Una giusta causa: recensione
La recensione di Una giusta causa: la battaglia di una donna contro la discriminazione di genere
Una giusta causa recensione – Continua la battaglia del cinema contro il sessismo, argomento sempre più attuale e al centro di roventi polemiche, a partire proprio dalla stessa Hollywood. Da sempre l’industria cinematografica ha affrontato tematiche inerenti al tema della discriminazione. Basti citare capolavori come Philadelphia con Tom Hanks e Denzel Washington, oppure il film cult Il buio oltre la siepe.
In tempi più recenti, soprattutto dopo l’uragano scandalistico di Harvey Weinstein, l’occhio della cinepresa hollywoodiana si è soffermato maggiormente sulla discriminazione di genere, e in particolar modo su quella della figura femminile. Basti citare film recenti come La battaglia dei sessi con Emma Stone e Steve Carrel. Ci sono poi pellicole che non affrontano direttamente il problema della disparità di sesso, ma che comunque mettono al centro la figura femminile rivendicandone l’importanza, come i recentissimi Ocean’s 8 e Widows.
Una giusta causa, il titolo del film oggetto di questa recensione, si aggiunge a quella lunga lista di pellicole che trattano il delicato tema della discriminazione femminile. Questa volta torniamo indietro nel tempo, negli anni ’50, spostandoci in ambito legislativo con una storia ispirata a fatti realmente accaduti. Se siete curiosi di conoscere la trama e la nostra opinione su Una giusta causa non vi resta che mettervi comodi e proseguire a leggere la recensione.
Una giusta causa: la recensione
Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) è una delle nove donne che nel 1956 riuscì ad entrare al corso di Giurisprudenza dell’ Università di Harvard. Una brillante carriera universitaria non le garantì comunque la possibilità di essere assunta in nessuno studio legale, in quanto donna. Nell’essere rifiutata Ruth riceve le più disparate motivazioni, ma tutte hanno a che fare con la discriminazione di genere. Sfiduciata e delusa dal sistema, con l’aiuto del marito Martin Ginsburg (Armie Hammer) e dell’avvocato Dorothy Kenyon (Kathy Bates), Ruth deciderà di accettare un controverso caso di discriminazione nei confronti di un uomo. Il suo intento è creare un precedente che faccia poi vacillare tutto quel corpus legislativo che in un modo o nell’altro favorisce la discriminazione di genere.
Una giusta causa arricchisce quel vasto universo cinematografico di ‘film sulla giurisprudenza’, molto in voga negli ultimi anni. Come gran parte dei suoi predecessori la sceneggiatura è abbastanza lineare e prevedibile: c’è un antefatto, un fatto, una raccolta di prove e infine in una sorta di climax ascendente il processo con il verdetto finale. La trama di Una giusta causa non si discosta da questa struttura narrativa, carattere ormai distintivo dei film appartenenti a questo genere.
Una giusta causa recensione: analisi in breve
L’ambientazione e il periodo storico del film sono interessanti e ben resi, facendoci entrare così nel vivo della scena. Il processo finale viene utilizzato come pretesto per ribaltare un sistema legislativo che penalizza fortemente il genere femminile. Ruth ricorre alle difese di un uomo a cui il governo non ha riconosciuto un sussidio per assistere la madre. La motivazione è che la legge prevede che in tali condizioni l’aiuto economico sia per sole donne. Dimostrando l’incostituzionalità di tale legge, Ruth vuole creare un precedente per dar via a una serie di processi che mettano in dubbio tutta una serie di leggi che favoriscono la discriminazione di genere. I tempi cambiano, la legge può e deve essere cambiata, e soprattutto deve essere uguale per tutti.
Per circa centoventi minuti assistiamo a dialoghi abbastanza serrati con un ritmo crescente ma talvolta pesante e monotono per l’insistenza con cui viene trattato lo stesso argomento. Si usa ma non si abusa del linguaggio tecnico, messo nelle giuste dosi senza eccedere. Decisamente convincente l’interpretazione di Felicity Jones, Armie Hammer e dell’oscar Kathy Bates, splendido trio unito nella lotta dei diritti per la parità di sesso. Un po’ più deludente la parte clou dell’intera storia, ovvero il processo finale, dove forse ci aspettavamo un’arringa più arguta ed emozionante, visto anche le premesse iniziali del film. Il finale a nostro giudizio non è particolarmente avvincente; non riesce cioè a far scaricare in maniera adeguata tutta la carica accumulata durante la storia. Manca una vera e propria scarica emotiva.
Una giusta causa recensione: le nostre conclusioni
Una giusta causa è un film discreto che affronta una problematica attuale e lo fa prendendo spunto da fatti reali. Il processo portò a dei risvolti molto importanti che cambiarono profondamente la legislazione americana negli anni a seguire. Forse è proprio questo il punto debole del film. Una giusta causa infatti non riesce a trasportarci emotivamente quanto dovrebbe per vivere e comprendere appieno la grandezza di certi cambiamenti. Un discorso a parte invece per la recitazione che risolleva decisamente il nostro giudizio su questa pellicola che partiva con delle buone potenzialità. Un film che vi consigliamo di vedere, senza sapere quanto effettivamente vi rimarrà dentro a fine proiezione.
Voto - 6.5
6.5
The Good
- Ambientazione e tematiche affrontate
- Interpretazione
The Bad
- Finale poco avvincente
- Trama lineare