I migliori film in bianco e nero del XXI secolo
I migliori venti film dal 2000 ad oggi realizzati in bianco e nero
In questa lista dal gusto retrò sui film in bianco e nero recenti, si elencheranno cronologicamente alcuni tra i migliori film del XXI secolo tra quelli che hanno scelto la doppia tonalità. Se una delle grandi sfide del cinema del dopoguerra è stata la ricerca del colore, optare per il bianco e nero all’epoca del digitale è di fatto un’alternativa deliberatamente autoriale. Molti infatti sono i registi che adottano l’annullamento del colore per trasporre in pellicola una precisa atmosfera temporale. Un mirato intento estetico, visuale e metaforico che collima molto spesso con il testo interno alla narrazione.
E per farlo si sono serviti di grandi direttori della fotografia che lavorando sulle gradazioni tonali e sul temperamento cromatico dei due colori hanno cercato di cogliere quel preciso aspetto a cui il regista stesso ambisce. Il 2000 infatti ci ha regalato film in B/N di grande successo, usciti non solo sul grande schermo ma anche nelle piattaforme digitali. Ecco dunque la nostra lista di alcuni dei migliori film in bianco e nero recenti, usciti dal 2000 ad oggi.
Indice:
Film in bianco e nero recenti − Dal 2003 al 2006
Coffee and Cigarettes (2003)
L’apprezzato binomio caffè e sigaretta diventa il centro di un classico di Jim Jarmush. Coffee and Cigarettes, uscito nel 2003 ma che iniziò a prendere forma già negli anni ’80, è costruito dal susseguirsi di 11 episodi a mo’ di scenette. Che siano attorno ad un tavolo di un diner di Memphis, in un bar, o in un lussuoso hotel, il film di Jarmush (che ne cura anche la sceneggiatura, il soggetto e il montaggio) è un’operazione autoriale giocosa che richiede di essere assaporata piuttosto che compresa fino in fondo.
Girati in un rigoroso bianco e nero, tutti i cortometraggi mettono al centro una chiacchierata, un incontro surreale o una partita a due sospesa tra comicità e nonsense. Nel cast Steve Bushemi nel ruolo di un cameriere, Cate Blanchett nella doppia parte di due cugine, e poi Roberto Benigni, Iggy Pop, Alfred Molina e Steve Wright. L’episodio Somewhere in California fu inoltre premiato a Cannes nel 1993 come miglior corto.
Les Amants Réguiliers (2005)
Il film del 2005 di Philippe Garrel ambientato nel maggio francese, immerge all’interno delle barricate del ‘68 la nascita di una storia d’amore. All’interno del gruppo di studenti in piena agitazione inizia un legame profondo e inaspettato fra tra un ragazzo di vent’anni François (Louis Garrel) e la giovane Lilie (Clothilde Hesme), entrambi coinvolti nei movimenti d’insurrezione. La fotografia curata da William Lubtchansky sceglie di evidenziare la piena grana della pellicola e il bianco e nero come specifico richiamo alla televisione dell’epoca.
In questo caso il B/N trasporta lo spettatore verso quel particolare momento storico, in un rigore stilistico che richiama anche i grandi autori francesi della nouvelle vague. Presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2005 Les Amants Réguliers ha vinto il Leone d’argento per l’interpretazione di Philippe Garrel e il Premio Osella per il migliore contributo tecnico a William Lubtchansky.
Good Night, and Good Luck (2005)
Edward R. Murrow (David Strathairn), giornalista ed anchorman della CBS, viene a conoscenza di una lista di proscrizione redatta dal senatore del Wisconsin Joseph McCarthy. Nella lista vengono quotidianamente inseriti i nomi di tutti possibili sospettati di avere simpatie filo-comuniste. Murrow, indignato dal comportamento che calpesta ogni diritto civile, decide di divulgare la notizia e di dedicare il suo show See It Now, alla controversa figura del politico.
Presentato alla 62esima Mostra di Venezia, il film diretto da George Clooney è la storia vera del giornalista Murrow e del suo produttore Fred Friendly. I due negli anni ’50 sfidarono pubblicamente la strategia del senatore McCarthy. La politica americana successivamente a Good Night, and Good Luck è stata al centro di altri film dell’attore e regista. Uno su tutti Le Idi di Marzo con Ryan Gosling del 2011.
