Vivarium: recensione del film con Jesse Eisenberg e Imogen Poots
Una coppia bloccata in un inquietante quartiere nel film irlandese presentato a Cannes 72
Annualmente i festival cinematografici sono tra le migliori occasioni per assistere in anteprima alle opere più importanti della stagione, ma non solo. Molti dei film che vengono presentati, specie nelle sezioni minori parallele al concorso principale, spesso non vedono la luce nelle sale cinematografiche italiane; e, altrettanto spesso, tra quei film si nascondono prodotti interessanti. Tra essi c’è Vivarium, di cui vi proponiamo la recensione in questo articolo. Opera seconda del regista Lorcan Finnegan (dopo Without Name, del 2016, che ne anticipa le tematiche), il film è una produzione irlandese, belga e danese.
Nel cast del film figurano i nomi di Jesse Eisenberg (The Social Network, Zombieland) e Imogen Poots (Knight of Cups, Need for Speed), volti noti al grande pubblico che certamente giocano un ruolo importante per la visibilità dell’opera indipendente di Finnegan. Vivarium è un dramma familiare delle atmosfere sci-fi, interessante per l’idea d partenza e il messaggio che prova a comunicare ma privo del carattere che servirebbe per diventare grande. Scopriamo insieme cosa ha funzionato e cosa no in questa recensione di Vivarium.
Indice
Vivarium, la recensione
La storia segue le vicende di Tom e Gemma. I due sono una giovane coppia alla ricerca di una casa per il loro futuro. Non ha molta fretta ma iniziano a sondare il terreno alla ricerca di un’abitazione. Un giorno si imbattono in un’agenzia immobiliare e decidono di entrare a dare un’occhiata. Al suo interno, i due sono accolti da Martin: l’uomo, un curioso individuo che presenta loro un’offerta in un nuovo quartiere in costruzione in periferia, di nome Yonder. Il quartiere viene descritto come una futura oasi per famiglie, tranquillo e non molto distante dal centro. L’insistente Martin riesce a convincere Tom e Gemma a seguirlo per una breve ispezione della zona e dell’abitazione offerta loro. Quando i due, insieme all’agente immobiliare, arriveranno a Yonder si presenterà davanti a loro un’atmosfera fuori dal comune: interi viali con case completamente identiche tra loro e spaventosamente vuoto e silenzioso.
La casa che viene mostrata alla coppia, già diffidente, è la n. 9. Una volta ispezionata, insieme a Martin, l’abitazione, i due notano che l’agente immobiliare è scomparso nel nulla, lasciandoli da soli a Yonder. Quando i due, fin troppo irretiti, proveranno però a tornare casa, non troveranno la via d’uscita e vagheranno a vuoto finché il carburante dell’auto non finirà. Da questo momento in poi, inizieranno una serie di assurdi e grotteschi avvenimenti all’interno di Yonder, quartiere dal quale i due non riescono ad uscire e nel quale ogni abitazione è identica alla loro e ogni via si somiglia. Ma oltre a ciò, a rompere la noia quotidiana arriva un’inaspettata novità: davanti alla casa, verrà fatto trovare loro un bambino da dove crescere in cambio della libertà. Un bambino che li trasformerà in una famiglia e che renderà infernale la loro situazione già instabile.
L’omologazione suburbana
A metà tra The Truman Show e Revolutionary Road. Vivarium getta le sue basi guardano implicitamente alle due opere citate. Gli spazi di un fastidioso color pastello e le atmosfere grottesche e surreali richiamano al primo film; mentre lo spunto riflessivo è sulla scia del film di Sam Mendes. E volendosi soffermare su quest’ultimo, l’opera seconda di Lorgan Finnegan fin dai primi istanti sa bene dove vuole portarci e non si crogiola troppo in introduzioni. I 97 minuti di durata del film – forse pochi nel complesso – ci spingono subito nell’inquietante storia; senza troppe presentazioni e contestualizzazioni, così come l’assenza di una caratterizzazione adeguata dei personaggi. Ciò, però, si adegua perfettamente all’idea che sta dietro la sceneggiatura: un j’accuse indirizzato alla classe media suburbana. Se nella Suburbicon di George Clooney il tema è motore per una storia di crime grottesco simil Coen, qui i toni sono molto diversi.
Finnegan punta il dito contro l’uniformazione del ceto medio, contro la perdita dell’individualità del singolo. Si è giovani, spensierati, diversi da quei modelli familiari da cui spesso si evade: ma il più delle volte, mettendo su famiglia, ci si arrende a quello che dal film viene visto come un demone, una malattia. La donna diventa sterile madre di famiglia, dedita alla cura dei figli; l’uomo padre lavoratore, più forte e impulsivo della donna, con il potere decisionale. I figli cosa sono, se non il motore che aziona questo piatto mondo in cui tutte le famiglie sono uguali e non c’è spazio per esser davvero noi? Il contenuto del messaggio, poi, si riflette sull’estetica dell’opera: le scenografie e la messa in scena aiutano a rivedere sugli elementi formali le idee che stanno dietro al film, lasciandoci immergere in un artificio tutt’altro che “vivo” come quello in cui vive Truman Burbank.
