10 film africani da vedere assolutamente!
Ecco una lista dei 10 film africani da vedere assolutamente secondo FilmPost
Vi siete mai spinti a pensare all’arte e ai film africani? Fin dall’alba della settima arte i principali poli attrattivi per il cinema sono stati l’Europa e il Nord America, in particolare le produzioni statunitensi. Per anni sono stati realizzati film sull’Africa, senza conoscere realmente quel mondo e quella cultura così diversa da quella americana o europea. Noi di FilmPost abbiamo sempre supportato il cinema di nazioni e continenti che hanno meno visibilità, con un’apposita rubrica sui film stranieri. Oggi lo sguardo va al cinema africano, un mondo ancora poco esplorato da molti cinefili.
Quando chiesero al famoso regista afroamericano Charles Burnett perché il cinema africano è così straordinario, egli rispose: «Il cinema del terzo mondo ci parla di un mondo nuovo. Guardando quei film ci si accorge che gli altri esistono e che fin’ora sei stato privato di una parte di realtà». Questi “altri” sono culture, paesi, religioni, abitudini, condizioni politiche e sociali che sono conosciute a moltissimi paesi del mondo. Un viaggio che si concentrerà maggiormente nel periodo post-coloniale per l’Africa (gli anni Settanta), un periodo di rinascita e di consapevolezza artistica. Tra gli autori più nominati in questo articolo troviamo sicuramente Ousmane Sambène e Djibril Diop Mambéty, due dei cineasti africani di maggior talento. In questo articolo parlaremo di 10 prodotti considerabili come i film africani da vedere assolutamente.
Cairo Station (Porta di ferro, 1958) – Film africani
Il primo film in questa lista è un film egiziano. La ribellione giovanile di James Dean stava arrivando anche in nordafrica, dove c’erano per altro motivi più gravi per cui ribellarsi. Il cinema, specchio dei tempi, poteva riflettere le tensioni di ogni singolo paese. Fino a quel momento l’Africa non aveva avuto un ruolo significativo nella storia del cinema, fino a quando nel 1958 Youssef Chahine, regista ribelle, scrisse, diresse e interpretò il complesso melodramma “Cairo Station“: primo grande film africano e primo grande film arabo.
Il film si spinse oltre i limiti per la società egiziana del tempo, cogliendone le tensioni sessuali represse e la rabbia sepolta: nessuno, allora, parlava della realtà della frustrazione dovuta ai tabù e alla religione. Il coraggioso prodotto narra la storia di un pervertito (parole di Chahine), un giornalaio ossessionato da una donna, che segue e scruta morbosamente. Il protagonista era ripreso da solo, con la sua immaginazione erotica, in scene di una intensità morbosa. Ricco di simbolismo psicologico il film di Chahine è anche una lezione di regia e montaggio, con dolly e stacchi che fecero scuola. Nessun regista africano aveva mai pensato in termini così cinematografici prima di allora. Una nuova sensibilità narrativa e registica.
La nera di… (1966) – Film africani da vedere
A partire dagli anni Sessanta e per tutto il decennio successivo, in Senegal partì una rivoluzione cinematografica in cui il paese cominciò a filmarsi in maniera innovativa. Il paese dell’Africa occidentale, ex colonia francese, dopo la sua indipendenza fu fortemente spinto, dall’allora presidente Léopold Senghor, verso un rinnovamento culturale. Da queste condizioni socio-politiche nacque il primo film innovativo della cosiddetta “Africa nera”: “La nera di…“. La storia narra di una ragazza di colore che trova lavoro presso una famiglia bianca francese, badando ai bambini. La donna si trova a contatto con una realtà diversa dalla sua e rimane impressionata da ogni sorta di tecnologia e attrezzatura avanzata. Ma la famiglia tratta la donna come una schiava e la ragazza accusa ogni giorno di più la stanchezza.
Il regista, Ousmane Sambène, è probabilmente il cineasta più importante della storia del continente. Il regista aveva aderito al partito comunista e ciò si evince dal film e da tutti i suoi lavori in generale, incentrati sul lavoro e sulla dignità. Il prodotto, girato con un bianco e nero asciutto, ricorda le opere della Pop Art degli stessi anni. La decolonizzazione aveva posto l’accento su un quesito: che tipo di film volevano, e avrebbero dovuto, fare gli africani? Ousmane Sambène rispose proponendo la società moderna come soggetto principale in cui i conflitti di genere sono l’argomento.
