I migliori film del 2019: i titoli più importanti dell’anno!
Uno sguardo ai film che hanno segnato il 2019 nelle sale italiane
Anche questo 2019 cinematografico sta per volgere al termine. Come ogni anno, finita la stagione dei festival e in attesa di quella delle premiazioni, arriva il momento di riflettere sui film usciti nel nostro paese. Aspettando gli Oscar 2020 (qui i film che potrebbero darsi battaglia per la vittoria finale) proviamo ad individuare in questo articolo quali sono i migliori film del 2019, i più importanti per la critica e per il pubblico, quelli che ci hanno fatto emozionare e divertire maggiormente. Premettiamo che saranno presenti, divisi in categorie, solo film usciti in Italia dall’1 gennaio al 31 dicembre 2019.
È stato l’anno del record di Avengers: Endgame, spodestando dalla vetta Avatar. L’anno dell’esplosione definitiva di Netflix, della rinascita del personaggio di Joker e di una speranza per un cinema italiano che sembra poter rinascere dopo anni bui. L’anno in cui il cinema indipendente e quello asiatico entrano stabilmente nella programmazione delle sale cinematografiche italiane. Un anno cinematografico importante, ricco di nomi importanti e piacevoli sorprese. Scopriamo come ogni anno quali sono, secondo FilmPost.it, i migliori film del 2019!
Indice
- I migliori film Netflix del 2019
- I più macabri
- Migliori film italiani del 2019
- Il ritorno di grandi registi
- I migliori film indipendenti del 2019
- Titoli premiati agli Oscar
- I migliori film orientali del 2019
- I cinecomics migliori di quest’anno
- Altri film da vedere del 2019
I migliori film Netflix del 2019
The Irishman
Martin Scorsese con The Irishman torna dietro la macchina da presa ripercorrendo tutti i tòpoi più significativi della sua cinematografia. Il regista italoamericano lo fa dirigendo dei veri e propri mostri sacri di Hollywood come Al Pacino, Robert De Niro, Joe Pesci e Harvey Keitel. Nonostante la pellicola si presenti come uno dei classici mafia movie alla Scorsese si caratterizza anche per un’ardita ricerca tecnica negli effetti speciali. Gli attori protagonisti della storia sono stati infatti ringiovaniti in post produzione, un lavoro complesso e dispendioso reso possibile grazie ai finanziamenti di Netflix.
Tratto dall’omonimo bestseller di Charles Brandt, il racconto di The Irishman è fortemente ancorato a fatti realmente accaduti. Il film ci mostra infatti la vita di Frank Sheeran (Robert De Niro) veterano della seconda guerra mondiale e autotrasportatore di esperienza. L’uomo riesce con sagacia e dedizione ad entrare nelle grazie del temuto boss Russel Bufalino (Joe Pesci). Franck come il più classico dei protagonisti dei film di Scorsese partendo dal basso riesce ad arrivare alle vette della criminalità organizzata. Il protagonista dovrà peròcapire come conciliare il suo ruolo all’interno del mondo criminale con quello di padre. Questa situazione verrà resa ancor più difficile dallo sbocciare dell’amicizia col potente sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino).
Il Re
Presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia, Il re è uno titoli Netflix più interessanti dell’anno. Diretto da David Michôd, il film è ispirato all’Enrico V di William Shakespeare e vede tra i protagonisti Timothée Chalamet, Joel Edgerton, Robert Pattinson e Lily-Rose Depp. L’opera di partenza viene reinterpretata senza mai essere storpiata. Un film che parla di guerre, entusiasmanti scontri ma soprattutto dell’umano sentimento della fedeltà, dell’amicizia e della lealtà. Il re attinge alla politica e alla società contemporanea per arricchire di curiosi e interessanti particolari narrativi l’opera shakespeariana. Una trasposizione libera che tra i suoi punti di forza ha l’impressionante messa in scena registica, scenografica e fotografica, specie nelle grandi battaglie, oltre che alla prova di Chalamet.
Nell’Inghilterra del XV secolo, il re Enrico IV, dopo aver generato malcontento in tutti i suoi domini e scatenato rivolte, si trova costretto a cedere il trono per i suoi gravi problemi di salute. Il successore non sarà il primogenito Hal, che ha scelto di abbandonarsi ai piaceri carnali tra i comuni popolani, bensì suo fratello minore. Quando quest’ultimo verrà ucciso in battaglia ad Hal non resterà che indossare la corona. Enrico V, nuovo nome da re, però ha un’ideologia che mal si concilia con il suo nuovo titolo e che, in passato, lo ha portato ad allontanarsi dalla corona: non crede nella guerra e negli ideali legati alla violenza.
Storia di un matrimonio
Uno dei film più amati del 2019 e del Festival di Venezia, pur tornando a casa senza premi, è il nuovo film di Noah Baumbach. Dopo il suo The Meyerowitz Stories, il regista torna a collaborare con Netflix per un film che ruota ancora una volta, come in molte opere della filmografia di Baumbach, attorno al tema della famiglia. Storia di un matrimonio è un film intimo, profondo e ricco di umanità, con due interpreti principali formidabili e quelli secondari di altrettanto livello. Tra essi Adam Driver, Scarlett Johansson, Laura Dern e Ray Liotta. Un film che racconta la difficoltà delle relazioni, l’amore e la consapevolezza dei sentimenti; racconta intere città e i piccoli spazi; parla di uomini, donne, bambini e dei rapporti tra essi e gli altri. Tra i probabili protagonisti alla prossima edizione degli Oscar.
