Film gangster da vedere: le pellicole migliori secondo FilmPost
Viaggio alla scoperta dei migliori gangster movie della storia del cinema
Nel corso della storia del cinema si sono susseguite numerose trame gangster, tratte appunto dal mondo della malavita, tanto da costituire un vero e proprio genere: il gangster movie. Noi di FilmPost vogliamo consigliarvi 40 dei migliori film gangster da vedere apparsi al cinema. Il cinema gangster, nonostante una genesi collocabile all’inizio degli anni Trenta e un abbandono di 40 anni, ha avuto una riscoperta a partire dagli anni Settanta; una riscoperta paragonabile ad una epifania artistica. Ora questi lungometraggi si caratterizzano non solo per il riferimento alla mala, ma assumono dei tratti precisi, radicati e fondati su elementi canonizzati dalla tecnica cinematografica. In primis il gangster non si riferisce alla criminalità in generale, ma ad una criminalità organizzata, sovente di stampo mafioso.
Inoltre un altro topos del genere è certamente la tematica della scalata sociale, nella quale un personaggio di umili origini riesce, tramite il malaffare, a elevare il suo status. Tuttavia nel corso degli anni il genere si è evoluto e ne ha abbracciati e lambiti altri, dal poliziesco al thriller, passando per il dramma e il noir. Il gangster ha così creato una proficua e fruttuosa contaminazione, capace di partorire film fondamentali per il cinema novecentesco; una sorta di fusione che costituisce una dimensione estetica e contenutistica di fondamentale importanza. Ma veniamo subito alla nostra lista di film gangster da vedere a tutti i costi.
Indice
- Le origini degli anni 30
- La transizione degli anni 60
- La riscoperta degli anni 70
- La primavera criminale degli anni 80
- L’esplosione degli anni 90
- Il consolidamento degli anni 2000
- La contemporaneità degli anni 2010
Film gangster da vedere: le origini degli anni 30
Piccolo Cesare (1931)
Cesare Rico Bandello (G.Robinson) e Joe Massara (Douglas Fairbanks) sono due banditi italo-americani di mezza tacca. Il primo sogna di diventare un boss malavitoso nella Chicago degli anni Venti, l’altro di diventare un ballerino. Bandello, soprannominato “Piccolo Cesare”, è un bullo ignorante e assolutamente sgraziato nel muoversi, ma la sua determinazione è impareggiabile. Perciò, dopo aver dato prova della sua forza con gesta estremamente spietate, in un primo momento entrerà nella gang di Sam Vettori (Stanley Fields) e successivamente se ne porrà a capo. Tuttavia proprio allora la polizia punterà la sua attenzione su di lui, a seguito della denuncia di Olga Strassoff (Glenda Farrell), diva e partner di Joe. Volenteroso di vendetta, Rico però non riuscirà a tradire l’amicizia (nonchè passione omosessuale?) con Joe e pertanto deciderà di fuggire. Ma come dice il film: “Madre di Dio, è questa la fine di Rico?”.
Tratto dall’omonimo romanzo di W. Burnett, Piccolo Cesare è l’archetipo di tutti i film gangster della storia del cinema. La pellicola pur non essendo la migliore del genere è sicuramente ancora oggi la più rappresentativa; essa lo è in virtù sia del carattere pionieristico sia della tipizzazione dei personaggi. Questi sono appunto il punto di forza dell’opera, la quale può fare affidamento su un cast di pregevole fattura. In esso infatti troviamo un superlativo Edward G. Robinson, un credibilissimo Douglas Fairbanks e una stupenda Glenda Farrell. La sceneggiatura è dunque il più grande pregio del lungometraggio, mentre la regia di Mervin LeRoy è anch’essa molto interessante e riesce a sincronizzarsi bene col montaggio. La fotografia è altresì convincente, così come la scenografia. Piccolo Cesare è un ritorno alle origini dei film gangster e non si può assolutamente perderlo.
Nemico Pubblico (1931)
New York, soglie del Proibizionismo. Due ragazzi di Brooklyn, Tom Powers (James Cagney) e Matt Doyle (Edward Woods), incominciano a muoversi nel mondo criminale della Grande Mela. Dapprima compiono piccoli furti, ma già dopo poco tempo realizzano un grande colpo assieme a Putty Nose (Murray Kinnell), che però li abbandonerà immediatamente. Da questo momento Tom non si guarderà più indietro, iniziando la sua poderosa scalata al potere. Infatti il proibizionismo si rivelerà fruttuoso per lui e Doyle che, dopo essere entrati nella banda di “Nails” Nathan (Leslie Felton), diventeranno dei gangster senza scrupoli. Parallelamente le vicende personali dei protagonisti si riveleranno burrascose, con Tom disposto a scaricare la sua ragazza Kitty (Mae Clarke) per la bellissima Glenn Allen (Jean Harlow). Tuttavia la caduta è dietro l’angolo e, in seguito ad una guerra mafiosa scatenata dalla morte di Nails, Tom dovrà vedersela con i rivali dell’organizzazione di “Schemer” Burns.
Antesignano del cinema di gangster, Nemico Pubblico è il perfetto esempio di mafia movie. Diretto da William A. Wellman, questo film gangster presenta una regia serrata e tesa, ricca di sequenze ellittiche che si sposano bene col un montaggio spezzettato. Il cast è spaziale, con un’interpretazione di Cagney del tutto istrionica e ai limite della perfezione. La scenografia e la fotografia sono di ottimo livello, ma la scrittura delle battute e la gestione di queste in fase di messinscena sono il quid in più della pellicola. In aggiunta, l’opera in un certo senso si fonde col noir e l’horror, prendendo dal primo la femme fatale e dal secondo la tensione violenta. Ma forse ciò che colpisce di più di questo film gangster è la sua contemporanea modernità, figlia di alcune scelte registiche particolari come le due soggettive sugli unici personaggi positivi e il proto-jumpscare dell’orso. Riassumendo: un film gangster da vedere e rivedere.
Scarface-Lo sfregiato (1932)
Chicago, epoca del proibizionismo. Le bande criminali si spartiscono la città per il contrabbando di alcolici. In questo contesto si aggira Tony Camonte (Paul Muni), spietato killer e gangster che sta progettando la sua ascesa nel mondo della criminalità organizzata. Egli,dopo numerose peripezie e dopo aver dato il via ad una guerra tra bande, riuscirà infine a sbaragliare tutti i suoi nemici e ad ergersi capo indiscusso della malavita della città. Tuttavia il suo dominio verrà via via deteriorandosi a causa del suo rapporto morboso ed incestuoso con sua sorella Cesca (Ann Dvorak), innamorata invece di Rinaldo (George Raft), migliore amico di Tony. Infatti questo, accecato dalla gelosia, commetterà l’errore di uccidere Rinaldo, marito segreto della sorella, fornendo alla polizia un legittimo capo d’accusa nei suoi confronti. Tony cercherà quindi di sfuggire, convinto che il mondo sia suo e che nessuno possa intaccare la sua potenza.