Sin City (2005)
Diviso in sei episodi, il film diretto da Frank Miller, Robert Rodriguez e Quentin Tarantino (accreditato come Guest Director) è tratto dall’omonimo fumetto di Miller, ambientato nell’immaginaria città di Basin City, conosciuta come Sin City. Nei vari episodi si susseguono diverse trame e diversi personaggi. Tra di essi il giocatore d’azzardo Johnny (Joseph Gordon-Levitt); lo spietato senatore Roark (Powers Boothe); la spogliarellista Nancy (Jessica Alba), l’ex-amato Hartigan (Bruce Willis) e la femme fatale Ava (Eva Green).
Girato prevalentemente in un grafico bianco e nero quasi a volerne esaltare al massimo la sua natura di disegno su carta, il film si alterna a tocchi di colore ben mirati: il rosso delle labbra, una macchia di sangue sul volto, un vestito elegante. Nel cast di Sin City anche Clive Owen, Benicio Del Toro, Brittany Murphy, Elijia Wood e Alexis Bledel.
Film in bianco e nero recenti − 2007-2014
Persepolis (2007)
Persepolis mostra, attraverso gli occhi di Marjane, le speranze e i sogni di cambiamento infrante alla presa del potere islamico in Iran. In particolare, il film tratto dall’omonima graphic novel della regista Marjane Satrapi, ci mostra i cambiamenti sulle donne obbligate a coprirsi la testa da parte del regime che privò ulteriormente la libertà della popolazione durante la Rivoluzione iraniana di fine anni 70.
La regista e autrice assieme al fumettista Vincent Paronnaud dirigono un film d’animazione autobiografico e di grande successo, dedicato a tutti gli iraniani e a tutti coloro che furono obbligati a lasciare il paese per questioni politiche o sociali. Il bianco e nero del lungometraggio segue la graphic novel originale che s’ispira alle proiezioni tipiche degli spettacoli del teatro delle ombre. Presentato a Cannes nel 2007, Persepolis ha vinto il Premio della Giuria.
Control (2007)
Opera prima del videomaker e fotografo olandese Antony Corbijn, Control è dedicato a Ian Curtis, front man della band post punk degli anni settanta Joy Division. Il film ripercorre gli esordi a Manchester, la passione per la musica, la nascita del gruppo, il matrimonio con Debbie (Samantha Morton), e la nascita della figlia. La vita di Ian Curtis, interpretato dall’attore Sam Riley, fu colpita duramente dall’epilessia, malattia che gli causava improvvisi attacchi facendogli perdere il controllo.
Quel controllo che mancava, sempre sospeso tra la vita e la morte, l’arte e il dolore, diventa il centro di un film nostalgico ma emotivamente asciutto. Corbijn sfrutta al meglio il bianco e nero come scelta elegante e retrò che fotografa gli anni settanta e quel mal de vivre che caratterizzò la vita di Curtis; fino al suicidio a soli 23 anni nella sua casa a Manchester.
Polytechnique (2009)
Terzo lungometraggio di Denis Villneuve, Polytechnique è quasi la versione canadese di Elephant di Gus Van Sant. Il film infatti ricostruisce le dinamiche dietro la strage del 6 dicembre 1989 all’École Polytechnique di Montréal. Quel giorno il venticinquenne Marc Lépine uccise tredici studentesse e una dipendente dell’Università a colpi di arma da fuoco per poi togliersi la vita.
Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2009, Polytechnique rispetto a Elephant si proietta nell’assenza del colore come avvicinamento allo stile documentaristico e come distacco glaciale dai fatti rappresentati. Nel corso del film, narrato in più piani temporali, Villeneuve non vuole dare una risposta psicologica o sociale ai fatti ma piuttosto vuole riflettere sulle fragilità precarie delle menti dei giovani.
Il nastro bianco (2009)
ln un villaggio rurale nel nord della Germania protestante, nei mesi precedenti dell’inizio della guerra mondiale, la tranquillità della cittadina viene sconvolta da strani avvenimenti apparentemente inspiegabili. Un medico cade da cavallo; il figlio del barone viene seviziato; un bambino in fasce quasi morto da una finestra lasciata apertala; un bambino disabile viene selvaggiamente torturato. Nessuno riesce a trovare una ragione a questi eventi. Il maestro del villaggio tuttavia ha un’intuizione che potrebbe rivelarsi verità.