Storia di un matrimonio ruota attorno alla famiglia di Adam e Nicole. Lui è un regista teatrale, lei un’attrice. I due sono marito e moglie e hanno un bambino. Qualcosa però, nel loro matrimonio, non va più. Il film si concentra sul drammatico processo di accettazione che porta alla separazione. Una separazione divisa tra New York e Los Angeles, tra i sogni e la realtà, il lavoro e la famiglia, i figli e le passioni, gli incontri con gli avvocati e l’intimità. Una storia comune per molte famiglie, per molti di noi, narrata e diretta con una naturalezza unica e non scontata. Il film è capace di farci sorridere e piangere, senza mai abbassare il ritmo. Un prodotto denso di emozioni, tra i migliori film del 2019.
Panama Papers
Sfornare un film all’anno mantenendo alti gli standard qualitativi non è un compito semplice. Tranne, evidentemente, che per Steven Soderbergh, capace di trasformare in dinamico ogni singolo elemento toccato. Panama Papers (The Laundromat), in concorso al Festival di Venezia, è uno di quei prodotti con tutte le carte in regola per diventare dei grandissimi successi. Basato sul libro Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite, racconta delle vicende legate allo scandalo dei Panama Papers. Anche grazie ai nomi presenti nel cast, da Gary Oldman e Antonio Banderas, fino a Meryl Streep, il film riesce a parlare di economia e politica senza annoiare e appesantire lo spettatore.
La storia principale è quella legata allo scandalo sopracitato. Le vicende vengono però introdotte grazie alla storia di Ellen Martin, una vedova che inizia ad indagare sulle frodi assicurative condotte da uno studio di Panama City, gestito da due curiosi soci che fungono anche da ciceroni nel percorso narrativo. Il dinamismo, la verve ironica e la scrittura intelligente avvicinano il film di Soderbergh ad un titolo simile, pur con le dovute differenze del caso: La Grande Scommessa di Adam McKay. Uno tra i migliori film Netflix del 2019, da non perdere assolutamente.
I più macabri
Border – Creature di confine
Tra i migliori film del 2019 uno dei titoli passati più in sordina dell’anno, diretto da Ali Abbasi. Parliamo di Border – Creature di confine, film svedese che unisce sapientemente inquietudine a meraviglia, raccontando una storia fantastica con legami fortissimi alla società contemporanea. Proprio la critica sociale, fusa alla mitologia e al fantastico scandinavo, indaga sulla natura dell’uomo e sullo “straniero”. Border è un film originale, intrigante quanto brutale nel significato: parte di quel filone sociale del fantasy che, nella sua meraviglia, fa porre importanti domande allo spettatore. Una favola dark che nasconde una profonda indagine sociale sulle apparenze e sull’identità umana, oltre che sulla comprensione di sé e la scoperta dell’altro.
Tina è un’impiegata doganale con un incredibile fiuto per scovare sostanze illecite, oltre che per fiutare le emozioni altrui. Riesce ad avvertire la paura, lo stress, la colpa di chiunque. Raramente si sbaglia. Tranne che con Vore. Egli, arrivato dopo aver oltrepassato la frontiera, non riesce ad esser “studiato” da Tina. Quest’ultima è stupita quanto attratta da ciò. Il loro rapporto, però, sarà una delle cause che porteranno Tina a scoprire la sua vera natura: uno choc che la condurrà verso una profonda crisi esistenziale.
La casa di Jack
Lars von Trier non è di certo un regista che ha bisogno di presentazioni. Sin dai suoi esordi ha cercato in ogni modo di cambiare le regole del cinema, prima di quello europeo e poi di quello Hollywoodiano. Il suo diktat è di creare scalpore con ogni mezzo, sia attraverso i contenuti che i suoi film veicolano sia con i suoi atteggiamenti ben oltre le righe. Rimane agli annali la sua messa al bando dal Festival di Cannes per delle sue dubbie frasi sul nazismo e su Hitler. Dopo aver realizzato pellicole “scandalose” come Dogville (2003), Antichrist (2009) e Nymphomaniac (2013) è finalmente sbarcato nelle sale italiane con la sua ultima fatica: La casa di Jack.
Il film si presenta come una moderna versione della storia di Jack lo squartatore, riveduta, ampliata e modificata secondo il gusto del regista danese. La storia è infatti ambientata negli Stati Uniti d’America nel 1970. Il protagonista è Jack, un ingegnere disturbato con tendenze ossessivo-compulsive. A chiari ed evidenti disturbi comportamentali il protagonista unisce un’insana passione per l’omicidio; successivamente ai suoi primi delitti si convince infatti di dover continuare ad uccidere per raggiungere la perfezione. Inizia così una lunga partita contro se stesso e la polizia, per cercare di ricreare il delitto perfetto e rimanere impunito.
Noi (Us)
La sfida più grande per i registi con ottimi esordi è il ripetersi al secondo lungometraggio, schiacciati dalla pressione. Questa, però, sembra non colpire Jordan Peele che, dopo Scappa – Get Out torna con il macabro quanto affascinante Noi (Us). Il regista americano porta sullo schermo un’incredibile storia fatta tensione, twist imprevisti e tanta qualità, specie dal punto di vista visivo e narrativo. Peele sembra destinato a diventare un maestro del genere grazie alla maestria con la quale dirige gli attori, sviluppa le situazioni e riesce e ad inserire nella sceneggiatura sostrati socio-politici e culturali senza appesantire il discorso filmico. Una delle migliori pellicole del 2019, forse la migliore tra gli horror, capace di mixare la paura al grottesco, creando una commistione folgorante e, per certi versi, spiazzante, anche grazie ad una colonna sonora incredibile.
