Hellbound: recensione della serie coreana disponibile su Netflix
Una nuova interessantissima serie coreana fa il suo debutto sulla piattaforma streaming
Il cinema coreano negli ultimi anni ha visto una crescita tanto rapida quanto inesorabile. Motore di questa ascesa senza precedenti è sicuramente la vittoria di ben quattro premi Oscar, tra cui quello per il miglior film, da parte di Parasite diretto da Bong Joon-ho. A seguire è arrivata Squid Game, la serie che ha conquistato nel giro di pochissime settimane il mondo intero spopolando sulle piattaforme social. A partire dal 19 novembre su Netflix è arrivata Hellbound, serie tv sudcoreana di cui vi presentiamo la recensione e che sembra pronta a ritagliarsi una sua fetta di pubblico e di hype.
Quella che viene raccontata nelle sei puntate della durata di un’ora (circa) è una storia dal forte carattere distopico ma che riesce ad approfondire in modo molto puntuale il dramma umano dietro la tragedia che coinvolge i protagonisti, e non solo. L’intera umanità infatti piomba nel caos nel momento in cui tre esseri demoniaci iniziano a imperversare sulla Terra condannando a morte le persone e trascinandole all’Inferno. A dispetto dell’incipit la serie si presta molto più all’analisi introspettiva della condizione umana che al lato sovrannaturale, una precisa scelta narrativa in qualche modo obbligata a causa della breve durata di questa prima stagione.
Indice
Trama – Hellbound, la recensione
Nel centro di Seul un povero malcapitato viene inseguito e trasformato in cenere da tre creature che sembrano provenire da una dimensione demoniaca. Nessuno ha idea di chi siano e cosa vogliano, gli stessi testimoni del brutale omicidio stentano a credere ai loro occhi. Tra lo sconcerto generale si staglia una voce che sembra invece sapere perfettamente cosa stia succedendo, è quella di Jung Jinsu, leader dell’organizzazione religiosa Nuova Verità: il giovane afferma che le tre manifestazioni non sono altro che emissari di Dio e il loro compito è quello di giudicare i peccatori. Il mondo viene gettato nello scompiglio e l’organizzazione religiosa, che col passare del tempo prenderà sempre più le sembianze di una vera e propria setta, acquisirà un potere senza eguali.
L’unica ad opporsi a questa visione unica e totalizzante degli eventi sovrannaturali che stanno investendo l’umanità è una donna, l’avvocatessa Min Hyejin. Affiancata prima dal detective Jin Kyeong-hoon e poi da Bae Young-jae, padre di un neonato condannato all’Inferno, la donna cercherà di sovvertire la dottrina imposta dalla Nuova Verità. A difendere l’operato di Jung Jinsu ci penserà il braccio armato dell’organizzazione religiosa detto Punta di Freccia. Lo scontro senza esclusione di colpi si sposterà quindi dal piano spirituale a quello terreno, coinvolgendo e travolgendo tutto ciò che gli si parerà davanti.
Chi è senza peccato scagli la prima pietra – Hellbound, la recensione
Il modo in cui il regista e ideatore di Hellbound, Yeon Sang-ho, ha deciso di raccontare la sua storia è estremamente semplice e ben centrato. L’elemento sovrannaturale rappresenta solo un pretesto per poter sviscerare le storture della condizione umana e del vivere civile. Peculiare è la decisione di non concentrare la narrazione su di un solo personaggio ma di analizzare la vicenda attraverso diversi punti di vista. Non esiste un buono o un cattivo, esiste solo il genere umano incapace di accettare la propria natura. Se da un lato viene lasciato molto spazio all’introspezione dei protagonisti dall’altro non viene sviscerato in nessun modo il fenomeno che fa da motore all’intera serie. Più che una scelta narrativa sembra trattarsi di una scelta di marketing, dato che le premesse fanno presagire un maggior approfondimento del mondo sovrannaturale nella seconda stagione.
Il principale elemento che può allontanare il grande pubblico dalla visione di Hellbound è un ritmo non proprio travolgente. Soprattutto nelle prime due puntate la storia fatica ad ingranare e si fa fatica a capire quale sia il focus. Superato però questo primo scoglio tutto diventa chiaro e gli episodi rimanenti si prestano facilmente al binge-watching.
Considerazioni finali
Concludiamo questa recensione di Hellbound parlando di quelli che sono gli aspetti visivi della serie. A dispetto dell’impostazione prettamente drammatica lo spettatore potrà assistere nel corso delle puntate a diverse scene action; nonostante la loro qualità non sia eccelsa gli scontri sono chiari e ben rappresentati. Il vero plus del comparto tecnico viene rappresentato dalla fotografia che offre il suo meglio nelle scene in notturna. Com’è tipico del cinema coreano gli ambienti urbani dopo il calar del sole vengono invasi da luci di diverso colore; ciò permette di giocare sui contrasti tra toni caldi e freddi anche all’interno di ambienti molto ristretti. A godere di tutto ciò è l’atmosfera che ne guadagna molto in pathos.
Quel che lo spettatore si trova di fronte rappresenta chiaramente un compromesso tra la filosofia cinematografica coreana e l’inestinguibile desiderio di monetizzare delle grandi multinazionali. Ciò risulta accettabile nella misura in cui le prossime stagioni si mantengano fedeli allo stile narrativo e visivo di questi primi sei episodi. Se avete amato Squid Game e siete in cerca di qualche altra serie orientale da vedere non perdetevi allora Hellbound, di sicuro non rimarrete delusi.
Hellbound - I stagione
Voto - 7
7
Lati positivi
- Il tema trattato e il come viene sviscerato, soprattutto dal punto di vista umano
- La fotografia
- L'enorme potenziale mostrato in sei sole puntate
Lati negativi
- Il mancato approfondimento del lato sovrannaturale
- Il ritmo della storia non è uniforme e la serie ingrana solo dopo le prime due puntate