Scarface-Lo sfregiato è uno dei capolavori registici di Howard Hawks, il quale decise di girare la pellicola su ispirazione dell’omonimo romanzo di Trail e della storia di Al Capone. Il film è un capo d’opera nella storia del cinema di gangster poiché assieme a Nemico Pubblico e Piccolo Cesare, ma con maggiore efficacia, contribuì alla nascita del genere, canonizzandone le componenti. Tecnicamente invece questo film gangster è eccellente, con una regia marcatamente espressionista e drammatica; anche la fotografia, la scenografia e il montaggio sono di grande livello. Ciononostante punti di forza del lungometraggio sono la sceneggiatura e le interpretazioni di un cast ben assortito. Difatti al suo interno non spicca solo Paul Muni, ma allo stesso livello si pongono anche Ann Dvorak e George Raft. Da ultimo Scarface risulta una pietra miliare della storia del cinema, capace di catturare lo spettatore anche dopo 90 anni.
Gli Angeli con la faccia sporca (1938)
Cresciuti nei sobborghi malfamati delle Grande Mela, Rocky Sullivan (James Cagney) e Jerry Connolly (Pat O’Brien) sono giovani rapinatori irlandesi. Un giorno, dopo un colpo finito male, Rocky viene acciuffato mentre Jerry riesce a fuggire. Il primo finisce quindi in un istituto di correzione, il secondo decide di farsi prete e abbandonare definitivamente la criminalità. Una volta uscito però Rocky diviene un gangster e si fa strada nella mala di New York. Quando i due amici si ritrovano a distanza di molti anni padre Connolly inizialmente cerca di convertire il boss, ma il suo atteggiamento muta non appena capisce che la presenza di Rocky esercita un’influenza negativa sui ragazzi della sua parrocchia. Inizia così una crociata del parroco che verrà infine aiutato dallo stesso amico d’infanzia, che ammetterà di avere paura all’indomani della condanna alla sedia elettrica, infrangendo il mito del fuorilegge temerario ed imperturbabile.
Opera del grande regista Michael Curtiz, Gli Angeli con la faccia sporca è uno dei film gangster da vedere più iconici della storia del cinema gangster. Infatti, sebbene presenti una sceneggiatura attempata e troppo legata al moralismo della società americana del tempo, la pellicola è ancora un pilastro del genere. Le interpretazioni sono fenomenali, con un Cagney ormai istrionico nel mettere in scena figure criminali, ma tormentate. Al pari anche Pat O’Brien non sfigura accanto a lui e eleva l’opera nelle scene in coppia. La fotografia è ottima, con un bianco e nero profondo e intrigante, anche se ultimamente circola anche una versione colorizzata del lungometraggio. La regia è invece deficitaria nella gestione del finale, troppo sbrigativo, ma si difende egregiamente nella gestione del ritmo e nel tratteggio, tramite i primi piani, del dilemma morale para-borghese dei personaggi. Un caposaldo dei film gangster statunitensi: da vedere e rivedere.
Film gangster da vedere: la transizione degli anni 60
Gangster Story (1967)
Le gesta, le peripezie e la caduta della coppia criminale più famosa degli States, Bonny e Clyde. Bonnie Parker (Faye Dunaway) è una svogliata cameriera nell’epoca della Grande Depressione che, nello scoprire il tentativo di furto dell’auto della madre, conosce Clyde Barrow (Warren Beatty). Quest’ultimo, di professione rapinatore, si innamorerà immediatamente di Bonnie, la quale non tarderà a ricambiare le avances dell’uomo. Da qui si svilupperà l’epopea di questi due criminali, i quali, tra una rapina e un estorsione tra l’Oklahoma e il Texas, si ritroveranno ad essere braccati dalla polizia; contemporaneamente l’efferatezza dei loro crimini andrà aumentando, rendendoli i criminali più ricercati dello Stato. In seguito si unirà a loro anche Clarence W. Moss (Michael J. Pollard), ragazzotto appena scappato dal riformatorio: seguiti quindi non solo dalla polizia, ma anche dal padre del ragazzo, essi arriveranno al capolinea della loro carriera criminale, pagandone duramente le conseguenze.
Spartiacque del cinema di genere statunitense e caposaldo tra i film gangster da vedere, Gangster Story rappresenta una vera rivoluzione nel modo di intendere il cinema poliziesco e d’azione. Difatti il film, diretto da Arthur Penn, sovverte tutti i precedenti stilemi registici ed attoriali degli anni 60, donandoci personaggi anticonformisti, inquadrature innovative, effetti visivi originali e dei sottotesti politici interessantissimi. Particolarmente originale la scelta del regista di abbandonare i piani sequenza in voga all’epoca, spezzettando e decostruendo il dècoupage del montaggio e affidando la tensione ai ralenti. Similmente appare geniale l’utilizzo dell’effeto flou sulla palette verde e oro. In aggiunta a ciò rasenta la perfezione il lavoro di scrittura, che non solo consente al film di “passare dal comico al tragico con ininterrotta felicità” (Coursodon-Tavernier), ma riesce ad avere un’ambivalenza politica, sia come spunto di riflessione sugli anni Trenta sia come motore critico della guerra del Vietnam. In due parole: New Hollywood.
Gangsters ’70 (1968)
Appena uscito di prigione, Destil (Joseph Cotten) vuole realizzare un ultimo furto, rubando una valigetta piena di preziosi diamanti. Nel farlo necessita però di aiuto e per questo motivo decide di mettere su una banda, assoldandola dal mondo della malavita. Sceglie quindi di prendere con sé Sempresì (Giampiero Albertini), giocatore d’azzardo incallito, Ludi (Giulio Brogi), ex campione di carabina tossicodipendente, e Franca (Franca Polesello), attrice ormai fallita. Essi svilupperanno un piano con Destil per impossessarsi del bottino, in arrivo all’aeroporto di Roma per uno scalo di emergenza a causa di un allarme bomba, organizzato da un complice della banda stessa. Il colpo quindi riesce, ma l’organizzazione non ha fatto i conti con gli interessi di una gang rivale, determinata a mettere loro i bastoni tra le ruote. Detonerà dunque una sanguinosa battaglia gangsteristica, fatta di lacrime, sangue, colpi di scena, fughe e amori infranti.