Nell’estate del 1986, Adelaide, una bambina americana, fa un incontro spaventoso con un’altra bambina, identica a lei. Ai nostri giorni Adelaide è una donna, sposata e con due figli. Il trauma sembra ormai passato ma quando il marito deciderà di passare le vacanze nella stessa località del 1986, la mente della donna sarà invasa da pensieri negativi e da spiacevoli ricordi. Ciò che non sa è che tutto ciò è pronto a tormentare non solo lei, ma l’intera famiglia. Il suo doppio, incontrato anni fa, non è l’unico in circolazione.
Midsommar – Il villaggio dei dannati
Può un film horror inquietare senza mai utilizzare toni cupi e bui? Questa è la scommessa di Ari Aster, noto già per il suo Hereditary – Le radici del male, horror che ha stupito tutti lo scorso anno. Nel 2019 torna con Midsommar – Il villaggio dei dannati, film che, come detto, è una delle scommesse meglio riuscite degli ultimi anni. Un horror estremamente atipico, fuori dagli schemi, in cui ad inquietare è il contesto e il susseguirsi degli eventi, merito di un’efficacissima scrittura e una messa in scena magistrale, dalla fotografia alla regia. I toni non sono mai cupi, anzi: la luce bianca risplende in quasi tutta la durata del film, rendendo Midsommar un horror in stile folk da non perdere, tra i migliori film del 2019.
Dani è una ragazza che, dopo la scomparsa dei suoi genitori, decide di partire in Svezia con il suo ragazzo e alcuni amici, forse per dimenticare il dolore. Il rapporto con il ragazzo, Christian, non è dei migliori e la partenza potrebbe, chissà, metter fine alla crisi. Meta del viaggio è un villaggio sperduto con delle strane usanze, luogo in cui la pacifica comunità locale organizza uno strano festival tra la natura. Questo, contro ogni premessa, si rivelerà tutt’altro che innocuo, rivelando l’inferno dietro l’apparente paradiso terrestre.
Migliori film italiani del 2019
Il primo re
Il primo re ci trasporta direttamente nell’anno 753 a.c. alla scoperta degli eventi che portarono alla fondazione di una delle città più belle del mondo: Roma. Matteo Rovere dirige quello che può essere definito un piccolo kolossal all’italiana, avendo avuto a disposizione un budget di circa 8 milioni di euro. I protagonisti di questa produzione italo-belga sono Alessandro Borghi e Alessio Lapice, i quali vestono rispettivamente i panni di Remo e Romolo. L’attenzione e la cura per ogni dettaglio è stata maniacale, partendo dagli elementi di scena al linguaggio utilizzato dai personaggi. Il film è infatti recitato in una sorta di protolatino, una lingua arcaica precedente al latino vero e proprio.
I due fratelli pastori Romolo e Remo vengono travolti da un’improvvisa e violenta esondazione del fiume Tevere, perdendo così tutti i capi di bestiame. L’impeto dell’acqua li porterà nel pericoloso territorio di Alba Longa i cui abitanti decideranno di renderli schiavi. Ribellandosi alla loro nuova condizione Romolo e Remo fuggono, liberando altri prigionieri latini e sabini; nella loro fuga verso il Tevere prendono in ostaggio la sacerdotessa della Dea Vesta Satnei per avere dalla loro il favore degli dei. A causa di alcuni dissapori Remo uccide il capo latino Tefarie, diventando di fatto capo della neo-costituita tribù e prendendosi tutti gli onori e oneri del nuovo ruolo.
Martin Eden
Tra i migliori film italiani del 2019 anche Martin Eden, diretto da Pietro Marcello. Il film è liberamente tratto dall’omonimo romanzo del 1909 di Jack London: una reinterpretazione nostrana che riesce a fondere egregiamente gli elementi del romanzo con il contesto socio-culturale italiano, creando una drammatica favola che intrattiene e commuove. Da lodare, oltre alla sceneggiatura e alle trovate registiche e di montaggio, è l’interpretazione di Luca Marinelli. L’attore, proprio grazie a questa prova attoriale, si è meritato la vittoria della Coppa Volpi all’ultimo Festival di Venezia. Il film ha inoltre vinto il Platform Price al TIFF ed è stato lodato in tutto il mondo.
Martin Eden è un giovane marinaio nella Napoli di inizio XX secolo. Il ragazzo è un individualista convinto, mal visto in un epoca segnata dalla nascita dei grandi movimenti politici e sociali di massa. Il ragazzo sogna di fare lo scrittore e, grazie all’amore per una giovane borghese, avrà gli stimoli e le possibilità per aumentare il suo bagaglio culturale e la sua condizione. Ma il successo tarda ad arrivare, mentre la condizione finanziaria peggiora. Il suo non prendere una posizione politica, inoltre, lo mette in cattiva luce nei confronti dell’amata e della sua famiglia. Ben presto Martin dovrà scontrarsi con sé stesso e con una persona, quella diventata, che non gli appartiene più.
Il traditore
Tra i tanti film italiani di altissimo livello usciti nel 2019 uno solo ha avuto il compito più arduo di tutti. L’onore di rappresentare il nostro paese agli Oscar 2020. Il traditore è stato sicuramente uno dei titoli di punta della stagione cinematografica post Cannes; festival nel quale, per altro, è stato particolarmente apprezzato da pubblico e critica. Il film di Marco Bellocchio mostra nella scrittura e nella messa in scena l’esperienza che solo un maestro del cinema, come è lo stesso regista, può infondere. Lodato per la capacità di moltiplicare i registri e fonderli tra di loro, creando un mix esplosivo che riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Merito anche di un magistrale Pierfrancesco Favino in stato di grazia-
Gli anni Ottanta siciliani fanno da sfondo alla vicenda realmente accaduta. La guerra fra cosche mafiose è più aperta che mai e il numero dei morti sale vertiginosamente. Tommaso Buscetta è uno dei capi di Cosa Nostra, rifugiato in Brasile. Lì viene stanato e ricondotto in Italia. Ad attenderlo il giudice Giovanni Falcone che vuole una testimonianza dall’uomo per distruggere l’organizzazione mafiosa. Buscetta diventa il primo collaboratore mafioso di giustizia ma, dalle sue parole, non è egli il vero “traditore”.
