Under the Bridge: recensione della miniserie con Riley Keough e Lily Gladstone
Su Disney Plus sbarca la serie creata da Quinn Shephard e tratta da un terribile fatto di cronaca. Una storia emozionante che guarda in faccia un Male imprendibile, tra passato e presente
Caricato interamente su Disney Plus il 10 luglio, Under the Bridge è il nuovo titolo crime della piattaforma. Una miniserie in otto episodi, tratta dall’omonimo libro di Rebecca Godfrey e adattata per il piccolo schermo da Quinn Shephard, che racconta, tra fantasmi del passato, sensi di colpa e una violenza apparentemente incomprensibile, la storia vera dell’omicidio della 14enne Reena Virk, avvenuto nel 1997 sull’Isola Victoria, in Canada.
Creata dalla giovane attrice e regista, già salita alla ribalta con l’intelligente satira sul mondo dei social di Not Okay (sempre su Disney Plus) e diretta, tra gli altri, da Katherine Hardwicke (che dopo la saga di Twilight torna alle adolescenze problematiche dell’esordio Thirteen), la serie con Lily Gladstone (Killers of the Flower Moon) e Riley Keough (Mad Max: Fury Road, American Honey) si propone di indagare i lati più oscuri dell’animo umano attraverso le storture di una società lontana dall’essere idilliaca come vorrebbe sembrare.
Indice:
Trama – Under the Bridge recensione
1997. Saanich, Columbia Birtannica. Dopo tre giorni dalla scomparsa, l’adolescente di origine indiana Reena Virk (Vritika Gupta) viene ritrovata senza vita in un’ansa del fiume locale. Sul suo corpo, oltre alle tracce di annegamento, segni inconfondibili di percosse e sevizie. A indagare sul caso viene incaricata Cam Bentland (Lily Gladstone), agente della polizia locale che presto restringe le indagini alla cerchia di amiche di Reena, in particolare alla violenta e problematica Josephine Bell (Chloe Guidry), con cui la notte della scomparsa la ragazza aveva avuto una colluttazione.
Nel frattempo, sulle tracce dei colpevoli si è messa anche una vecchia conoscenza di Cam, la giornalista e scrittrice Rebecca Godfrey (Riley Keough), assente da Saanich da più di dieci anni dopo un lutto mai davvero elaborato e ora tornata in città per fare i conti col proprio passato. Presto le due donne scopriranno più di un segreto dietro la vita dei ragazzi della comunità, tra bullismo, omertà, rabbia incontrollata e riti di iniziazione.
Tra favola e true crime
“All’apparenza questa storia è il contrario di una favola. Almeno fino a quando non consideri di cosa parlano le favole: di ragazze punite per il loro egoismo o per nessuna ragione”. A parlare è Rebecca, narratrice e protagonista di Under The Bridge. Una chiave di lettura, la sua, apparentemente paradossale ma che in realtà ben si sposa alla materia trattata. Alle storie dei protagonisti di un terribile fatto di sangue e al luogo che, per un momento, mentre un satellite esplodeva in cielo, ha segnato per sempre le loro vite.
Come nelle favole più spaventose c’è un ponte, infatti, nelle esistenze di Reena, Jo e compagni. Un luogo oscuro e liminale sotto al quale la luce non passa mai e dove si nasconde, come da tradizione, un mostro. Un mostro, quello di Under the Bridge, fatto di abbandono, degrado e problemi famigliari, ma anche di razzismo endemico, privilegio bianco e maschilismo. Forze oscure che fanno del male alle ragazze o le trasformano a loro volta in mostri.
Non solo poliziesco
Date queste premesse si potrebbe pensare che Under the Bridge non sia altro che una variazione sul tema di True Detective, in particolare dell’ultima stagione, Night Country (due donne, una bianca e una nativa, alle prese con un caso intricatissimo e con i fantasmi del loro passato), ma in realtà, a partire dall’immancabile disclaimer (“tratto da una storia vera”), è chiaro come la serie di Shephard voglia andare in un’altra direzione, costruendo l’affresco perturbante di una comunità e della sua anima nera.
Citando esplicitamente “A sangue freddo” di Truman Capote (il rapporto che si instaura tra Rebecca e il sospettato Warren Glowatski), Under the Bridge si pone infatti sul solco di un poliziesco venato di suggestioni letterarie, riflettendo, più che sui meccanismi di genere, su memoria, perdono e senso di colpa. Sulle storture di un sistema e su un Male a volte impossibile da comprendere davvero ma a cui non si può smettere di pensare.
Vittime e carnefici
Certo, le dinamiche da classico poliziesco, con tutti i luoghi comuni del caso, non mancano. Eppure c’è qualcosa nell’approccio di Shephard capace di dare una ventata di novità alla vicenda trattata e a farla dialogare col presente. Dall’apatia adolescenziale ai problemi col razzismo dentro e fuori le istituzioni, dal privilegio delle classi bianche e benestanti a un maschilismo imperante, la serie traccia infatti un quadro oscuro che lascia poco spazio alla speranza. Una realtà dove tutti sembrano essere a un tempo vittime e carnefici, potenziali colpevoli di un delitto le cui ragioni paiono sfuggire continuamente.
È così che l’indagine di Cam e Rebecca si scompone in tanti punti di vista, in tante storie differenti (“le storie non finiscono mai davvero”) e continui salti nel passato (forse troppi, si veda la storia della famiglia di Reena), mentre ogni certezza scricchiola lasciando spazio a dubbi e interpretazioni. Una frammentarietà che si sposa bene con una scrittura e una regia capaci di dar voce alle diverse anime del racconto, di lambire il genere senza mai perdervisi dentro, attente a non smarrire quel barlume di verità ed empatia capace di fare davvero la differenza
Under the Bridge
Voto - 7.5
7.5
Lati positivi
- Le due interpreti principali, Lily Gladstone e Riley Keough
- La capacità di dar vita a un contesto oscuro e opprimente, permeato di violenza e pregiudizi
Lati negativi
- Alcuni flashback e digressioni risultano superflui, come la storia della famiglia di Reena