Dimenticato film di fine anni Sessanta, Gangsters ’70 è un gioiellino del cinema nostrano. Opera di Mino Guerrini, questo film gangster da vedere è passato inosservato all’epoca e ha avuto una riscoperta solo nel cinema degli anni Novanta. In questo caso la retrospettiva è più che giustificata, poiché il regista costruisce un lungometraggio maturo, rigoroso e ben strutturato. Inoltre se i temi sono classici – ossia la lotta tra nuova e vecchia mala – essi risultano comunque messi in scena molto bene. Il tocco personale di Guerrini emerge nella sua dinamicità e secchezza quasi caustica, che guarda ai classici del genere con reverenza, ma anticipa di fatto i tempi del cinema italiano. Le interpretazioni sono tutte molto convincenti e anche il comparto fotografico, scenografico e sonoro non deludono. Bella la sceneggiatura di Adriano Baracco, che ricalca in parte la tradizione francese. La pellicola è un film gangster da vedere assolutamente, frutto di un modo di fare cinema interessantissimo.
Film gangster da vedere: la riscoperta degli anni 70
Carter (1971)
Jack Carter (Michael Caine) è un killer originario di Newcastle che lavora alle dipendenze del boss mafioso Gerald Fletcher (Terence Rigby) a Londra. Appresa la notizia della morte del fratello, Jack decide allora di tornare alla terra natia, non convinto della versione ufficiale: suicidio. Infatti sospetta che sia tutta una copertura e che in verità la morte di Frank sia dolosa. Dopo un po’ di indagini scoprirà dunque che non si tratta di un suicidio, ma del crimine di alcuni gangster, che avevano coinvolto la nipote (figlia?) di Carter in un film porno. Furioso dopo aver appreso la notizia, Jack prima scoprirà il nome dell’assassino materiale del fratello, un certo Cyril Kinnear (John Osborne), dal malavitoso Cliff Brumby (Bryan Mosley) e poi compirà la sua vendetta. Si svilupperà quindi una sequela di uccisioni, tradimenti e dissidi personali che porteranno ad un finale tanto crudo quanto amaro.
Prima opera di Mike Hodges dietro la macchina da presa, Carter è l’adattamento del romanzo “Vattene Jack” di Ted Lewis. La pellicola è un film gangster da vedere, drammatico e cinico e dall’atmosfera sudicia, che si mescola un po’ col rosenoir. Infatti è particolarmente accentuata la violenza, così come l’erotismo, tanto che oltremanica, negli anni Settanta, fece scandalizzare più di qualcuno. Il film è un classico del genere, dove il merito del regista è nell’amministrazione complessiva di tutto il comparto tecnico. Hodges infatti padroneggia il mezzo benissimo, utilizzando magistralmente le musiche di Roy Budd, le mezze figure e il montaggio alternato, grazie anche alle innovazioni del tempo. Ne viene fuori un’opera altamente realistica, con un protagonista selvaggio e lassista, il quale rispecchia una lato reietto e torbido della società. Dall’altro lato la tematica della violenza è ben gestita poiché non fa sconti a nessuno, colpendo innocenti e criminali allo stesso modo. Un must.
Il padrino (1972)
Capolavoro cinematografico, effige della nuova Hollywood, apoteosi dell’epica italoamericana. Il padrino è tutto questo e ben altro. Basato sull’omonimo romanzo di Mario Puzo e diretto da Francis Ford Coppola, Il padrino è il più iconico e famoso film gangster della storia del cinema. La pellicola racconta la storia della famiglia mafiosa dei Corleone nella New York del 1945 e della sua trasformazione all’indomani di una guerra tra le famiglie criminali della città. Alla testa dei Corleone si trova Don Vito (Marlon Brando), padrino anziano e con un codice d’onore inviso alle altre famiglie mafiose italoamericane. Difatti Don Vito non si piega al traffico di stupefacenti propostogli da Virgil Sollozzo (Al Lettieri), detto “il Turco”, su ordine del clan “Tartaglia”. Questo rifiuto scatenerà una guerra tra le cinque famiglie mafiose newyorkesi e condurrà non solo a molti attentati, ma anche a repentini cambi di strategia e a sacrifici incommensurabili.
Nel parlare del Padrino si potrebbe dire che non bastano le parole. Infatti è una pellicola molto complessa, lunga e realizzata squisitamente. A colpire non è solo il cast, che vede in prima fila Marlon Brando, ma anche attori del calibro di Al Pacino (Michael Corleone), James Caan (Sonnie Corleone), Talia Shire (Connie Corleone), John Cazale (Fredo Corleone) Robert Duvall (Tom Hagen), Diane Keaton (Kay Adams); in più risulta eccellente tutto il comparto tecnico, a partire dalla meravigliosa fotografia di Gordon Willis. Altrettanto perfette sono la scenografia e la colonna sonora, quest’ultima composta da Nino Rota e diventata ormai una reliquia della cinematografia. Contemporaneamente la regia di Coppola non è soltanto magniloquente ed innovativa, ma anche incredibilmente pionieristica. Per questo motivo il lungometraggio appare ancora oggi modernissimo e non ha perso smalto nel corso del tempo. In conclusione Il padrino è un film gangster da vedere assolutamente, un classico del cinema novecentesco.
Lucky Luciano (1973)
La storia è quella di Salvatore Lucania (Gian Maria Volontè), alias Lucky Luciano, leggendario re della mafia italoamericana nella New York degli anni Trenta. Condannato a 50 anni di carcere dal giudice Thomas E. Dewey, Luciano viene graziato nei primi anni del dopoguerra e nel 1950 spedito a Napoli come “indesiderabile”. Nella località campana l’ex boss vive in tutta tranquillità, tenendo una condotta irreprensibile e priva apparentemente di crimini. Ciononostante molti rumors lo vogliono ancora l’ideatore del traffico internazionale di stupefacenti e perciò Charles Siragusa, comandante dell’Ufficio Europeo del Narcotic Bureau, inizia a mettersi sulle sue tracce. Contemporaneamente all’ONU si arriva allo scontro tra il delegato italiano e il funzionario statunitense Harry Jacob Anslinger (Edmond O’Brien) per colpa di Luciano. A seguito dell’episodio la Guardia di Finanza, braccata dai media, deciderà di sottoporre Luciano a pedinamenti e perquisizioni. Ma Luciano scamperà a tutto, morendo con i suoi segreti.
Lucky Luciano è un capolavoro ad opera di Francesco Rosi, grande regista italiano che firma sia la regia che la sceneggiatura. Terzo film dell’autore con Gian Maria Volontè, la pellicola è fantastica, realistica e con una messinscena aspra. Rosi infatti rifugge il manierismo e la pomposità tipica del cinema gangster e si focalizza prevalentemente su uno stile secco, analitico e sezionatore. L’opera diventa quindi un esame su Cosa Nostra, sui suoi membri e le sue collusioni con il mondo politico, affaristico e finanziario. Inoltre Rosi risulta meno didascalico che nei film precedenti e il comparto tecnico, con la fotografia di De Santis, il montaggio di Ruggero Mastroianni e le musiche di Piccioni, completa un lungometraggio quasi perfetto. In conclusione le interpretazioni attoriali sono buonissime e Volontè, ad un anno da Il caso Mattei, si conferma il migliore attore italiano di sempre. Sinteticamente: un’elegia cinematografica!