Il ritorno di grandi registi
C’era una volta a… Hollywood
Quentin Tarantino porta in scena in questo 2019 la sua visione del tramonto dell’età d’oro di Hollywood tra fine anni ’60 ed inizio ’70. Una sincera lettera d’amore che in circa 160 minuti esprime tutto l’affetto del regista per un periodo oramai terminato ma che ha influenzato intere generazioni di cineasti. Come è solito fare Tarantino non perde occasione di citare, o semplicemente suggerire, questo o quell’altro elemento disseminando citazioni e easter eggs per tutta la pellicola. Il cast di C’era una volta a Hollywood è a dir poco stellare, i protagonisti sono Leonardo Dicaprio (Django Unchained), Brad Pitt (Bastardi senza gloria) e Margot Robbie, ma numerosi sono i cameo di un certo spessore: Dakota Fanning, Al Pacino. Michael Madsen e Kurt Russel.
Sono gli anni ’50 e Rick Dalton, protagonista della popolare serie televisiva western Bounty Law, sembra avere un futuro roseo. Il grande salto nel cinema che conta sembra solo una formalità ma così non sarà, arrivato alla fine degli anni ’70 si renderà conto di essere oramai sulla via del tramonto. Ad Hollywood sta emergendo un nuovo tipo di cinema che necessita di un tipo di attore molto diverso da quello che è lui. A condividere con Dalton la crudele bellezza di Hollywood c’è Cliff Booth, sua inseparabile e imprevedibile controfigura.
Dolor y gloria
Dolor y gloria è uno di quei titoli che non può lasciare indifferenti, specialmente chi ha da sempre amato il conturbante cinema di Pedro Almodóvar. Il film si presenta chiaramente come la summa di tutto ciò che il regista spagnolo rappresenta, e ha rappresentato, per il panorama cinematografico internazionale. A questo si aggiunge il forte carattere biografico dell’opera che ci aiuta a scavare nelle profondità dell’Almodovar uomo, prima che artista. L’eccellente interpretazione di un Antonio Banderas in grande spolvero non rappresenta altro che la ciliegina sulla torta di uno dei migliori film del 2019.
Il protagonista della storia è Salvador Mallo, un acclamato regista che dopo aver raggiunto la fama si trova in forte difficoltà. La sua vita è infatti funestata da un declino fisico e artistico apparentemente inarrestabile; ogni aspetto della sua esistenza deve sottostare all’incredibile numero di patologie cui è affetto, molte delle quasi psicosomatiche. Sull’orlo di una crisi di nervi e in piena depressione il regista è costretto a vivere una vita vuota costellata dai ricordi della gloria passata. Tutto cambierà dopo aver ricevuto l’invito per presenziare a un cineforum in cui verrà proiettato Sabor, il suo primo grande capolavoro.
L’ufficiale e la spia
Tra polemiche legate alla vita privata del regista e il tema delicato del film, torna in grandissimo stile Roman Polanski, in concorso a Venezia 76, con L’ufficiale e la spia (J’accuse). Il film è l’ennesimo successo del regista polacco, tinto di un’eleganza formale e narrativa che non necessita di esplicite sottolineature. Da sempre attento ai dettagli, quelli capaci di far la differenza, Polanski gestisce personaggi, ambientazione e sottotrame con destrezza senza perdere mai il filo del discorso e rendendo il film scorrevole ed efficace nel messaggio. Un film che, per quanto legato al passato, racconta molto più di quanto si possa pensare del contemporaneo. Ritmi altissimi rendono ogni elemento dinamico e vivo. Non la statica ricreazione storica patinata: qui la città, i suoi protagonisti e le loro ossessioni entrano nel vivo dell’azione e generano un clima vertiginoso.
Nel 1895 l’ufficiale dell’esercito francese, Georges Picquart, assiste alla condanna all’esilio di Alfred Dreyfus, giovane militare di origine ebrea, accusato di aver tradito lo stato ed esser spia e tedeschi. L’ufficiale però, con il tempo, si renderà conto che l’informatore non è evidentemente l’uomo condannato, arrivando ancora soffiate ai tedeschi. Si batterà, allora, contro il suo Paese e la sua stessa carriera militare per cercare giustizia e verità, anche grazie all’aiuto di personaggi di spicco della società e della cultura come Émile Zola.
The Mule
Un altro gradito ritorno tra i grandi registi è quello dell’inossidabile Clint Eastwood. Alla soglia dei 90 anni l’attore e regista statunitense non ne vuole sapere di andare in pensione e ci regala un altro grande film. In The Mule – Il corriere Eastwood si districa magistralmente nel doppio ruolo di attore e regista, mettendo in scena un’incredibile storia vera. Nel cast grandi nomi tra cui il premio Oscar Bradley Cooper, Bradley Cooper, Michael Peña e Andy García.
