Tiny Pretty Things: recensione della serie tv Netflix
Il nuovo teen drama Netflix ambientato nel mondo della danza
Quando si parla di danza l’associazione che più si tende a creare è con l’idea di competizione. In realtà la rivalità, come spinta verso l’agonismo e come arma necessaria alla vincita, è un elemento comune allo sport in generale. Ma di certo, in questa disciplina artistica dove il corpo diventa veicolo di racconto, la competitività si declina naturalmente come possibilità di narrazione intrigante e maliarda. È proprio attraverso le dinamiche intrinseche al balletto, quelle più spietate e ostinate, che Michael MacLennan, il creatore e sceneggiatore della serie Netflix Tiny Pretty Things, di cui vi proponiamo la recensione, sceglie di incanalare una serie intera. Risultando così, tuttavia, vittima di una sua stessa volontà di far emergere il corrotto, inflessibile e egoistico mondo del balletto professionale.
Tiny Pretty Things racconta le dinamiche all’interno di un gruppo di studenti di una prestigiosa accademia di danza di Chicago. Ma lo fa attraverso una lente da thriller che diventa il fil rouge primario di una storia che avrebbe potuto fare dell’amore artistico la sua vera essenza comunicativa. Capiamo cosa non ha funzionato nella recensione di Tiny Pretty Things che segue.
Indice:
- La trama di Tiny Pretty Things
- La stessa spregiudicata (e pericolosa) fiducia
- La danza decora ma non è mai carnale
- Ritratto generazionale incompiuto
La trama di Tiny Pretty Things
La serie si avvia con un tragico incidente durante una notte all’ultimo piano del palazzo dell’Archer School of Ballet di Chicago. Cassie (Anna Maiche), la ballerina più promettente della scuola, viene spinta giù dal cornicione dell’edificio da una misteriosa figura con indosso una felpa a celarne l’identità. La povera ragazza entra in coma e a sostituirla arriva Neveah (Kylie Jefferson) l’unica ragazza nera della scuola; nonostante l’iniziale difficoltà, inizierà ad inserirsi nelle dinamiche dell’accademia facendo emergere i misteri, la competitività e i meccanismi di un sistema nocivo e tossico retto da fragili equilibri di potere fra studenti e professori.
Il caso di Cassie verrà affidato alla poliziotta Isabel Cruz (Jesse Salguiero), che con tenacia e solerzia tenterà di trovare il responsabile dell’incidente. E lo farà nonostante la ferrea opposizione della direttrice Madame Dubois (Lauren Holly), impegnata con ostilità a proteggere il buon nome della prestigiosa scuola.
La stessa spregiudicata (e pericolosa) fiducia − Tiny Pretty Things, la recensione
Tratta dall’omonimo romanzo scritto da Sona Charaipotra e Dhonielle Clayton, la serie mescola il teen drama e il dance movie, il thriller e alcuni brevi segmenti onirici dai toni horror. Tiny Pretty Things è un classico racconto di formazione che si lega al genere thriller/mistery attraverso l’espediente narrativo del whodunit. Qui lo spettatore viene accompagnato nella ricostruzione di un giallo tramite indizi, prove, sospettati. Qualcosa che avevamo già visto con 13 Reasons Why, Élite o altri prodotti originali Netflix che in quella doppia formula avevano trovato un innegabile appeal adolescenziale. Ora però il mistero non è più fra i banchi di scuola ma in un ambiente esteticamente più accattivante: la sala prove e il palcoscenico.
La serie appare dunque ambiziosa; non solo nel proporre un racconto plus generi, ma inserendo fin troppe tematiche da coming of age. Nonostante si avverta la condivisibile volontà di arricchire il racconto (10 episodi sono molti), s’introducono tematiche fortemente tortuose ma mai affrontate pienamente. Fino alla fine infatti rimangono sospese e narrativamente irrisolte questioni di forte problematicità sociale ed emotiva. Come la sessualità, la xenofobia, le molestie, la violenza sessuale, l’abuso di antidolorifici. E ancora la bulimia, il conflitto materno, la volontà d’emancipazione, l’abuso di potere. Una perplessità non da poco in un racconto che tenta di parlare di gioventù rivolgendosi innegabilmente ad un pubblico di adolescenti; giovani che di quei temi, oltre la rappresentazione, hanno anche bisogno di veridicità e complessità.
La danza decora ma non è mai carnale
Va detto però che la serie Netflix ha il merito di aver portato la danza (quella di livello professionale) all’interno di un racconto teen. In Tiny Pretty Things il ballo è uno degli elementi visivamente più riusciti grazie ad un cast di attori-ballerini che senza l’utilizzo di controfigure balla per davvero. E lo fa bene, regalando numeri e sequenze coreografiche d’innegabile ricerca estetica, godibili appieno anche agli occhi dei meno esperti. Della danza si esalta l’aspetto competitivo, la volontà di non fallire, l’emergere tra le file nell’affannosa ricerca di un ruolo da protagonista.
Perfettamente in estetica Netflix l’esercizio alla sbarra e l’estenuante ricerca della perfezione che tende all’infinito mancano di una componente di veridicità; di crudezza, di tangibilità dello sforzo fisico a cui gli studenti si sottopongono. Lontani da quella carnalità corporea vista in Flesh and Bone, la serie andata in onda su Starz, che non escludeva affatto il dolore, i nervi e la tensione muscolare dei ballerini. Qui purtroppo invece prevale l’aspetto laccato, incolume, esteticamente rassicurante di una disciplina che in realtà si fonda sullo spingere continuamente il fisico al suo limite più estremo mascherando quel dolore in bellezza e levità.
Ritratto generazionale incompiuto − Tiny Pretty Things, la recensione
Dalla porzione di adolescenti al centro del racconto emerge un ritratto francamente sconfortante. Se l’agonismo alla sbarra diventa arma necessaria alla personale ricerca di estensione delle proprie capacità, in Tiny Pretty Things questa stessa competitività acquista uno spazio ultra-disciplinare; descrivendo i giovani come esseri umani pronti a tutto. Cinici e capaci di sabotare le carriere altrui, soprattutto degli studenti più promettenti. Un cinismo disturbante; talmente esagerato da soffocare lo scavo interiore dei personaggi che non emergono quasi mai come personalità in divenire. Mai accomunati da un dolore condiviso e quindi possibilmente empatici fra loro in una comunanza dettata da un sistema che tende ad usarli come “strumenti”.
Una sceneggiatura che preclude l’arco narrativo delle storyline principali, lasciate incompiute e congelate in sé stesse. Relazioni, amicizie, sentimenti utilizzati all’interno dell’episodio ma fini a sé stessi escludendo così una caratterizzazione sfaccettata, multipla e interessante. Anche il personaggio con il maggior potenziale. June, viene tralasciato in un suo possibile e necessario approfondimento nonostante trascini con sé i temi più interessanti. Tiny Pretty Tings si conclude con un gesto che apre le porte ad una seconda stagione. Stagione però che per sopravvivere ed emergere davvero tra le fila delle serie Netflix deve rivedere molto soprattutto in scrittura. Perché solo l’estetica non basta. Ci vuole la tecnica.
Tiny Pretty Things
Voto - 5
5
Lati positivi
- Sequenze coreografiche danzate a livello professionale
- Interessante mix tra teen drama e thriller/mistery
Lati negativi
- Inseriti troppi temi e privati della loro complessità
- Storyline dei protagonisti lasciate incompiute