“Stranger Things” – Ma è solo Nostalgia?
Mentre Netflix si gode il successo planetario di “Stranger Things” ci viene spontaneo fare due riflessioni al riguardo. Fin dalla prima stagione, la serie creata da fratelli Duffer ha puntato tutto sul fattore Nostalgia. Per alcuni, noi compresi, proprio la rievocazione degli anni ’80 ha giocato un ruolo chiave nel risultato finale ma per quale motivo? E, soprattutto, questa serie ha altro da proporci oltre a quello? Cerchiamo di fare alcune osservazioni in merito.
Nostalgia vs. Originalità
C’è una scena nella stagione 2 di “Stranger Things” che sembra racchiudere più significati del solito. Quando Lucas racconta alla nuova arrivata Maxine le vicende dell’anno precedente lei reagisce con educata freddezza. Crede si tratti di una storia inventata e replica: “Sembra un po’ scopiazzata in alcuni punti, avrei solo voluto fosse più originale“. Ci sembra quasi di vedere gli sceneggiatori darsi delle pacche sulle spalle per avere esplicitamente citato una delle critiche più diffuse tra i detrattori della serie.
Uno dei punti di forza del prodotto Netflix è sempre stata la sua immediatezza. Una storia semplice che non cerca equilibrismi narrativi e percorre una strada molto convenzionale. Una storia già vista, letta o sentita milioni di volte che si poggia su fondamenta costituite quasi esclusivamente da citazioni. Il commento più in voga tra chi non ama “Stranger Things” è proprio: “Togliendo ambientazione e rimandi cinematografici cosa resta?” Probabilmente ben poco ma è questo il punto: questa serie è nata in funzione del lancinante bisogno di nostalgia che ogni generazione cova nel profondo. Se tutti noi non sentissimo il desiderio di guardarci indietro e ritrovare alcune sensazioni provate nell’infanzia allora, probabilmente, non sentiremmo nemmeno la necessità di storie come questa.
Il citazionismo stilistico, narrativo e visivo è l’ossatura dell’intera serie, come gli effetti visivi o un cast di rilievo lo sono per altre. Togliere quello significherebbe snaturarne la natura stessa, per questo è così rilevante. Certo, il tutto viene spesso presentato in una maniera così ostentata e invadente da creare disappunto in alcune tipologie di spettatori.
I fratelli Duffer non si limitano a suggerire un omaggio ma te lo sbattono in faccia, ti strizzano l’occhio con ogni poster appeso alle pareti e ogni brano nella soundtrack. Naturale che il rischio di risultare stucchevoli con una ricostruzione così plateale sia dietro l’angolo e molti preferiscono un approccio più delicato. Lo stesso “It” di Andy Muschietti (qui potete leggere la nostra recensione), pur cavalcando l’effetto nostalgia, adotta uno stile più naturale. Nessun brano musicale troppo famoso, pochissime citazioni troppo palesi e una ricostruzione di certo meno “pop”.
Questi non sono gli Anni ’80
“Tu non puoi capire questa serie perché non hai vissuto gli anni ’80!!” Questa è la reazione che, sul web, va per la maggiore quando si tratta di difendere “Stranger Things“. Bene, chi vi scrive appartiene alla generazione che, di striscio, quel periodo lo ha vissuto. Ricorda bene i pesanti maglioni dai colori scuri, i pantaloni in fustagno marrone, i primi cabinati nei bar…ricorda tutto!
Proprio per questo motivo chi scrive può affermare con ragionevole certezza che la serie Netflix non racconti davvero gli anni 80! Ciò che fa è ricreare l’estetica di quel decennio, l’immaginario frutto di film, libri e tv dell’epoca. Quella di “Stranger Things” è la ricostruzione di ciò che avremmo voluto fossero quegli anni per noi che vi siamo cresciuti, non ciò che sono realmente stati. Per questo sa attrarre anche chi, anagraficamente, è venuto dopo; la riconoscibilità dei riferimenti e il tono volutamente “finto” rende irresistibile l’appeal dell’insieme.
Perché abbiamo bisogno di “Stranger Things”
Ma perché questa insana voglia di rivivere quell’immaginario arriva proprio adesso? Per prima cosa va ricordato che i creativi ora sulla cresta dell’onda provengono da quel decennio. Sono cresciuti nutrendosi di quell’estetica e di quei riferimenti quindi è naturale che li facciano riemergere nel loro lavoro. Restituiscono all’arte visiva ciò che hanno ricevuto da essa negli anni più formativi, è semplice.
E poi ci siamo noi, i figli di quell’epoca. Noi che stiamo vivendo un periodo buio sul fronte della realizzazione personale. Non possiamo guardare al futuro perché è nebuloso e privo di quella speranza di vedere le cose migliorare. Il presente ci assilla con una frustrante incertezza che ci logora giorno dopo giorno. Non ci resta che una soluzione: guardare al passato. Rifugiarci tra film, canzoni, citazioni, strizzate d’occhi che ci fanno ricordare un periodo più felice e rassicurante.
“Stranger Things” è la nostra coperta di Linus, il rifugio più facile e appariscente per chi ha vissuto gli anni ’80 e vuole riviverli anche oggi. Quella nostalgia nella quale, talvolta, anche il più cinico sente il desiderio di farsi cullare.