Mean Streets- Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973)
“I peccati non si scontano in chiesa, si scontano per le strade. Così Charlie Cappa (Harvey Keitel), giovane ragazzo di Little Italy, descrive la meschinità dell’ambiente che lo circonda. Egli passa gran parte del tempo tra risse, furti e compagnie perdigiorno, buttando gran parte del suo tempo. Lo zio mafioso però vorrebbe farlo maturare, affidandogli un lavoro e allontanandolo dalla cugina Teresa (Amy Robinson), epilettica e sua amante segreta, e “Johnny Boy” Civello (Robert De Niro). Quest’ultimo non ha limiti e non solo conduce una vita dissipata, bensì continua ad indebitarsi a rotta di collo. Nel mentre Charlie vive un forte conflitto interiore generato dal contrasto tra la sua forte religiosità e la sua vita sregolata. Ma è a questo punto che Johnny Boy sorpassa il limite insultando i creditori e accendendo pericolose risse tanto che Charlie non può più far nulla per lui. Quale sarà il finale?
Attenta analisi antropologica di Martin Scorsese, Mean Streets è un film dalle forti tinte autobiografiche. Difatti il regista mette in scena un contesto che conosce molto bene, ovvero la sua Little Italy, e lo fa con caratteri emblematici, una regia talentuosa e una cura scenografica iperrealista. L’opera è cruda, sincera e sofferta, brillante nell’illustrazione di un tessuto sociale sfilacciato, composito e malfamato. Scorsese riprende lo slang locale – sotto questo punto di vista le battute sono un piccolo glossario – e lo utilizza per la costruzione di una dinamica autodistruttiva, segnata dalla sua dimensione. Al contempo la regia lavora molto sul linguaggio visivo, con la costruzione di simboli mediante dettagli, e lo interseca con le psicologie dei personaggi, enfatizzate dai primi piani e da un tono felliniano (la dinamica del gruppo riecheggia molto i Vitelloni). Un film gangster da vedere meglio se in lingua originale.
Il padrino-Parte II (1974)
Se il primo era un capolavoro incredibile, il secondo capitolo di questa epopea criminale è forse ancora meglio. La trama vive di flashback e in questo caso differenzia due filoni narrativi. Il primo è quello che vede protagonista un giovane Don Vito (Robert De Niro) nella creazione del suo clan mafioso nel 1901, rappresentato con l’analessi; il secondo invece si focalizza su Michael Corleone (Al Pacino), sulla sua lotta mafiosa nel Nevada del 1958 e sui suoi problemi familiari. Se quindi la prima parte narra la genesi dei Corleone, italiani emigrati dopo una guerra mafiosa in Sicilia, la narrazione contemporanea racconta le reazioni di Michael da padrino, ormai impegnato in un business sanguinoso e crudo. Sarà proprio a causa del danaro quindi che dovrà vedersela con numerosi nemici, da Hyman Roth (Lee Strasberg) a Frankie Petrangeli (Michael V. Gazzo), passando per i detrattori nella sua famiglia. Come finirà?
Scritto e diretto da Francis Ford Coppola e vincitore di 6 Oscar, Il padrino II rappresenta una pietra miliare del cinema gangster. In questo secondo capitolo non solo si ritrova il cast stellare del primo, ma anche una tecnica incredibile. Se Coppola aveva diretto il primo film con una maestria irripetibile e – regalandoci uno dei due matrimoni più belli della storia del cinema (l’altro appartiene a “Il Cacciatore”) – in questo caso si supera. Non solo i tempi registici sono perfetti, ma si armonizzano egregiamente con una fotografia impeccabile e capace di giocare su più tonalità di beige e marrone. La scenografia e la colonna sonora sono ancora punti di forza dell’opera e ne alzano ulteriormente l’asticella. Infine il montaggio e il découpage sono fantastici e rasentano la perfezione filmica. Sta appunto qui la forza del film, ossia nella gestione dell’intreccio di quest’epica cinematografica infinita. Un’epica mastodontica, un film gangster da vedere a tutti i costi.
Gang (1974)
Rive del Mississipi, anni Trenta. Durante la Grande Depressione tre condannati all’ergastolo, Bowie Bowers (Keith Carradine), Chichmaw Mobley (John Schuck) e T-Dub Masefeld (Bert Remsen), riescono ad evadere dal carcere. Formano così una banda, la cui sede è la casa di Mattie, che vive assieme alla sorella Lula (Ann Latham) e l’intrigante Keechie (Shelley Duvall). Quest’ultima cede subito alle avances di Bowie e inizia con lui un’appassionante storia d’amore. Nel mentre il trio si dedica a numerose rapine in banca, che non solo si rivelano un’ingente fonte di guadagno, ma allo stesso tempo li costringono a guardarsi sempre le spalle, scappando costantemente dalla polizia. Tuttavia tutto precipiterà una volta aumentata la violenza e l’importanza dei colpi, i quali nel lungo periodo condanneranno tutti ad una epilogo drammatico.
Tratto dal romanzo di Edward Anderson “Thieves Like Us” il film si inserisce appieno nell’epoca di riscoperta del gangster movie. Diretto da Robert Altman, regista che come pochi ha saputo narrare la dimensione americana, il taglio dell’opera è fortemente anticonformista rispetto ai canoni istituiti da Gangster Story e la New Hollywood. Qui il regista narra l’ambiente più rurale e semplice dell’America, tra cascinali, macchine attempate e programmi radiofonici. Proprio questi infatti diventano metafora del mondo circostante, con un uso a metà tra il contraltare morale e il mezzo di informazione/distruzione di massa. Cionostante Altman riesce nella costruzione dell’ennesimo grande film, utilizzando al meglio un cast di tutto rispetto e incastonando registicamente delle scelte sbalorditive. Gang assomiglia ad un epitaffio, dove con un tono insalubre l’artista critica i miti americani tratteggiati già con I compari.
Film gangster da vedere: la primavera criminale degli anni 80
Scarface (1983)
Il film narra le vicende di Tony Montana (Al Pacino), ex detenuto cubano che lascia la sua patria nell’esodo di Mariel per dirigersi verso gli Stati Uniti. Imbarcatosi con altri cubani, tra cui il suo amico Manolo Ribera (Steven Bauer), Tony arrivato a Miami risiede nel campo profughi. In seguito, liberatisi dal ghetto, i due inizieranno a guadagnare poco con dei lavori umili, che però lasceranno ben presto. Difatti Tony non vuole sopravvivere, bensì vivere lussuosamente e l’opportunità per diventare importante gliela offre il boss Frank Lopez (Robert Loggia). Montana si fa amico immediatamente il capo e conclude per lui affari molto importanti, come il negoziato per la fornitura di cocaina con Alejandro Sosa (Paul Sherar). Da qui in poi inizierà la sua ascesa al potere, passando attraverso l’amore con Elvira Hancock (Michelle Pfeiffer) e il suo difficile rapporto con la sorella Gina (Mary Elizabeth Mastrantonio).