Xala (1975) – Film Africa
Gli anni Settanta sono, per il cinema mondiale intero, gli anni della riflessione sull’identità, soprattutto sull’identità nazionale. Anche nell’Africa occidentale queste riflessioni vivevano un momento ricco di fermento. Mentre negli Stati Uniti, Scorsese e Coppola incantavano Hollywood e le cerimonie degli Oscar, nel continente africano era ancora Ousmane Sambène ad indicare la via per un nuovo e importante cinema, con un punto di vista saldo. Il suo “Xala“, un film divertente ma anche duro, si spinge oltre raccontando un passaggio importante per il paese: quello dall’identità coloniale a quella, non poco traumatica, post-coloniale. Lo fa prendendo di mira gli usi e i costumi dei colonizzatori francesi e soprattutto il disagio della popolazione senegalese nella situazione di indipendenza, una situazione nuova a cui non erano pronti.
Il film è tratto da un omonimo romanzo dello stesso regista. El Hadjí Abdou Kader Beye è un esponente di prestigio della nuova borghesia africana e membro della camera di commercio. L’uomo è disperato per una maledizione che lo rende impotente, lo xala. Dopo aver consultato numerosi specialisti e medici, capisce che l’unico modo per tornare alla sua virilità è sottoporsi, come la maledizione dice, a delle umiliazioni. Xala è un racconto allegorico che prende di mira soprattutto la corruzione della nascente borghesia africana e le sue aspirazioni che guardano alle comodità occidentali.
Touki Bouki (1973) – Film africani
Il film è opera del regista Djibril Diop Mambéty, una delle figure di prim’ordine quando si parla di cinema africano. Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, ha vinto il Prix de la Critique International del Festival di Mosca. Il film si colloca all’estremo opposto rispetto ai prodotti di Ousmane Sembène e questo fu, allora, causa di un ampio dibattito fra gli spettatori. Se il punto di vista di Sembène era, come già detto, ideologicamente saldo, quello di Mambéty faceva a pezzi ogni certezza. Il linguaggio innovativo ha ispirato moltissimi futuri cineasti, che considerano Touki Bouki il primo film africano d’avanguardia, contribuendo a creare un modernismo africano. Alcune scene hanno ispirato numerose generazioni, fino ad’arrivare ad artisti come Beyonce e Jay-Z.
La storia è quella di Mory e Anta, adolescenti anticonformisti, asociali e solitari. Ossessionati dal sogno di partire per Parigi, i due organizzano furti e truffe per racimolare la somma necessaria per il viaggio. Il mettere in scena il desiderio dell’emigrazione, portano il regista a rompere con le idee e i canoni formali del cinema del tempo e a sperimentare nuovi linguaggi. Le immagini sono cariche di simboli e metafore che servono allo spettatore per ricostruire la storia e darle un senso. Il montaggio sperimentale inserisce nella narrazione immagini simboliche che rendono il film un prodotto altamente allegorico, quasi onirico. Il genere didascalico è ormai superato e la ricerca di un nuovo stile, porta a paragonare Touki Bouki a Jean-Luc Godard, il Godard di Pierrot le fou.
Yeelen (1987) – Film africani da vedere
Il vento del nuovo significa anche la parziale, e a volte definitiva, perdita del vecchio, dell’arcaico patrimonio. In Yeelen, film maliano del regista Souleymane Cissé, racconta il vecchio e le antiche favole ma per parlare del presente ed accentuare quel già palese distacco dal passato che è un dato tangibile nell’Africa coeva. Le antiche favole sono miti di stregoni, re, deserti e guerrieri, riti e magie, simboli e allegorie. Essi sono visti tutti nella loro visione quasi non antropologica, o almeno prima di un processo di antropizzazione, prima della luce (yeelen, come il titolo del film). Il film narra di un padre e un figlio, di etnia bambara, maestri della magia. Il figlio vorrebbe condividere a tutti questi saperi ma il padre non è d’accordo, portando all’esasperazione il conflitto con il figlio, conflitto tra nuove idee e tradizioni.
