Westworld: recensione della terza stagione della serie HBO
Il nuovo mondo si presenta ai nostri occhi e a quelli dei residenti nella nuova stagione di Westworld
Tante sono le serie tv che spesso, con il tempo, hanno visto il loro apprezzamento calare: tra esse certamente Westworld. La serie HBO, dopo una partenza clamorosa, è riuscita a confermare solo di rado la sua qualità con una seconda stagione sottotono. Il 2020 però segna il ritorno della serie creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, con una terza stagione che sovverte ciò che abbiamo visto fin’ora, portandoci verso una storia che si fa sempre più universale, tendendo più all’action. Rinnovata per una quarta stagione (sei in tutto, come affermato di recente), la serie conferma buona parte del cast delle precedenti avventure, con gli innesti di spicco di Aaron Paul e Vincent Cassel. Sarà riuscita questa stagione a risollevare il destino di uno dei prodotti di punta per HBO? In questa recensione di Westworld 3 proveremo a trarre alcune conclusioni.
La storia riparte esattamente da dove l’avevamo lasciata alla fine della seconda stagione. Siamo nel 2058 e Dolores ha formato il suo piccolo esercito di residenti nel nuovo mondo, quello reale. Quest’ultimo è controllato da un progetto tecnologico, Rehoboam, che controlla la vita altrui e ne condiziona gli avvenimenti. La donna, ormai pienamente conscia della sua condizione, ha in mente un piano per distruggere il mondo in cui si trova. Con esso gli esseri umani che lo abitano. Però, si rende conto sempre più che, come lo era lei, anche loro sono schiavi di qualcosa di più grande. Le vicende della donna di intrecciano, parallelamente, con quelle di personaggi già incontrati e di nuovi protagonisti: un giovane che non ha nulla da perdere, un ricco e misterioso magnate di origini francesi e le vecchie conoscenze come Bernard, Charlotte, Maeve e L’Uomo in Nero, pur in vesti totalmente diverse.
Indice
Il nuovo mondo – Westworld 3, la recensione
La terza stagione di Westworld conferma lo show tra i prodotti più sorprendenti dell’ultimo ventennio televisivo. Questi nuovi episodi cambiano da subito, radicalmente, scenari e atmosfere – come già avevamo intuito alla fine della seconda stagione. Andando avanti con le puntate comprendiamo quanto – fin troppo – ci sia di diverso rispetto al passato glorioso della produzione HBO ma cresce sempre più una concreta consapevolezza. È come se tutto quello che avevamo visto, dalla presa di coscienza dei residenti fino alla loro ribellione, sia stato soltanto l’inizio di un percorso che ci ha portato fino a qui, al nuovo Westworld, inteso soprattutto come nuovo mondo. Perché i presupposti sui quali si basa questa nuova stagione, certamente, sono la naturale conseguenza degli eventi precedenti.
Un nuovo inizio in un mondo nuovo, quello fuori dal parco. Mondo che però, con le dovute differenze, vive gli stessi problemi dei residenti dei parchi. Tra host ed esseri umani, che certo dovrebbero essere più coscienti della loro natura e delle loro azioni, non c’è differenza. E il paradosso più imbarazzante è come nel parco gli uomini controllino le macchine ma fuori da esso siano quest’ultime a stabilire il percorso esistenziale di ognuno di noi. Westworld, rivoltando trame e ambientazioni, dimostra di poter restare saldamente aggrappata ai suoi ideali e ai principi di fondo che caratterizzano la serie, rinnovandoli sempre e riuscendo ad intrecciare nuovi eventi con la riflessione principale, motore dello sviluppo narrativo. Una riflessione che era già ben evidente in passato ma che adesso si sposta dal piano simbolico del parco all’esterno, accentuandone gli intenti.
Nucleus accumbens – Westworld 3, la recensione
Ma se gli intenti di Westworld restano simili, pur rinnovando le carte in gioco tutto ciò che circonda i personaggi è diverso. Avevamo avuto poche occasioni per scoprire il “mondo reale”, per capire i suoi meccanismi. Abbiamo a che fare, adesso, non più con i selvaggi parchi a tema ma con una città ben diversa anche dalle nostre. Un mondo futuristico, più vicino all’immaginario di Dick che alla nostra realtà. E visivamente si è scelto, con astuzia, di giocare molto su questo aspetto, regalando ad ogni scena un colpo d’occhio incredibile. E se prima i dialoghi e le riflessioni filosofiche si amalgamavano perfettamente con l’azione, adesso più che mai quest’ultima ha completamente preso il sopravvento; soffrendo però per via di una regia che stenta a trovare soluzioni formali soddisfacenti, penalizzando molto il dinamismo acquisito dal contesto.
In questa stagione più che nelle altre la volontà e l’intenzione di dire qualcosa sovrastano la modalità con la quale viene fatto, inevitabilmente subordinata al messaggio. Non è più importante come quest’ultimo sia costruito e messo in scena, quanto invece che tutto sia in relazione ad esso. Ciò che evidentemente stona in questa produzione è proprio la gestione delle risorse. Al contrario di quanto fatto con Person of Interest, Nolan qui non sfrutta la vitalità del nuovo contesto metropolitano, interagendo poco con esso per buona parte della stagione e relegandolo il più delle volte a quinta scenografica, bellissima ma spenta.