Il film del 2009 diretto dall’austriaco Michael Haneke utilizza un bianco e nero volutamente disturbante e angosciante per mostrare la costante minaccia della guerra che è alle porte. Con la progressiva discesa degli adulti borghesi, anche i bambini iniziano a perdere la loro innocenza. Il nastro bianco ha vinto la Palma d’Oro a Cannes nel 2010.
The Artist (2011)
Nella Hollywood del cinema muto degli anni 20, la star George Valentin (Jean Dujardin) è alle prese con un declino artistico a causa dell’avvento del sonoro. Peppy Miller (Bérénice Bejo), giovane comparsa, al contrario di Valentin sta per diventare una vera e propria diva. Tra i due nascerà una storia d’amore ma ovviamente la fama e l’insuccesso, così come l’orgoglio e la discesa artistica, metteranno a dura prova il loro legame.
Il film muto del francese Michel Hazanavicius ci trasporta indietro nel tempo, quando al cinema c’erano gli attori ma non ancora la parola. E lo fa con un film davvero inedito che sceglie deliberatamente di annullare il dialogo; lasciando così spazio al gesto e al volto, al bianco e nero e alla musica. Tra Singin’ in the Rain e il La La Land che verrà, The Artist fotografa un momento esatto del cinema, quello della transizione dal muto al sonoro, con le stesse atmosfere di una volta. Inoltre, The Artist vinse cinque premi Oscar nel 2012 tra cui miglior regia, miglior attore protagonista e miglior film.
Frances Ha (2013)
La ventisettenne aspirante ballerina di danza contemporanea Frances Halladay (Greta Gerwig) vive in un appartamento a Brooklyn con la migliore amica Sophie (Mickey Summer). Quando quest’ultima si trasferisce a Manhattan, Frances dovrà iniziare a cavarsela da sola e cercare di dare risposta ad alcune domande fondamentali: chi è e cosa vuole fare nella vita. Un viaggio a Parigi la aiuterà ad inquadrare il futuro e la giovane capirà l’importanza di godere, anche, dei propri fallimenti.
Il film diretto da Noah Baumbach sceglie il bianco e nero seppia come elogio metaforico al grigio e rappresentazione della via di mezzo fra il tutto e il niente, il successo e l’insuccesso, l’assoluto e la disfatta. Frances Ha diventa così celebrazione della normalità contro la carriera forzata che ci spinge sempre e solo a raggiungere la vetta più alta, o a cadere rovinosamente nel suo contrario.
Ida (2013)
Polonia, 1962. Anna, cresciuta in convento, al compimento dei diciott’anni decide di farsi suora. Poco prima di prendere i voti però la giovane scopre di avere una zia, Wanda, sorella della madre. Anna verrà quindi a conoscenza del suo passato e in particolar modo delle origini ebraiche della sua famiglia e del suo vero nome, Ida. Wanda inoltre è un ex pubblico ministero comunista e responsabile di numerose condanne a morte nei confronti di religiosi.
In 80 minuti Pawel Pawlikowski dirige con sensibilità e cura al dettaglio un racconto di formazione tra passato e presente, tra educazione sentimentale e monastica. La protagonista Anna/Ida è interpretata dalla giovane attrice Agata Trzebuchowska, illuminata nella sua prima prova da un costante bianco e nero tendente alle tonalità leggermente più pallide. Ida ha vinto il Premio Oscar per il miglior film straniero nel 2015.
Visitors (2013)
Dopo la cosiddetta trilogia qatsi, composta dalle opere Koyaanisqatsi (1982), Powaqqatsi (1988) e Naqoyqatsi (2002), il regista, artista e produttore visionario Geodfrey Reggio prosegue la sua disamina sull’evoluzione e la civiltà con Visitors del 2013. In collaborazione ancora una volta con il compositore musicale Philip Glass, Reggio stavolta mette al centro dell’inquadratura il volto. Anzi, i mille diversi volti che compongono l’umanità. Attraverso l’uso del time-lapse il regista dilata il tempo e le espressioni facciali, creando un film che come tutte le sue opere precedenti è un’esperienza meditativa che gioca sull’evocazione sensoriale.