Scavare oltre la superficie – Vivarium, la recensione
Se chiare sono le accuse nel film, fin dai primi minuti, più confuse sono, invece, le idee sul come metterlo in scena. Il pericolo, quando si palesano i temi trattati dall’inizio, è quello di non poter dare durante il prosieguo della narrazione un approfondimento valido. Ed è proprio quello che, purtroppo, accade in Vivarium. La critica a quella classe media omologata e priva di identità rimane uno sterile grido privo della potenza necessaria per diffondere la sua eco. Durante il percorso si viene coinvolti nella storia, per quanto essa ruoti attorno agli stessi elementi narrativi per tutta la sua seconda parte; alla fine, però, l’amarezza ci porta a riflettere se ciò che abbiamo visto ha davvero funzionato nel suo complesso. Il risultato è l’idea che il film, pur avendo un interessante spunto di partenza, non approfondito con un’indagine oltre la superficie, resti debole e privo di incisività ed energia.
Ė certamente vero che il cinema non deve né spiegare né tantomeno dare delle soluzioni; qui, però, la ciclicità degli eventi – in relazione al contenuto di essi – ci fa perdere di vista l’accusa sulla quale muove gran parte, se non tutta, la scrittura del film. Gli intenti, come ripetuto, sono dei migliori ma è la scelta del come proporli a fare la differenza. Il lato più grottesco e comico della situazione riesce, paradossalmente, a rivelarsi il più frizzante e coinvolgente: ci si chiede se, forse, non sarebbe stato il caso di impostare l’intera sceneggiatura su questo tono, vista la debolezza della componente thriller. Anche dal punto di vista prettamente cinematografico e visivo, Vivarium fatica a trovare una sua identità; escludendo l’eccezionale costruzione scenografica, ciò che riesce a far una figura piuttosto dignitosa sono le scelte in fase di montaggio che permettono all’opera di non annoiare.
Considerazioni finali – Vivarium, la recensione
Vanno in fine segnalate le prove attoriali di un cast che tra i protagonisti Jesse Eisenberg e Imogen Poots. Se il primo, soprattutto per via del personaggio che interpreta, riesce a ritagliarsi poco spazio, la seconda da prova della sua maturità artistica grazie ad una performance pregna di intensità. Entrambi, però, vengono ampiamente oscurati dalla presenza degli attori che interpretano il “figlio”, soprattutto Senan Jennings. Ė il piccolo attore a traghettare l’interesse per la storia con un personaggio che definire inquietante è dire poco. Vivarium, per concludere la nostra recensione, è un piccolo passo per il regista Lorcan Finnegan; egli dimostra ancora una volta di avere inventiva ma pecca di esperienza nel non saper dare alle sue argomentazioni un’identità specifica (che, sia chiaro, non vuol dire per forza linearità e coerenza) e un’indagine più profonda.
Nel complesso, però, si rivela un film più che godibile e coinvolgente anche grazie all’atmosfera grottesco-fantascientifica che incuriosisce e non annoia. Più fallimentare, invece, il tentativo di giocare sulla tensione e sul genere thriller-horror: una commistione di generi che si rivela una scelta non adeguata. Un’opera che parte calcando troppo il piede sull’acceleratore, consumando in tempo breve tutto il carburante a disposizione. Un importante grido che si perde nel vuoto… così come accaduto a Gemma e Tom.
Vivarium
Voto - 6
6
Lati positivi
- Le scenografie e l’atmosfera: la costruzione dell’inquietante e grottesca ambientazione incuriosisce e attira
- Intrattenimento: nel complesso il film, nella sua breve durata, non annoia e riesce a intrattenere discretamente
- Il cast: in particolare l’intensità di Imogen Poots e il sorprendente Senan Jennings
Lati negativi
- L’incisività: l’assenza di un’indagine più approfondita rende l’accusa alla base del soggetto sterile e piatta
- Il thriller: quando il film prova ad alzare la tensione emerge il suo lato più confuso, sia nella scrittura che dal punto di vista visivo
Film noioso fino allo sfinimento. Non è un thriller, non è un horror, non coinvolge: è solo di una noia mortale.
Il suo significato è così vago e confuso che presumo che neppure lo sceneggiatore abbia ben in mente il messaggio che voleva trasmettere. A Cannes probabilmente si sono fumate proprio quelle.
Uno schifo!! Ho perso un’ora e mezza della mia vita per questa cagata.
Un film davvero orrendo e senza alcun senso!