Earl Stone (Clint Eastwood) è un uomo all’apparenza affabile e sorridente con un forte senso del dovere che per tutta la vita lo ha portato a coltivare fiori piuttosto che dedicarsi alla sua famiglia. Earl oramai anziano deve affrontare il fallimento della sua attività e un rapporto coi propri cari completamente da ricostruire. Per far ciò decide di dedicarsi ad una nuova occupazione, trasportare misteriosi carichi per conto di un cartello di malviventi. Un giorno il protagonista decide di scoprire ciò che deve consegnare e capisce così di essere diventato un corriere della droga. Sulle sue tracce i due agenti della DEA Colin Bates (Bradley Cooper) e Trevino (Michael Pena) intenzionati a fermare il traffico di droga del boss messicano Laton (Andy Garcia).
I migliori film indipendenti del 2019
Vox Lux
Tra i migliori film indipendenti del 2019 c’è sicuramente il secondo lungometraggio diretto da Brady Cobert, Vox Lux. Presentato lo scorso anno al Festival di Venezia, il film arriva nelle sale italiane in questo 2019 già segnato da molti film musicali. Il dramma raccontato, però, non ha soltanto il legame con la musica: è una storia di formazione, in primis psicologica, del percorso evolutivo che porta al successo segnato da un profondo trauma, lo stesso che però ha permesso tutto ciò. Brady Corbet prende una storia tanto, forse troppo, umana e personale e la proietta verso un’intera nazione, con una velata critica sociale e politica. Un film in cui il ritmo non crolla mai e la messa in scena mostra trovate originali e ben coerenti con un’ottima sceneggiatura.
Le vicende raccontano la storia di Celeste, una liceale che vive un profondo trauma in una normale giornata di scuola: un ragazzo entra e spara all’impazzata in classe, compiendo una strage. La ragazza sopravvive, riportando però una grave lesione alla spina dorsale. Dal dramma la ragazza troverà una via d’uscita attraverso la musica. Proprio quell’evento sarà importante per il suo successo: evento che, a distanza di molti anni, continuerà maledettamente a darle il tormento. Tra i film più particolari e interessanti del 2019 anche grazie alle splendide interpretazioni di Natalie Portman e Raffey Cassidy.
Miserere
Il cinema greco degli ultimi dieci anni ha subito un’improvvisa accelerata sia artistica che di successo. Questo principalmente grazie al lavoro di Yorgos Lanthimos e dello sceneggiatore Efthimis Filippou, capaci di ideare storie ai limiti del surreale, riconoscibili e ben apprezzate. Proprio quest’ultimo ha scritto la sceneggiatura di uno dei titoli indipendenti più interessanti di questo 2019, Miserere. Diretto dal regista greco Babis Makridis, il film gioca con lo spettatore attraverso una storia assurda, fuori dagli schemi ma ricca di umanità. Grazie ad una sceneggiatura che sa ben trasmettere ogni sfumatura della vicenda e a delle interpretazioni magistrali; il film riesce ad empatizzare con il prossimo attraverso il suo tono grottesco, trasformando il dramma in commedia.
La black comedy greca ruota attorno alla figura di un uomo, l’avvocato. Egli vive una vita monotona, scandita da una costante imprescindibile: gli atti di pietà da parte della gente che incontra. L’uomo infatti è sposato, ma la moglie si trova in stato di coma a seguito di un incidente. Con il passare del tempo il protagonista capirà che questa condizione di sofferenza in realtà ha creato una stabilità dalla quale non vuole più uscire. Ma gli imprevisti, in questo beffardo gioco chiamato vita, sono dietro l’angolo.
Atlantique
Premiato con il Gran Prix Speciale della Giuria a Cannes, Atlantique è l’ennesimo film che conferma la miriade di registi e opere sparsi per il mondo capaci di stupire e regalare momenti di ottimo cinema. Perché il film di Mati Diop viene direttamente dal Senegal, terra cinematograficamente sconosciuta ai molti. Vi abbiamo già parlato del cinema africano e della sua importanza nel periodo post decolonizzazione. Da tempo non si vedeva un’opera proveniente dal continente africano di buon livello. Il rischio, quando si parla di un paese non di certo noto per le sue opere cinematografiche, è che si finisca per imitare (per altro male) prodotti europei, americani e asiatici. Atlantique, di produzione senegalese e francese (distribuito da Netflix) riesce a portare una storia africana contenente elementi spiritualistici a noi sconosciuti, senza guardare ai prodotti degli altri paesi, con una personalità forte e d’impatto.
La storia è ambientata in Senegal, nella costa atlantica, ed ha come protagonista una diciassettenne di Dakar, Ada. La ragazza è innamorata di Souleiman, un giovane operaio. Unico cavillo è il fatto che Ada sia promessa sposa ad un altro uomo. D’un tratto, stanchi di lavorare senza esser pagati, Souleiman e i suoi colleghi tentano la fuga dal Senegal via mare verso un futuro migliore ma scompaiono. Dopo la scomparsa degli uomini, una misteriosa febbre inizia a diffondersi e, come se non bastasse, il matrimonio di Ada, non desiderato dalla ragazza che piange la scomparsa di Souleiman, viene annullato per via di uno strano incendio. Nessuno, però, sa che gli uomini scomparsi, compreso l’amato di Ada, sono tornati.
Titoli premiati agli Oscar
La Favorita
Yorgos Lanthimos ha presentato La Favorita alla 75esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La curiosità tra pubblico e critica era alta visto che al momento si tratta dell’unico film di cui il regista greco non ha firmato la sceneggiatura. La bontà del cast stellare composto da Emma Stone, Rachel Weisz e Olivia Colman oltre che nell’apprezzamento del pubblico si riflette anche nei premi vinti: il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e la Coppa Volpi per la migliore interprete femminile alla bravissima Olivia Colman. Lanthimos ci offre uno spaccato di storia inglese attraverso la sua visione unica e coinvolgente del suo cinema fuori dagli schemi.