Visitors sceglie il bianco e nero per tutta la sua durata (84 minuti) tranne che per alcune sequenze finali molto significative. Fra i due colori tuttavia lo spettatore tende a evidenziare nel corso della visione soprattutto il nero denso, così simile alla fluidità del petrolio da risultare una scelta non certo casuale o strettamente estetica.
Nebraska (2013)
Woody Grant (Bruce Dern) è un padre di famiglia anziano e dipendente dall’alcool. Un giorno, credendo di aver vinto un milione di dollari alla lotteria, decide di mettersi in viaggio andando dal Montana al Nebraska a piedi. Dopo inutili tentativi per dissuaderlo, il figlio David (Will Forte), decide di accompagnarlo in macchina, lasciandogli credere che il premio sia reale. Contro il parere della madre Kate e del fratello, David e Woody intraprenderanno un viaggio nel quale verranno fuori i segreti e le speranze di tutta una vita.
Il film di Alexander Payne del 2013, a metà fra dramma famigliare e commedia, sceglie il bianco e nero per sottolineare non solo il senso di spaesamento mentale del suo protagonista ma anche per esaltare, tramite le tonalità e le modulazioni curate del DP Phedon Papamichael, i dettagli dell’infinito panorama americano on the road.
A Girl Walks Home Alone at Night (2014)
Presentato al Festival del Cinema di Roma del 2014 ma mai uscito nelle sale italiane, l’opera prima della regista Ana Lili Amirpour è un’affascinante storia vampiresca dalle tinte horror e surreali. Il film mette al centro Arash, giovane di Bad City, città mediorientale circondata delle pompe di petrolio, dai reietti e dalle prostitute. Una notte, la strada di Arash incontra quella di una misteriosa giovane che indossa il chador come mantello, pronta a bere sangue umano.
La regista sovverte la tradizionale subordinazione della donna in abiti religiosi. Ne risulta un film poco etichettabile per la sua commistione di generi, di atmosfere e di percezioni visive. Tra il western e la graphic novel, l’horror e il noir urbano, A Girl Walks Home Alone at Night è inoltre girato in un abbagliante bianco e nero autoriale che esalta senza dubbio le atmosfere noir e vampiresche in tutta la loro sconcertante duttilità.
Film in bianco e nero recenti −Dal 2015 al 2021
Frantz (2016)
Amore e morte è da sempre il binomio per eccellenza dei film di Ozon. In Frantz del 2016 il regista ci trasporta nel 1919, in un piccolo villaggio tedesco. Poco dopo la fine della Grande Guerra, la giovane Anna (Paula Beer) si reca quotidianamente presso la tomba del fidanzato Frantz, deceduto al fronte. Un giorno però la ragazza conosce Adrien (Pierre Niney), un uomo misterioso anch’esso intento a portare fiori sulla tomba del compianto. Tra Anna e Adrien si instaura lentamente un forte legame che porterà inevitabilmente Anna a scoprire i numerosi segreti dell’amato.
Girato in un elegante bianco e nero, Frantz è misterioso quanto lugubre. Un melò in costume in cui la morte è l’elemento che accomuna i due protagonisti. Il colore viene invece relegato ad alcuni rari flashback funzionali al racconto del presente. Pascal Marti, il direttore della fotografia, per Frantz ha vinto il premio Cesar.
Cold War (2018)
Tra i migliori film in bianco e nero recenti, Cold War è certamente tra quelli artisticamente più apprezzati. Il regista polacco Pawel Pawlikowski, dopo una lunga serie di documentari e cinque precedenti lungometraggi, ambienta nell’ostilità della Guerra Fredda la sua storia d’amore impossibile e trascinante. Stretta in una ratio quasi asfissiante (4:3), Cold War è la storia dell’incontro tra Wiktor (Tomasz Kot) e Zula (Joanna Kulig), durante un provino canoro, e della successiva folgorante relazione tra i due sullo sfondo di una Polonia immobile e senza apparenti prospettive, narrato cronologicamente dal 1949 al 1964.
Come nel precedente Ida, il regista esalta la fissità storica degli anni della guerra attraverso l’uso di un elegante bianco e nero scelto per evocare un amore struggente in un passato storico non troppo lontano. Cold War ha vinto 5 premi agli European Film Awards e ha ottenuto tre candidature agli Oscar, tra cui quella per la miglior fotografia di Łukasz Żal.