“Say hello to my little friend”. Così si potrebbe sintetizzare questo remake del famoso Scarface-Lo sfregiato di Howard Hawks del 1932, dove la location non è più la Chicago proibizionista, bensì la Miami degli anni 80. La pellicola è diretta egregiamente da Brian De Palma, che confeziona un gangster forse migliore del precedente e narra una dimensione latino-americana sconosciuta al cinema del tempo. Tecnicamente il lungometraggio è veramente interessante, con una perizia non banale nei movimenti di macchina. Parimenti convincono la fotografia, la scenografia e la colonna sonora. Tuttavia la forza del film è nella scrittura e nell’approfondimento psicologico dei personaggi, tutti paradigmatici. Il cast gioca quindi un ruolo fondamentale e si compendia perfettamente nelle interpretazioni di Al Pacino, Michelle Pfeiffer, Steven Bauer e Mary Elizabeth Mastrantonio. Scarface è un film gangster da vedere intramontabile, un must assoluto.
C’era una volta in America (1984)
New York, 1920. Il quartiere ebraico della Grande Mela rappresenta il campo d’azione di una banda di quattro ragazzini che compiono furti, ricatti ed estorsioni. I leader sono due giovani ebrei, Max (James Woods) e Noodles (Robert De Niro), che hanno l’obiettivo di farsi strada nell’epoca del Proibizionismo, sfruttandone il lato più oscuro. Il gruppo, dopo una partenza dal basso, si avvicina sempre di più alla mafia della metropoli e incomincia a realizzare delle missioni per il boss della zona. In seguito, sebbene i membri del gruppo siano cresciuti e con loro anche le discussioni e i confronti, essi continuano ad arricchirsi anche negli anni Trenta e si avvicinano ad estendere maggiormente la clientela. Tuttavia sarà all’indomani di un furto alla Federal Reserve Bank che emergerà una definitiva trasformazione del clan, il quale vedrà l’allontanamento finale di Max. Successivamente numerose saranno le situazioni critiche, ma esse costruiranno un’epopea incredibile.
Trasposizione cinematografica del romanzo “The Hoods” di Harry Grey e diretto da Sergio Leone, C’era una volta in America è un classico cinematografico. Racconto epico (229’) della mafia ebraica newyorkese nel periodo che va dal 1920 al 1968 che consacra definitivamente il cinema di Leone. Quest’ultimo infatti abbandona il western e dirige un film gangster drammatico e profondissimo, con punte poetiche incredibili. In questo caso la regia si supera e la fotografia, ad opera di Tonino De Colli, è forse la più bella di tutto il genere. Ugualmente la scenografia, il montaggio e la colonna sonora, realizzata da Ennio Morricone, sono fantastiche. Anche il cast non delude, con star del calibro di Robert De Niro, James Woods, Elizabeth McGovern e Joe Pesci. Il lungometraggio, nonostante l’utilizzo di diversi piani temporali, non perde mai forza, ed incanta ad ogni fotogramma.
Il camorrista (1986)
Ascesa e caduta di un boss nell’Italia degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Il protagonista in questione è “’O Professore Vesuviano” (Ben Gazzara), che, dopo esser finito in carcere per un omicidio, decide di eliminare il suo rivale nel penitenziario, Don Antonio (Lino Troisi). In seguito, con l’assistenza della sorella Rosaria (Laura del Sol) e dell’amico Alfredo Canale (Nicola Di Pinto), arriva a tessere dalla prigione una rete di rapporti criminali che si estende a tutto il mondo della criminalità organizzata. Proprio grazie ai contatti infatti ‘O Professore ottiene dei giudizi clementi e non solo sopravvive agli attentati dei clan nemici, ma ingaggia anche una battaglia con il commissario Iervolino (Leo Gullotta). Inizia così un vortice di situazioni al limite, dove tra tradimenti e ricatti il boss della Nuova Camorra Riformata si ritroverà sempre più isolato.
Esordio affascinante di Giuseppe Tornatore dietro la cinepresa, Il Camorrista è un film di indubbio spessore. In primo luogo per la sua connotazione di “racconto malavitoso”, dove il genere gangster si fonde con elementi della sceneggiata napoletana, del rusticano, del poliziesco e del dramma psicologico. La regia di Tornatore per quanto acerba è molto talentuosa e si orienta bene in una struttura alla tragedia greca, la quale permea la vicenda. Al pari anche le altre componenti del comparto tecnico sono molto buone, con una grandissimo montaggio; esso non solo insiste nel suo carattere alternato, ma riesce anche a rendere onore alle citazioni e ai capisaldi del cinema gangster. Tratta dal libro di Giuseppe Marrazzo e sceneggiata da Massimo de Rita, la pellicola ha anche delle bellissime musiche di Nicola Piovani. Meritato vincitore del David di Donatello per la miglior regia di un esordiente, Il Camorrista è una piccolo gioiellino italiano.
The Untouchables- Gli Intoccabili (1987)
Nel 1930 la città di Chicago, in pieno proibizionismo, ha un solo padrone: Al Capone (Robert De Niro). Egli ha preso il controllo della mafia metropolitana e si è impossessato del mercato di contrabbando di alcolici; il tutto avviene nella corruzione più totale, tanto che le elitè cittadine si affiliano al gangster italoamericano. Sulle sue tracce si mette però Eliott Ness (Kevin Costner), agente del tesoro a cui è stato affidato il compito di formare una squadra per contrastare lo strapotere cittadino del boss. Ness, dopo un iniziale fallimento, riuscirà a mettere su una bella squadra, composta dal veterano irlandese Jimmy Malone (Sean Connery), l’arrogante italoamericano George Stone (Andy Garcia) e l’allampanato contabile Oscar Wallace (Charles Smith). Essi formeranno così il gruppo degli Intoccabili che a suon di irruzioni riporterà l’ordine cittadino. Ma non tutto andrà come previsto e molti saranno i sacrifici per arrivare al boss.
The Untouchables è un film gangster da vedere assolutamente, grazie anche alla matura regia di Brian De Palma. Questi, dopo Scarface, torna dietro la macchina da presa per realizzare un mafia movie classico, ma non per questo poco avvincente. Infatti l’opera riesce a districarsi bene nella gestione dei tempi, con un bellissimo alternarsi di campi lunghi, primi piani, scene action e virtuosismi. Inoltre la colonna sonora di Morricone rende il tutto più avvincente e la sceneggiatura del film riesce a tenere fluido il filo della narrazione. Ottime le interpretazioni del cast, dove tra tutti spicca un De Niro ingrassato di 15 chili. Infine il citazionismo non stona, ma anzi fa risaltare di più alcuni momenti scenici, consentendo al lungometraggio di lambire il western e il noir. Si è quindi davanti ad un ottimo contenuto, capace di coniugare realtà storica e finzione filmica.
