e personaggi così algidi e chiusi non facilitano il coinvolgimento e la direzione stessa che vuol prendere il film non è di immediata comprensione
Moretti ci prova ma non ha energia. Non è Bergman che se ne faccia una ragione.