Cissé racconta il patrimonio, racconta un viaggio per la salvaguardia di quest’ultimo che il tempo potrebbe irrimediabilmente dissolvere. La realtà però è forse diversa: lo stesso autore riflette sulle epoche e lo sviluppo, facendo intravedere una sorta di rassegnazione. Il cineasta filma l’Africa attuale e il mito con una commistione di stili: alto, sublime, ma allo stesso tempo elementare, sia nelle forme che nei contenuti. A metà, proprio come il territorio che filma. Una vecchia cultura che si fonde con le esperienze del cinema europeo. Il film, inoltre, vinse il premio speciale della giuria al Festival di Cannes del 1987.
Campo Thiaroye (1988) – Film Africa
Ancora Ousmane Sembène, in una produzione divisa tra Senegal, Algeria e Tunisia. Stavolta però in regia è affiancato da Thierno Faty Sow. Il padre del cinema africano, come lo vediamo oggi, si è assegnato un compito molto difficile con questo film: raccontare una miriade di realtà che sembrano però non interessare a nessuno, il tutto che però non esiste agli occhi altrui. Da sempre il regista (e scrittore) ha lottato per far valere quella difficile “africanità” molto più complessa di quanto si pensi, e di confrontarla con la cultura europea. Campo Thiaroye è il suo film più famoso, sicuramente tra i film africani di maggior successo. Esso è incentrato su un crimine coloniale, lo sterminio di un corpo di fanteria (i tiraillerus), la notte dell’1 dicembre 1944, nei pressi di Dakar. I tirailleurs si erano precedentemente ribellati, al ritorno in patria dai campi di guerra, alle discriminazioni razziali.
Un film che parla di uomini e di umanità, che scivola linearmente grazie ad un mix di registri fusi abilmente e sapientemente. Più che una denuncia contro il colonialismo e il militarismo, l’opera di Sambène è uno spaccato su un atroce crimine razzista, con cinico e feroce realismo ma soprattutto con la consapevolezza del mezzo cinematografico. Un film di prigionia, un film che parla africano per contenuti e forma e soprattutto esprime Sambène. Esprime la sua idea del suo cinema e della sua narrazione: un racconto sull’identità e sulla quotidianità. Premio della giuria alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia 1988.
Iene (1992) – Film sull’Africa
Torniamo a parlare di una delle personalità più rilevanti del cinema africano insieme a Sembène, Djibril Diop Mambéty. Nel 1992 girò “Iene“, considerata la sua opera più importante. La storia segue le grottesche vicende attorno a Linguère, una donna ormai anziana ma diventata estremamente ricca, che torna al suo paese, Colobane. Il villaggio, in piena povertà, accoglie la donna nella speranza che essa possa donar loro qualcosa per migliorare le loro situazioni. Utilizzano un cittadino, Dramaan, come intermediario: l’uomo però molti anni prima aveva sedotto e illuso la donna. Linguère fa molti doni agli abitanti che però passato dalla felicità all’avidità, desiderandone sempre di più. Il villaggio celebra il capitalismo e le sue gioie, diventando una sorta di fiera del consumo.
La ricca donna annuncia che le merci preziose non finiranno e i cittadini ne avranno altre. Ma c’è un prezzo alto da pagare: dovranno uccidere Dramaan, l’uomo che l’aveva respinto e le aveva fatto del male. La rabbia di Mambéty nei confronti del consumismo e del capitalismo si collega direttamente a quella di Pier Paolo Pasolini in Italia. Continenti diversi, culture diverse ed anni diverse: ma stessi pensieri, collegamenti e modi di ritrarli. Tutto il mondo è paese, ma questo mondo va scoperto. Il cineasta, come molti artisti africani, racconta il senso di essere africano oggi e cosa vuol dire, offrendo nuovi simboli per la narrazione. Un film sull’Africa, dall’Africa. Mambéty, con il suo sperimentare e narrare in maniera anomala e così innovativa, ha avuto per il cinema africano un’importanza simile a quella di Orson Welles per quello americano, forse mondiale.