Film gangster da vedere: l’esplosione degli anni 90
Il padrino-Parte III (1990)
Terzo capitolo della saga tratta dal romanzo di Mario Puzo, Il padrino-Parte III è l’ultimo episodio dei film sulla famiglia Corleone. La trama si concentra nuovamente su Michael Cornleone (Al Pacino), ritornato da divorziato e uomo di fede nella New York del 1979. Questi ha deciso di abbandonare il suo ruolo di padrino e di concentrarsi prevalentemente nel legalizzare la sua impresa familiare, cancellandone così l’alone mafioso. Miliardario, ma malato di diabete, è impegnato a proteggere i suoi figli, in particolare sua figlia Mary (Sofia Coppola). Al contempo sulla scena familiare si affaccia Vincent Mancini (Andy Garcia), figlio illegittimo di Sonnie Corleone e nipote di Michael. È proprio in questo contesto che il boss, onorato da una prestigiosa bolla papale, decide di investire nell’Internazionale Immobiliare, una società vaticana molto redditizia. Tuttavia Michael si ritroverà dentro un torbido gioco, dove i suoi interessi saranno ostacolati da forze oscure.
Il padrino Parte III è il più debole tra i lungometraggi della saga gangster creata da Mario Puzo e dal cinema di Francis Ford Coppola. La pellicola difatti non decolla e ha dalla sua alcuni difetti che non le permettono di essere al livello dei suoi predecessori. Se la regia e la fotografia sono sempre eccellenti, con Coppola e Willis ispiratissimi, lo stesso non può dirsi per il montaggio e il cast. Questo risente della perdita di alcuni interpreti dei film precedenti e, nonostante l’egregia interpretazione di Andy Garcia, ha come suo più grande difetto la scelta di Sofia Coppola. Essa offre una prestazione di basso livello e non riesce a tenere testa agli altri caratteristi. In conclusione Il padrino-Parte III rimane un ottimo film, con interessanti spunti narrativi e filmici, ma si perde un po’ nella sua pomposità e nella saturazione di alcune sequenze mafiose.
Quei bravi ragazzi (1990)
Quei bravi ragazzi è un film del 1990 diretto da Martin Scorsese e ambientato nella New York degli anni Cinquanta. La pellicola racconta la storia di Henry Hill (Ray Liotta), ragazzo italo-irlandese cresciuto nei sobborghi di Brooklyn. Cercando un impiego per ottenere qualche soldo farà la conoscenza di Paul Cicero (Paul Sorvino), boss mafioso che gli darà l’opportunità di specializzarsi nella malavita; in tutto questo Henry conoscerà Jimmy Conway (Robert De Niro) e Tommy De Vito (Joe Pesci). Essi, come anche l’irlandese, diventeranno “bravi ragazzi” della famiglia di Paul, continuando a perpetrare furti redditizi ed omicidi strumentali. Al contempo però avranno la chance di vivere nel lusso, circondati da belle donne e dal timore dei loro sottoposti. Tuttavia la situazione sprofonderà drammaticamente quando Henry deciderà di mettersi nel traffico di stupefacenti, voltando le spalle alla moglie Karen (Lorraine Bracco) e a Jimmy.
Basato sulla vera storia di Henry Hill, Quei bravi ragazzi è tra le migliori opere di Scorsese. Egli non solo confeziona un film entusiasmante e frenetico, ma riesce a dissezionare lo stile di vita di un mafioso, con le sue abitudini e la sua moralità. Inoltre la pellicola tratteggia dei bellissimi personaggi, analizzati nei loro minimi dettagli, i quali fanno la differenza nel risultato finale. Risultato che travalica il solito mafia movie e rielabora la materia in un lungometraggio un po’ drammatico e un po’ pirandellianamente umoristico, un po’ parossistico e un po’ realistico. Al di là del lato tecnico – impeccabile e con la solita regia folgorante che si giostra tra Dutch angle, piani sequenza e un montaggio calibratissimo – Quei bravi ragazzi rappresenta forse una delle pietre angolari del valore artistico del cinema di genere. Infatti la sua disamina antropologica e psicologica ci dona un caposaldo della cinematografia moderna.
King of New York (1990)
Protagonista di questa storia è Frank White (Christopher Walken), boss della droga appena uscito dal carcere e desideroso di rientrare nel giro, riprendendo il controllo della città. Frank porta avanti anche un’opera di bene: vuole costruire con i proventi del narcotraffico un grande ospedale per la comunità del Bronx. Assieme a lui ci sono i fidati compagni della sua banda e l’ex avvocato Jennifer (Janet Julian), che lo aiutano a sbarazzarsi della concorrenza. Tuttavia le forze dell’ordine lo tallonano e indagano a fondo su di lui. Infatti una squadra di poliziotti irlandesi, guidati dall’agente Gilley (David Caruso) e il tenente Bishop (Victor Argo), lo obbligherà ad uno scontro senza esclusione di colpi. Che fine faranno i poliziotti? Frank realizzerà il suo progetto? I suoi compagni Jimmy Jump (Laurence Fishburne) e Jennifer che ruolo giocheranno nella vicenda?
Abel Ferrara gira questo film gangster da vedere ai limiti del manierismo e la fotografia di Bojan Bazelli, che lavora su colori accesi e primari, tingendo le sere di giallo, rosso e blu, rendono l’opera di grande spessore. Ferrara qui non tocca le vette di Fratelli, ma ne anticipa alcune tematiche: il dilemma morale, la coscienza del male, il masochismo. Nel farlo si affida a Christopher Walken, ingiustamente sconfitto agli Oscar che dà vita ad un personaggio irripetibile, dalle connotazioni tristi, malinconiche e ambigue. Così si compone anche il solito quadro filosofico di Ferrara e la sua dimensione esistenzialista, dove la violenza non è per niente catartica. Dal punto di vista registico colpisce la gestione delle scene action, debitrici di John Woo e con qualche punta stilistica di William Friedkin. A differenza di quanto dice la critica, il finale risulta un po’ stucchevole, ma non pregiudica questo grande film gangster del cinema novecentesco.
Crocevia della morte (1990)
Crocevia della morte è un preludio del postmoderno, ma in chiave più minimalista e incastonata nel genere. La storia è quella di due organizzazioni mafiose nemiche che si contendono il dominio di una città nell’America del 1929. Motivo del contenzioso è il bookmaker Bernie Bernbaum (John Turturro), ebreo che pare aver truffato il boss italoamericano Johnny Caspar (John Polito). Ma Bernie è protetto dal boss irlandese Leo (Albert Finney), innamorato di sua sorella Verna (Marcia Gay Harden). Ma la medesima attrazione la prova anche Tom Reagan (Gabriel Byrne), consigliere di Leo che per tale motivo passa dalla parte di Caspar. Egli chiederà subito al “traditore” di provare la sua fedeltà uccidendo Bernie, ignaro che con ciò Tom perderebbe Verna. A partire da tutto ciò scatterà una reazione a catena interminabile, fatta di tradimenti,sotterfugi e dilemmi morali. Come andrà a finire?
