Vikings: Valhalla, la recensione della stagione conclusiva

Arrivata alla sua terza annata si conclude l'avventura di Vikings: Valhalla, spin-off sequel della più celebre e fortunata Vikings

L’11 luglio è stata caricata su Netflix la terza e ultima annata di Vikings: Valhalla. Una stagione finale che arriva dopo la decisione della piattaforma di cancellare la serie spin-off di Vikings e che tenta, come può, di chiudere il cerchio di una narrazione corale mai decollata davvero. Ecco allora tornare, per l’ultima volta, Leif, Freydis e Harald, sparsi per il mondo conosciuto ma i cui destini restano legati indissolubilmente tra loro.

Nata nel 2022 come spin-off e sequel dell’ormai iconica saga famigliare di Michael Hirst (qui produttore esecutivo), la serie creata da Jeb Stuart e ambientata un secolo dopo le vicende della storia principale, ha continuato per tre annate a intrecciare Storia e affetti, violenza e avventura, sullo sfondo di un mondo preda di mutamenti epocali. Una formula vincente più sulla carta che per i suoi effettivi risultati, che porta Vikings Valhalla a essere più una promessa mancata che una degna erede della serie capostipite.

Indice:

Trama – Vikings Valhalla recensione

Sono passati sette anni da quando Leif (Sam Corlett) e Harald (Leo Suter) hanno raggiunto Costantinopoli. Ora i due vichinghi sono entrati a far parte della prestigiosa Guardia variaga dell’imperatore collezionando una serie di vittorie contro i nemici di Bisanzio. Ma le tensioni con il generale Maniakes (Florian Munteanu), il desiderio di esplorare il mondo di Leif e, soprattutto, la relazione clandestina di Harald con Zoe, la moglie dell’imperatore, rischiano di mettere a repentaglio tutto quello che i due hanno costruito fino ad ora.

Nel frattempo, Freydis (Frida Gustavvson), dopo aver ucciso Olaf, vive in pace con suo figlio Harald e la sua gente a Jomsborg ma non ha fatto i conti col desiderio di vendetta del temibile Magnus (Stefán Haukur Jóhannesson), figlio di Olaf e come lui autoproclamatosi paladino della cristianità. Come se non bastasse, alle guerre intestine per i regni del nord si aggiungono le preoccupazioni di un ormai malato Re Canuto (Bradley Freegard) per le sorti del trono d’Inghilterra. Riuscirà a evitare una guerra fratricida tra i suoi figli per la successione?

Vikings Valhalla recensione

Vikings: Valhalla. History

Eredità ingombranti

Non è sempre facile raccogliere l’eredità di un titolo di successo, replicarne l’epica e tutti quegli elementi che ne hanno fatto la fortuna. Se già nella sua prima stagione Vikings Valhalla aveva infatti sollevato più di un dubbio, facendo comunque ancora sperare per le stagioni successive, con la seconda annata era già diventato chiaro come il modello della serie madre fosse oramai irraggiungibile. Non sorprende quindi come questa terza stagione sia diventata ufficialmente anche l’ultima, caricandosi sulle spalle l’onere di dover concludere anzitempo tutti i suoi archi narrativi.

Un’impresa non da poco soprattutto quando si ha a che fare, come in questo caso, con la Storia con la s maiuscola. Del resto, non si può certo dire – tra regni da spartire, alleanze da costruire e imperatori da compiacere mentre, sullo sfondo, il cristianesimo avanza inarrestabile – che non sia un periodo storico ricco di avvenimenti e stravolgimenti quello scelto da Jeb Stuart come ambientazione della sua serie.

Vikings Valhalla recensione

Vikings: Valhalla. History

Un eterno ritorno

Un potenziale esplosivo, dunque, in grado di garantire una narrazione epica di grande respiro ma, come già nella precedente stagione, in parte sprecato seguendo narrazioni pretestuose, avventure in cui i personaggi paiono quasi girare a vuoto, toccando tappe obbligate del caso (il viaggio senza meta di Leif, quasi un pretesto per mostrare nuove location, tra il Mediterraneo e i paesi nordici), solo per poi trovarsi nel posto giusto al momento giusto.

È un eterno ritorno, del resto, quello in cui sembra essere bloccata Vikings Valhalla. Un continuo riproporsi di luoghi, situazioni e persino tipologie caratteriali del passato, che fa sembrare la serie più interessata, forse, a compiacere i vecchi fan piuttosto che a mandare avanti la narrazione. È in quest’ottica che anche l’introduzione di nuovi personaggi (dal misterioso Stigr ai “villain” Magnus, Maniakes ed Erik il Rosso) pare pretestuosa, il tentativo di movimentare la vicenda introducendo piccole variazioni a un canovaccio oramai consolidato e risaputo.

Vikings Valhalla recensione

Vikings: Valhalla. History

Personaggi bidimensionali e formule sbagliate

D’altronde questa stagione non aveva certo un compito facile, costretta com’era a dare una parvenza di compiutezza a una vicenda ancora lontana dalla sua naturale conclusione. È evidente, infatti, come gli archi narrativi dei personaggi vengano qui conclusi forzatamente prima del tempo o lasciati semplicemente in sospeso, spesso semplificandone destini, desideri e aspirazioni (Leif vuole scoprire una nuova terra, Freydis vuole una casa per la sua gente, Harald vuole il regno di Norvegia) e rendendoli più bidimensionali di quanto lo fossero in partenza.

Attraverso una narrazione sempre più corale, fatta di continui cambi di location, scontri cruenti e intrighi di palazzo, Vikings Valhalla continua così a guardare – forse persino di più rispetto alla serie capostipite – all’esempio di Game of Thrones, senza saperne replicare però la formula vincente, incapace di fare dei suoi complotti e dei rapporti tra i suoi personaggi qualcosa di più di una stanca riproposizione di situazioni già viste. Un peccato viste le premesse.

Vikings: Valhalla

Voto - 5.5

5.5

Lati positivi

  • Il periodo storico in cui la serie è ambientata è ricco di avvenimenti e poco conosciuto al grande pubblico

Lati negativi

  • Gli archi narrativi dei personaggi vengono chiusi precipitosamente, trasformandoli in figure più bidimensionali del solito
  • Molti snodi narrativi sembrano pretestuosi, dando l'impressione che i personaggi girino a vuoto

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