Siamo nel 1708 e mentre la Gran Bretagna è in guerra contro la Francia la Regina Anna sembra preoccuparsi più di chi la circondi a corte piuttosto che delle sorti del suo popolo. Due cortigiane, Abigail Masham (Emma Stone) e Sarah Churchill (Rachel Weisz) duchessa di Marlborough, si contendono infatti il ruolo di “favorita”. La prima è una ragazza assunta come domestica nel palazzo, mentre la seconda è una nobildonna di cui la regina si fida ciecamente. il rapporto tra quest’ultima e Anna è talmente stretto da influenzare le importanti decisioni della sovrana in ambito politico. Lo sfondo storico fa da cornice a uno scenario più intimo dominato da un’incredibile smania di potere che spingerà le due contendenti a fare di tutto per ottenere ciò che più desiderano: il potere.
Vice – L’uomo nell’ombra
Già citato in relazione al film di Soderbergh, Adam McKay è sicuramente uno dei registi più interessanti del XXI secolo. A rendere così frizzanti le sue opere sono principalmente le sue esperienze legate alla serialità e alla televisione. Il ritmo dei suoi film sembra subire le influenze delle serie e degli show tv e il suo Vice – L’uomo nell’ombra non è da meno. Una storia americana, di intrighi e giochi di potere, scritta e diretta con la classica verve ironica e dinamica che distingue i film del regista di successo. Ciò che, oltre tutti gli altri elementi, fa spiccare il volo alla pellicola sono le magistrali interpretazioni. Tra esse quelle di Christian Bale e Amy Adams polarizzano l’attenzione facendo quasi passare in secondo piano la storia. Uno dei migliori film del 2019, pur facendo parte della scorsa stagione cinematografica ma uscito in Italia a inizio gennaio.
La controversa storia narrata è quella del politico Dick Cheney. Il film narra la sua ascesa politica fino al culmine, come Vice Presidente degli Stati Uniti. L’uomo, dopo esser stato espulso dal college e quasi finito a diventare uno sfaticato ubriacone, viene aiutato dalla moglie Lynne a cambiare vita. Lei è una donna e in quanto tale, negli anni Settanta, non può diventare una persona di potere negli Stati Uniti. I due, insieme, scaleranno i posti e le gerarchie politiche fino ad arrivare a tutti gli effetti a dominare, nell’ombra, una delle amministrazioni politiche più devastanti della storia del paese: quella di George W. Bush.
Green Book
Passato inizialmente in sordina, non in concorso nei Festival più importanti (passato però da quello di Roma), Green Book si è ritagliato, con il tempo, sempre più spazio tra gli apprezzamenti del pubblico e della critica. Pareri più che positivi che lo hanno portato ad una scalata inarrestabile fino alla vittoria dell’Oscar al migliori film all’ultima edizione della cerimonia. Il film di Peter Farrelly si sviluppa attraverso i meccanismi del più classico dei road movie: diverte, intrattiene ed emoziona. Porta alla riflessione attenta su temi che, ancora oggi, sono delicati e fanno discutere. Scritto e diretto sapientemente, Green Book ha tra i suoi punti di forza le due interpretazioni magistrali di Mahershala Ali (premiato agli Oscar) e Viggo Mortensen.
Nella New York del 1962 le storie di Tony Lip Vallelonga e Donald Shirley sono destinate ad incrociarsi. Il primo è un buttafuori in un locale che però sta chiudendo per ristrutturazione e l’uomo cerca disperatamente lavoro. Il secondo è un musicista che sta per partire in tour negli Stati del Sud. Egli però è afroamericano e nel Sud questo potrebbe recargli qualche problema. L’occasione lavorativa che Shirley offrirà a Tony sarà ostacolata proprio da questo: la piccola dose di razzismo che il buttafuori italo-americano ha sviluppato nel corso degli anni. Ma si sa che le apparenze e i pregiudizi ingannano quasi sempre.
I migliori film orientali del 2019
Parasite
Dall’oriente, dalla Corea del Sud, arriva quello che da molti è considerato a mani basse il miglior film dell’anno. Vincitore della Palma d’Oro, Parasite è l’ennesimo gioiello di Bong Joon-ho. Il film segna l’ascesa definitiva del regista coreano tra le grandi personalità del cinema, capaci di narrare ottime storie in modo spettacolare. Nello stesso anno di Scorsese, Tarantino e Polanski, Parasite sbaraglia la concorrenza e si erge a film simbolo di questo 2019. Un piccolo capolavoro che parte dal drammatico contesto sociale e un attacco alla società, per arrivare a spiazzare, divertire e appassionare ad un violento gioco psicologico in cui nulla è mai come sembra, per noi e per gli stessi protagonisti dell’opera. Un comparto tecnico perfetto e una colonna sonora mai scontata sono la ciliegina sulla già gustosa torta che Parasite ci offre, in un mix di generi esplosivo e folgorante.
La famiglia di Ki-taek è la protagonista di questa folle storia: i quattro membri abitano in un seminterrato, sotto il livello della strada, e le loro condizioni economiche sono più che precarie, essendo tutti disoccupati. Il legame familiare, piccoli lavoretti e una spiccata furbizia li aiutano ad andare avanti. Un giorno, inaspettatamente, al figlio Kim Ki-woo viene proposto un lavoretto come insegnante di inglese presso la lussuosa villa dei Park, una benestante famiglia. La ricca famiglia, specie la moglie del sign.Park, è molto ingenua e di questo ne approfitterà la famiglia meno abbiente, capendo di poter ricavare qualcosa in più del semplice lavoretto del ragazzo, insinuandosi sempre più nella vita dell’ignara famiglia.