Crocevia della morte è il terzo film dietro la macchina da presa di John ed Ethan Coen e come tale non delude. Il gangster è fortemente barocco e ricco di black humour, marchio di fabbrica del cinema dei fratelli, ma mette in discussione diversi stereotipi del genere. In primis la regia – giocata su carrellate, profondità di campo e panoramiche – mescola diversi generi: dal dramma alla commedia, dal mafia movie al thriller. Tuttavia non c’è da aspettarsi un’opera anticonformista, piuttosto un gangster movie con i suoi elementi caratteristici e che rielabora la materia in modo da trarne degli spunti di riflessione. Tali si estendono su una vasta gamma di tematiche come la lotta per la sopravvivenza, la labilità dell’etica e la commistione di avanguardie cinematografiche. Infine il film inizia e termina con degli espliciti riferimenti al Padrino, la cui funzionalità è la dimostrazione di un utilizzo fruttuoso del postmoderno.
Le iene (1992)
Esordio di Quentin Tarantino, Le iene è un film premonitore della rivoluzione postmoderna. La storia è quella di una banda criminale, nella quale si è infiltrato l’agente di polizia Freddy Newandyke (Tim Roth). Egli è incaricato di investigare sui membri del gruppo, assunti dal boss mafioso Joe Cabot (Lawrence Tierney) insieme al figlio Eddie “il bello” (Chris Penn). Ciascuno di loro non si conosce e non può parlare di sé, ma anzi ha l’obbligo di chiamare l’altro con un colore assegnatoli. Si hanno quindi: Larry (Harvey Keitel) nei panni di Mr. White, Vic (Michael Madsen) in quelli di Mr. Blonde, Nussy (Steve Buscemi) come Mr. Pink, Denny (Quentin Tarantino) alias Mr. Brown, Roy (Edward Bunker) e Freddy rispettivamente nel ruolo di Mr. Blue e Mr. Orange. Il loro compito sarà rapinare una banca, ma niente andrà bene; si rifugeranno quindi in un bunker, dove ci saranno molti colpi di scena.
Le iene è un’opera complessa perché è l’esordio di un autore rivoluzionario per la storia del cinema. Tarantino anticipa i tempi e quello che farà con Pulp Fiction, sciorinando tutto il suo repertorio citazionista alla pop culture. La linea seguita è quella di un cinema allusivo e malizioso, sensazionalistico e verboso. Tarantino sa di essere bravo a scrivere ed esaspera la sua retorica, compendiando toni da tragedia elisabettiana al cinema gangster. Tuttavia la regia è comunque folgorante per essere un primo approccio al mezzo, così come anche la direzione degli attori. Il cast è perfetto e non stecca neanche un momento, ma la fotografia e la scenografia non lo eguagliano. La colonna sonora è diventata iconica, lanciando come hit “Stuck In The Middle With You”. Le iene è un lavoro interessante, da studiare perché apripista del cinema postmoderno.
Carlito’s Way (1993)
Carlito Brigante (Al Pacino) è un ex signore della droga newyorkese appena uscito di prigione grazie ad una cavillo legale riscontrato dal suo avvocato David Kleinfeld (Sean Penn). Una volta fuori è determinato a dare una svolta alla sua vita, cercando di legalizzare la sua attività e guadagnare abbastanza soldi per ritirarsi ai Caraibi con Gail (Penelope Ann Miller), vecchia fiamma mai del tutto dimenticata. Per questo motivo Brigante decide di investire insieme al suo amico avvocato in un locale:“El Paraiso”. Ma improvvisamente un avvenimento si abbatte su Brigante, rendendo la sua posizione estremamente pericolosa. Difatti Kleinfeld ha rubato un milione di dollari al suo cliente Anthony Taglialucci, boss della mafia locale, e successivamente lo ha ucciso assieme al figlio. Carlito si rende conto di essere stato raggirato e di rappresentare l’obiettivo successivo. L’unica opzione per lui è fuggire con Gail: ci riuscirà?
Gangster movie classico diretto da Brian De Palma, Carlito’s Way è la rappresentazione di un cinema dolcemente triste. Lascia infatti un alone di malinconia e contemporaneamente realizza un piacevole connubio tra dramma, film romantico e noir. La regia, destreggiandosi tra lunghi piani sequenza, carrellate ed egocentriche autocitazioni, riesce a colpire nel segno. Dall’altro lato il vanto dell’opera risiede nelle interpretazioni del cast, che racchiude in sé probabilmente il miglior Al Pacino di sempre, il quale recita in sottrazione, e un fantastico Sean Penn. Il lungometraggio ha un grandissimo merito: pur rivelando subito la fine del film, la tensione e l’attenzione dello spettatore nei confronti delle vicende non scemano mai; sceneggiatura, scenografia e fotografia sono eccellenti. In conclusione Carlito’s Way è l’archetipo di come una buona scrittura e delle accorte scelte stilistiche possano bastare per realizzare un grande film gangster.
Sonatine (1993)
Murakawa (Takeshi Kitano) è un ricco criminale giapponese, membro della Yakuza. Dopo una lunga e pericolosa carriera è deciso a ritirarsi, godendosi la vita e la meritata pensione. Tuttavia il capo dell’organizzazione, un certo Kitajima (Tonbo Zushi), gli chiede di svolgere un ultimo incarico: andare nell’isola di Okinawa per aiutare una gang alleata contro dei loro rivali. Sull’isola Murakawa familiarizza subito con una ragazza (Aya Kokumai) vittima di uno stupro, ma al contempo gioca anche alla roulette russa sulla spiaggia. Poco dopo capisce di essere stato tradito dai suoi superiori, in virtù di calcoli strategici, e di trovarsi all’interno di una missione impossibile, priva di qualsivoglia via d’uscita. Il protagonista, dopo un’iniziale e fallimentare tentativo di fuga, accetterà la sua tetra condizione e andrà incontro al suo destino in preda ad un’atarassia teatrale.
Scritto, diretto, interpretato e montato da Takeshi Kitano, Sonatine è la pietra miliare del regista giapponese. Kitano, sulla scia fotografica di Decaë, fa alto cinema di gangster e produce un film tecnicamente validissimo. Egli non solo pensa nei minimi dettagli ogni inquadratura e fotogramma, ma la sua natura eclettica e poliedrica lo porta a rifuggire ogni canone, ribaltare gli schemi e mischiare i generi. Sonatine si prefigura quindi come un film gangster a metà tra dramma e tragedia greca, in un equilibrio tra astratto e concreto finissimo, sottolineato da un citazionismo che va da Kinoshita a Bresson, toccando anche in parte lo stile tarantiniano. La sua influenza è evidente in fase di scrittura, dove si ritrovano un umorismo nero accentuato e delle situazioni paradossali. Sonatine alla fine diventa di più di un film gangster e costruisce un’epica filosofica dalle colorite punte nichilistiche ed esistenziali.