Queste gioie violente hanno fine violenta
La terza stagione di Westworld, per certi versi, soffre della stessa sindrome di prodotti come Game of Thrones, non a caso anch’essa HBO. Nuovi personaggi e diverse atmosfere offrivano la possibilità di una narrazione diversa, già dalla fine della seconda stagione rivolta ad assaporare un raggio d’azione molto più ampio. Ma proprio qui la gestione del progetto narrativo compie un passo falso che compromette parte della stagione. Personaggi ed eventi sono tutti inseriti senza esclusioni nel grande gioco del nuovo mondo, partecipi della stessa battaglia nella quale sembra esserci sempre meno spazio per narrazioni parallele e personali. Se ciò rende più omogeneo e universale il discorso, la gestione del singolo subisce un tracollo a vantaggio dell’evento complessivo.
Ne consegue così un appiattimento generale dei personaggi che risultano sterili pedine, perdondo appeal e incisività, togliendo così valore alle performance sempre ottime degli attori (Ed Harris su tutti, sempre una spanna sopra gli altri); mostrando un minimo di indagine introspettiva soltanto – e almeno – per i nuovi protagonisti e per loro storie. Restano sempre interessanti però le intenzioni di un prodotto che, nel bene o nel male, riesce comunque a far comprendere dove vuol arrivare. E in questa terza stagione, dopo aver mostrato in passato le manovre di uomini di potere, mette in gioco chi il parco non poteva permetterselo; chi in quel mondo si trascina e non può che sognarne un altro. Ancora una volta, come nella stagione precedente, interessanti e plurimi punti di vista ma segnati da una gestione confusa e da una profonda discrepanza tra i singoli episodi.
Parce domine – Westworld 3, recensione
Westworld dimostra ancora una volta la grandissima produzione che sta alle sue spalle, sempre pronta a stupire e mettere in gioco carte inaspettate. Sorprende e stupisce lo switch verso una sorta di spy story, vicina al poliziesco; che però tiene viva la riflessione, diventando più dinamica ma mantenendo la sua profondità. A peccare è la gestione delle risorse contenutistiche, dei personaggi e del concetto principale che subordina ogni cosa a sé e ne compromette la buona riuscita. Uno scacchiere ricco, intrigante e coinvolgente che però soffre in certi punti, faticando ad andare avanti. Provando a sorvolare su alcune scelte discutibili, la stagione tutto considerato non rinnega le sue origini e rinnova una storia arrivata ad un punto di non ritorno e di importante snodo, provando a chiudere un cerchio iniziato quattro anni fa.
Ironizzando sull’uomo e sulla sua natura, con un briciolo di sarcasmo in più, la terza stagione della serie si rivela una tappa per qualcosa di più grande. Un punto d’arrivo che segna sia una “fine” che, contemporaneamente, un nuovo inizio con una diversa forma. Con tutte le pecche del caso la narrazione ha mantenuto alto il coinvolgimento che però perde in scrittura e ritmo narrativo, puntando più di prima sul dinamismo e sull’impatto visivo. Non è mai semplice rinnovarsi e stravolgere le iniziali premesse a favore di un progetto che ha radicalmente cambiato volto; cosa che alla terza stagione in parte riesce, pur mettendo sull’altare del sacrificio l’intensità dei personaggi e le atmosfere che tanto avevano appassionato. A conclusione di questa recensione di Westworld 3 resta certo un po’ d’amarezza perché sembra proprio che qualcosa si sia rotto nel bellissimo gioco che era Westworld.
Westworld, la terza stagione
Voto - 6.5
6.5
Lati positivi
- Westworld riesce a rinnovarsi senza mollare la presa sulla tematica centrale e a chiudere il cerchio della storia iniziata nella prima stagione
- Alcune incredibili sequenze di rara potenza visiva che non possono lasciare indifferenti
Lati negativi
- L’universalità della storia aumenta la portata del suo raggio ma penalizza i singoli personaggi e i loro percorsi individuali
- Il cambio d’ambientazione e d’atmosfera deluderà gli spettatori legati alle prime stagioni
Francamente, non so neanche come ho fatto a sorbirmi tutte e otto le puntate. Quando ho visto il finale che apriva ad una quarta stagione, mi sono detto, questi sono matti. La verità è una sola: westworld doveva finire all’ultima puntata della prima serie. Un capolavoro assoluto che sarebbe rimasto negli annali ora ridotto a nulla.
Un disastro totale e senza appello, oltre i limiti del blasfemo. Stagione talmente nauseante che a tratti emerge il sospetto di un preciso intento di disgustare lo spettatore, più che altro per assolvere le imperdonabili colpe degli sceneggiatori, che direttamente dal manicomio orchestrano il massacro di un capolavoro. Insensatezza e banalità permeano gli otto interminabili episodi di questa terza stagione senza che vi sia mai un senso più ampio degli strati di pura idiozia che vanno aggiungendosi dopo ciascuno delle migliaia di combattimenti che ammorbano lo spettatore, costretto a più riprese a portare avanti l’episodio per non soccombere. Dopo un finale al cui confronto quello del Trono di Spade è opera di fini artisti, si scuote lo schermo cercando di riavere indietro le circa 8 ore di visione, ma invano. Non ho parole.