Burning
Ancora dalla Corea del Sud uno dei migliori film di questo 2019: Burning, di Lee Chang-Dong. Il film tratto dal racconto dello scrittore giapponese Haruki Murakami è un thriller che lascia senza fiato, tenendo sulle spine con i suoi enigmi e misteri. Burning intriga con le sue vicende contorte e ammalia con una fotografia magistrale, capace di gestire con sapienza i toni cromatici in relazione agli stati d’animo dei protagonisti. Un film in cui nessun dettaglio è lasciato al caso ma soprattutto niente è come sembra: per più di due ore esploriamo la psicologia umana in dramma attraverso stanze vuote, serre abbandonate e vie trafficate.
La storia è quella di Jong-su, ragazzo che dopo molti anni ritrova una vecchia amica d’infanzia, Hae-mi. La particolare ragazza, dopo un periodo di frequentazione con Jong-su, chiede a quest’ultimo di potersi occupare del suo gatto mentre lei andrà in Africa. Una volta tornata, con lei ci sarà Ben, un ragazzo conosciuto nel viaggio di ritorno. Alcune situazioni nella vita del protagonista diventano sempre più inspiegabili: lo erano diventate già dall’incontro con Hae-mi ma si intensificheranno dopo il ritorno dei ragazzi in Corea. La situazione precipiterà psicologicamente, però, quando, duranta una chiacchierata, Ben rivelerà al protagonista un suo anomalo hobby.
Weathering with you
Tra i film orientali del 2019 anche il Giappone con Weathering with you, titolo che rappresenterà il paese alla prossima edizione degli Oscar. Il film d’animazione è diretto da Makoto Shinkai, ormai considerato uno dei maestri contemporanei dell’animazione giapponese. Dopo il successo internazionale del su Your Name., Shinkai raggiunge la completa maturazione stilistica e narrativa: ha molto in comune con il suo predecessore, limandone però le imperfezioni e raggiungendo un livello ancora più alto. Anche grazie all’incredibile lavoro tecnico-grafico delle animazioni e della messa in scena, Weathering with you si distingue nettamente tra tutti i film d’animazione del 2019, pur portando temi già visti, specie nelle narrazioni d’animazione nipponiche. In grado di emozionare e far riflettere, il film regala anche un’eccezionale colonna sonora che intensifica l’atmosfera magica.
Hokada è un sedicenne che, dopo esser scappato di casa per andare a Tokyo, finisce a dormire per strada nel quartiere di Kabukicho. Mentre l’estate giapponese è segnata da numerose piogge torrenziali, il ragazzo conoscerà l’editore Suga che, dopo averlo assunto nella sua rivista, gli affiderà un’indagine sulla leggenda delle “sacerdotesse del sereno”, capaci di cambiare, attraverso la preghiera, le condizioni climatiche. Hokada conoscerà Hina, giovane impiegata del McDonald’s che sembra vere questi magici poteri legati al tempo.
I cinecomics di quest’anno
Avengers: Endgame
Riuscire a dare una degna conclusione ad un progetto durato oltre dieci anni non è facile, soprattutto dopo l’exploit di Avengers: Infinity War. Avengers: Endgame, con i suoi pregi e i suoi difetti, riesce comunque nell’impresa di mettere il punto ad un intero universo narrativo che nel corso del tempo ha fatto appassionare intere generazioni. L’instancabile lavoro dei fratelli Russo ha fatto sì che l’intera pellicola fosse al contempo un tributo a ciò che è stato ma anche, e soprattutto, il germoglio di quel che sarà. I creativi Marvel sono infatti al lavoro sul nuovo universo cinematografico che si prepara a stravolgere le carte in tavola ma sempre nel nome del compianto Stan Lee.
Il film riprende dove tutto era stato interrotto in Infinity War. La Terra, il sistema solare e l’intero universo devono fare i conti con l’ineluttabile schiocco di dita di Thanos. Metà della popolazione è svanita nel nulla, nessuno si è salvato: uomini, donne, alieni e supereroi. I superstiti cercando di superare il dolore per non essere riusciti a fermare tanta malvagità decidono di riunirsi e trovare una soluzione. La risposta a ogni quesito sembra “il viaggio nel tempo”, ma bisogna prima superare le difficoltà e i dilemmi morali di un’azione tanto audace.
Joker
Uno dei migliori film del 2019 è sicuramente il sorprendente Joker di Todd Phillips; presentato alla 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ne è uscito vincitore contro tutti i pronostici. A contribuire all’enorme successo di quest’atipico cinecomic è sicuramente l’incredibile interpretazione di Joaquin Phoenix che ancora una volta si conferma come uno dei migliori attori della sua generazione. Dall’altro lato il film ha attirato su di se le critiche di una parte della società americana a causa del subliminale messaggio di violenza nascosto nella figura del Joker. Comunque la si pensi rimane comunque una delle migliori opere uscite nelle sale nel 2019.
Il film è ambientato in una Gotham City sempre più preda del degrado e della disuguaglianza sociale, dove a farla da padrone è il più potente. In questa landa desolata spicca la figura di Arthur Fleck, un uomo all’apparenza mite ma disturbato, che vive con l’anziana madre in un appartamento dei bassifondi. L’uomo oltre che soffrire di una profonda depressione è affetto da una rara patologia che gli provoca improvvisi e incontrollabili attacchi di risate. A causa della mancanza di talento Arthur non riesce a coronare il suo sogno di diventare un cabarettista ed eguagliare Murray Franklin, uomo di spettacolo e suo idolo. Una spirale di solitudine, emarginazione e follia porteranno Arthur e Gotham a morire e rinascere, come una fenice.