Roma (2018)
Dieci nomination agli Oscar del 2019, di cui tre vinti: Roma è l’ultimo capolavoro di Alfonso Cuarón. Ambientato in un quartiere di Città del Messico (da cui prende anche il titolo) a metà degli anni 70, il film racconta della famiglia borghese di Sofia (Marina De Tavina) e delle due domestiche. Le donne ogni giorno, con estrema amorevolezza, si prendono cura dei tre figli e della casa. Le due però saranno costrette a mettere in discussione il forte sodalizio che le lega ai congiunti. Cloe (Yalizta Aparicio) e Adela (Nancy Garcia) diventano il centro di un film sulla forza delle donne e sulla vitalità dei quartieri popolati da bambini e dalle attività domestiche che rendono viva una famiglia.
Tra panoramiche, piani sequenza e ritmi lenti che d’improvviso si fanno famelici e più esplosivi, Roma sceglie il bianco e nero per evocare la memoria e i ricordi dello stesso regista che parte proprio dalla sua esperienza d’infanzia per costruire un film ricco d’amore materno e fortemente radicato al territorio.
The Lighthouse (2019)
Con The Lighthouse il regista di The VVitch Robert Eggers ci trasporta nella New England del XIX secolo, su un’isola sperduta in mezzo al mare. Gli unici ad abitare quel pezzo di terra turbato da tempeste e mareggiate sono i marinai addetti alla manutenzione del faro Thomas Wake e Ephraim Winslow. Tra i due, in quei mesi di solitudine e lavoro, l’atmosfera inizia a farsi tesa tra sbronze, privazioni di acqua e cibo e una forte astinenza sessuale. Quel faro, inoltre, sembra nascondere qualcosa di tetro e misterioso. E sarà Ephram, il più giovane dei due, a venire a contatto con l’enigma legato al faro e al suo compagno più esperto.
Considerato come uno dei migliori film usciti in Italia nel 2020, l’opera di Eggers è perturbante ed erotica, sconvolgente e allusiva, visionaria e surreale. Due attori in stato di grazia (Robert Pattinson e Willem Dafoe) che tra deliri allucinatori e assurdità, in una location metaforica, mettono in scena un horror sulla solitudine e la pazzia, la noia e l’egoismo. In The Lighthouse il B/N sembra l’unico colore possibile per esaltare le atmosfere rarefatte di un’isola lynchiana, sospesa tra sogno e realtà.
Mank (2020)
Rimasta in standby per oltre trent’anni, la sceneggiatura di Mank, elaborata da (papà) Jack Fincher. poi scomparso nel 2003, vede finalmente la luce nel 2020 quando il figlio David ne fa un film per Netflix. Quella del lungometraggio è la storia di Herman Mankiewicz, sceneggiatore di Quarto Potere. Nel 1940 la casa di produzione chiede all’uomo di scrivere lo script per il prossimo film di Orson Wells. Mank, mentre si sta riprendendo da un infortunio in una clinica privata, inizia la sceneggiatura che segnerà per sempre la storia del cinema.
Tra riflessioni attraverso lunghi flashback a Tinseltown e la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della California del ’34, Fincher dirige un film sul cinema e sulla Hollywood degli anni Trenta e Quaranta. Il tutto con un elegantissimo bianco e nero; messo in risalto dalla fotografia di Erik Messerschmidt, che cura nel dettaglio l’effetto retrò ed estremamente classico che emula il cinema di quell’epoca.
Malcolm & Marie (2021)
È la sera della premiere del film di Malcolm (John David Washington). Dopo la proiezione, accolta con un plauso di pubblico e critica, la coppia torna nella loro splendida villa californiana. L’entusiasmo dilagante di Malcolm però incontra un muro di freddezza e ostilità da parte di Marie (Zendaya). Un’osservazione di ques’ultima sul comportamento del partner sarà la miccia che scatenerà una notte di litigi e riflessioni alternando guerra e pace, rifiuto e passioni.
Malcom & Marie è il primo film ad essere realizzato e completato durante i giorni della pandemia, quando Sam Levinson (regista di Euphoria) e una troupe ristrettissima sfidarono la pandemia, realizzando un film sull’amore e sul cinema. Il bianco e nero scelto da Levinson sembra da un lato congelare i due in un continuo passato, dall’altro sembra essere una scelta puramente funzionale, concentrando così, tramite l’eliminazione del colore, le attenzioni sulle parole dei due protagonisti.