Moolaadé (2004) – Film africani da vedere
Questo film di Ousmane Sembène è una parabola cruda su una dura realtà degli stati africani. Esso affronta con denuncia il tema delle mutilazioni del corpo femminile.Tali pratiche sono, purtroppo, ancora oggi praticate in alcuni paesi africani, soprattutto dell’area sub-sahariana. Co-prodotto da diverse nazioni francofone, il film ha vinto il premio come miglior film della sezione Un Certain Regard del 57º Festival di Cannes. Un film necessario, per dare visibilità, denunciando, le atrocità sulle giovani donne africane. Esso parla della presa di coscienza da parte di alcune madri e mogli in un villaggio dell’Africa. La ribellione, quella delle donne che dovrebbe dare il segnale allo spettatore, una posizione forte contro un crimine disumano.
Essere donna, in certi paesi, è difficile. Abbiamo già analizzato l’idea di cinema del regista: non ci sorprende questa analisi dei fenomeni sociali africani. La riflessione tra tradizione e modernità porta all’immedesimazione nella sofferenza fisica e psicologica, generata da un atroce crimine disumano di un continente sì in via di sviluppo, per solo per certi versi. Il ritmo lento della narrazione stimola la riflessione e la partecipazione attiva al film. Moolaadé è un confronto necessario tra un passato da rispettare con uno sguardo al futuro che dovrebbe rendere più umani, un film sull’Africa per rompere la catena dell’ignoranza.
Daratt – La stagione del perdono (2006) – Film Africa
Una produzione del Ciad, paese con un passato cinematografico non troppo florido. Il film, scritto e diretto da Mahamat-Saleh Haroun vinse il Gran premio della giuria alla 63ª Mostra del Cinema di Venezia. La storia è quella di Atim, giovane che viene incaricato dal nonno di vendicare la morte del padre. A N’djména scopre che l’assassino del padre, Abdallah Nassara, ha adesso avviato un’attività, una panetteria, però mostrandosi un uomo rispettabile e onesto: il ragazzo riuscirà a farsi assumere come garzone e pianificherà come agire. Un film ricco di silenzi, di tensioni, di non detto e di represso. Haroun filma le emozioni universali, dall’odio all’amore, dalla vendetta al perdono e lo fa con semplicità e sincerità.
Nella stagione secca (la daratt del titolo) si muovono le vicende di uomini pervasi da sentimenti contrastanti, ambigui e polivalenti in un contesto tragico. Le immagini sono essenziali, semplici e sempre “assolate” e dentro esse si muove l’analisi sulla società e sul tema del perdono, ostacolato dall’odio e dalla sete di vendetta. Il viaggio quasi ascetico e spirituale di Atim deve portare a riflettere lo spettatore, a renderlo in prima persona attivo nella vicenda e fargli pensare cosa è giusto, cosa è sbagliato e soprattutto quali sono le possibilità. La stagione secca può, e forse deve, trasformarsi nella stagione del perdono. I film africani sono anche questo, percorsi per il miglioramento.
Viva Riva! (2010) – Film africani
Il film congolese scritto e diretto da Djo Tunda Wa Munga va inserito nelle nuove forme del cinema africano. Negli anni le idee, gli stili e i generi cinematografici in voga nei grandi centri europei e americani sono giunti anche nel continente africano, grazie ad una massiccia globalizzazione e apertura verso il Terzo Mondo. “Viva Riva!” infatti rappresenta quel genere a metà tra il thriller e il crime, che in Africa ha fatto fatica ad imporsi nel tempo. Il film ha avuto 12 nominations e vinto 6 premi (tra cui miglior film, miglior regia e miglior fotografia) agli Africa Movie Academy Awards, i premi cinematografici per il cinema africano nati recentemente.
La storia segue le vicende di Riva, un contrabbandiere di carburante. L’uomo è perseguitato da un gangster del Botswana, Cesar, che ambisce alla sua “merce”. Il gangster farà affidamento a tutti i mezzi possibili per riuscire ad arrivare al suo obbiettivo, utilizzando gli stratagemmi più impensabili. Riva si trova intrappolato in un gioco mortale senza pietà che non risparmierà nessuno e metterà in bilico ogni certezza ed ogni sicurezza. Un film vibrante e violento, con una dose di dramma che lo rende un prodotto importante per l’Africa contemporanea, adattandosi alle mode ed egli stili oltreoceano.