Altri tra i migliori film da vedere del 2019
Rocketman
Poco dopo la trionfante uscita nelle sale di Bohemian Rhapsody, un nuovo film su una delle star della musica più amate della storia: Rocketman. Lo stesso Sir Elton John (tra i produttori) ha apprezzato l’omaggio e lodato la grandiosa interpretazione di Taron Egerton: attore, cantante (e che cantante!) e performer a trecentosessanta gradi. Il film diretto da Dexter Fletcher gioca con la realtà e l’onirico e immaginifico mondo creato dall’artista inglese, puntando al musical e al divertimento, non senza quel rispetto dovuto nei confronti di una leggenda musicale. Un film che, forse non al livello degli altri, ha raccolto ottimi consensi specie dal pubblico che lo ha premiato online e al botteghino. E sappiamo bene quanto, oggi, sia importante farsi apprezzare dal grande pubblico, specie quando si affrontano determinati artisti.
Il film racconta l’incredibile storia di Reginald Dwight e il suo percorso evolutivo che lo porta a trasformarsi da pavido prodigio del piano a star internazionale. Da timido ragazzo di provincia a icona del pop, della musica in generale, della cultura di un’epoca e dello stile, stravagante e sempre fuori dagli schemi, capace di incantare con le note e i suoi testi (che accompagnano durante tutta la visione di Rocketman).
Climax
Gaspar Noé si è imposto nel giro di pochi anni come uno dei registi più importanti ed interessanti del panorama europeo e mondiale. Il regista argentino dopo il suo debutto in un lungometraggio nel 1998 ha inanellato un buon film dietro l’altro, dividendo pubblico e critica. Irréversible (2002) e Love (2015) sono i film che più di tutti hanno scioccato e colpito, non tanto per le tematiche trattate ma per come sono state affrontate. Climax non fa eccezione, prendendoci per mano e portandoci all’interno dell’allucinata visione di Noé; qui il regista attraverso una sapiente sperimentazione tecnica e narrativa sorprende lo spettatore con qualcosa di inaspettato e dirompente.
Il film è ambientato negli anni novanta e tutto, partendo dai vestiti fino ad arrivare al più insignificante dettaglio della scenografia, ce lo ricorda. Un eterogeneo gruppo di ballerini francesi si riunisce in un collegio in disuso per provare il loro spettacolo prima di partire per una tournée negli Stati Uniti. Dopo tanto duro lavoro decidono di organizzare una grande festa, i cui esiti saranno però devastanti. Ogni aspetto della messa in scena serve a catapultarci all’interno della mente dei protagonisti, inconsapevoli prigionieri di un inferno psichedelico.
La mafia non è più quella di una volta
A cinque anni da uno dei film italiani più irriverenti e socio-culturalmente interessanti degli ultimi anni, Franco Maresco torna con un nuovo documentario. Considerato una sorta di sequel spirituale di Belluscone – Una storia siciliana, il suo La mafia non è più quella di una volta approfondisce alcuni temi del film precedente e ne inserisce di nuovi. Con la stessa formula (il mockumentary, pur violando spesso il concetto di mock) Maresco porta in scena alcuni dei volti visti in Belluscone, con l’aggiunta di una compagna d’eccezione: la celebre fotografa e reporter di cronaca mafiosa Letizia Battaglia. Sempre senza peli sula lingua e senza filtri, il regista riesce a mostrare un mondo allo sbando in cui dei simboli eroici del nostro paese diventano strumenti commerciali, spesso disprezzati. Premiato a Venezia, è un film che fa riflettere e interrogare gli spettatori.
2017: vent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Franco Maresco intraprende un nuovo viaggio documentaristico in Sicilia, affiancando a Letizia Battaglia un personaggio dalla sfacciata e ostentata ignoranza, Ciccio Mira, organizzatore di eventi legato alla criminalità, che sembra esser cambiato e pronto al riscatto. Quest’ultimo organizzerà un evento allo Zen di Palermo, chiamato “I neomelodici per Falcone e Borsellino“: da qui partirà un percorso, sempre con i toni dissacranti di Maresco, attraverso la squallida manipolazione del ricordo delle due importanti figure, nella quale riecheggia il legame di questi eventi con le organizzazioni mafiose.
The Rider – Il sogno di un cowboy
The Rider – Il sogno di un cowboy è stato presentato in anteprima a maggio 2017 al Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs. Nonostante ciò il film è colpevolmente arrivato nelle sale italiane solo quest’anno e per questo possiamo annoverarlo tra i migliori film del 2019. Si tratta della seconda opera della giovane e talentuosa regista cinese Chloé Zhao, presentatasi al grande pubblico nel 2015 con Songs My Brothers Taught Me.
Il protagonista della storia è Brady Blackburn (Brady Jandreau), un giovane addestratore di cavalli nella riserva di Pine Ridge, nel South Dakota. Noto per le sue doti di cavallerizzo è stato cresciuto dalla sua famiglia nell’ambiente dei destrieri. Nonostante la sua vita sembri procedere lungo dei binari ben definiti tutto cambia all’improvviso a causa di una terribile caduta da cavallo. L’incidente gli ha provocato infatti dei danni al cranio tanto gravi da necessitare di un’operazione per potergli salvare la vita. Una volta ripresosi dal trauma apprende dell’impossibilità di riprendere a cavalcare a causa delle ferite subite. Il giovane cowboy non accetta però il suo destino e farà di tutto per combattere il fato beffardo e riottenere ciò che gli è stato tolto. A lottare al suo fianco la sorella Lilly (Lilly Jandreau), affetta dalla sindrome di Asperger.