Bronx (1993)
È il 1960 e nel sobborgo italiano del Bronx vive il piccolo Calogero (Francis Capra), figlio di nove anni di un guidatore di autobus (Robert De Niro). Il bambino si lega sempre di più al boss locale, tale Sonny (Chazz Palminteri), il quale gli insegna i rudimenti della vita criminale e vanifica gli insegnamenti del padre del ragazzo. Questi infatti vorrebbe che il figlio conducesse una vita onesta e rispettosa della legge. Diciassettenne, Calogero (Lillo Brancato) è ormai più maturo e come prevedibile tiene in maggiore considerazione Sonny che il padre. Tuttavia presto si invaghirà della bella Jane Williams (Taral Hicks), afroamericana e sorella di un nero picchiato dagli amici di Calogero per l’odio razziale; questa pertanto lo scaricherà e annullerà il loro appuntamento. Il protagonista si ritroverà quindi a fare i conti con il crimine e la cattiveria dell’ambiente malavitoso, sperando di uscirne sano e salvo.
Primordiale approccio alla regia per Robert De Niro, Bronx è un film gangster sorprendentemente entusiasmante: una crasi tra il cinema di Leone, Scorsese e Fellini. Trasposizione della pièce di Palminteri, il risultato dell’opera, pur debitrice del soggetto dello scrittore newyorkese, è quello di un sano ragionamento sulla vita, le sue componenti, le sue contraddizioni e il ruolo genitoriale nell’educazione dei figli. Quanto detto viene poi messo in scena con una particolare attenzione registica per i volti e le atmosfere rionali, figlie di una fotografia efficace e ben bilanciata. Gli interpreti sono tutti molto bravi e non è da dimenticare il grande Joe Pesci, che interpreta un convincente Carmine. La scenografia convince, così come il montaggio il sonoro, composto da rari brani degli anni Sessanta. Se quindi a primo acchito si potrebbe pensare al già visto, alla fine il lavoro risulta una poetica lotta tra complesse figure paterne.
Pulp Fiction (1994)
Pulp Fiction non è solo un film, è qualcosa di più: una pietra miliare che ha originato il nuovo cinema contemporaneo. La trama, suddivisa in capitoli come in un romanzo, si dipana attraverso multipli fili narrativi, diversi personaggi e location bizzarre. Si ha la vicenda dei due rapinatori Ringo (Tim Roth) e Yolanda (Amanda Plummer), quella dei killer Vincent Vega (John Travolta) e Jules Winnfield (Samuel L. Jackson), che recuperano una valigetta e puliscono la loro auto sporca di sangue grazie a Mr. Wolf (Harvey Keitel); c’è la storia del pugile Butch Coolidge (Bruce Willis) e Marcellus Wallace (Ving Rhames), boss infuriato col combattente dopo il tradimento in una scommessa. C’è la peripezia di Mia Wallace (Uma Thurman), moglie tossicodipendente di Marcellus. Si intrecciano così “l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese” di questi antieroi contemporanei.
Film epocale e riformatore, Pulp Fiction è il punto più alto della carriera di Tarantino. Qui l’autore raggiunge la piena maturità e affina i tempi, rivaluta gli attori (Travolta su tutti) e definisce un’atmosfera pop, ma allo stesso tempo grottesca e violenta. I dialoghi sono brillanti e maggiormente calibrati – grazie anche alla partecipazione di Paul Avery – privi della pomposità del film d’esordio. La regia è magistrale e si muove tra piani sequenza, carrellate, primi piani e dettagli. La citazione diventa arte, ispirata rielaborazione personale: si va da Fellini a Truffaut, da Leone a Godard passando per Cimino. Un pastiche incredibilmente composito e geniale, che con umorismo e paradossi definisce una poetica nella poetica. Il tocco finale lo aggiungono gli interpreti e la fotografia di Andrzey Sekula. Una pellicola imperdibile, riassumibile in una citazione biblica: Ezechiele 25:17.
Casinò (1995)
Las Vegas, 1973. Sam “Asso” Rothstein (Robert De Niro) è un brillante e pignolo giocatore d’azzardo messo dalla Famiglia a capo del casinò Tangiers. Il suo sogno è quello di ripulirsi e di allontanarsi dall’immagine malavitosa che lo connota anche nel suo stile d’abbigliamento. Tuttavia questa sua aspirazione si arena di fronte l’incontro della bellissima Ginger (Sharon Stone), donna intelligentissima, ma schiava della droga, delle sue insicurezze e del suo protettore (James Woods). Difatti il matrimonio tra i due non decollerà mai e la loro vita familiare si trasformerà in un incubo per Sam. Dall’altro lato a metterlo ancora più in difficoltà sarà il suo vecchio amico Nicky Santoro (Joe Pesci), gangster squilibrato e dedito a creare problemi ad “Asso”. Esso verrà pertanto trascinato in basso dal boss e dalla consorte, con i quali inizierà una battaglia per la sopravvivenza.
Capitolo conclusivo di quella che inizialmente doveva essere la cosiddetta “trilogia della mafia” di Scorsese (poi diventata tetralogia con The Irishman), Casinò è un film ingiustamente dimenticato. Passato in sordina anche nei concorsi del 1995, si tratta invece di cinema di gangster di elevata caratura. La regia di Scorsese è sublime, con dei long take e delle carrellate notevoli. Altresì importante è il montaggio, spartiacque nella scelta di un dècoupage spezzettato, volto al preciso intento di una narrazione sincopata e non convenzionale. La fotografia è invece variopinta e si capisce che Robert Richardson ha fatto un lavoro egregio. In aggiunta contenutisticamente il film è pregevole poiché non si riduce ad un remake di Quei bravi ragazzi, bensì esemplifica l’ossessione americana per il denaro e la paradossale ricerca di emancipazione da questo nel Nevada del 1970. Un kolossal che avrà sempre qualcosa da dire.
Fratelli (1996)
Siamo nella New York della Grande Depressione e il ventiduenne Johnny Tempio (Vincent Gallo) viene esposto per la veglia funebre dopo l’uccisione fuori da un cinema. A presenziarla ci sono i fratelli Ray (Christopher Walken) e Chez (Chris Penn), arrabbiati e avidi di vendetta. Infatti la famiglia Tempio conosce molto bene la violenza, tanto da averne fatto la base della loro professione mafiosa. Questo ha creato degli scompensi in entrambi i protagonisti, dal momento che Chez è un vero e proprio psicopatico, mentre Ray ha ucciso la prima volta alla tenera età di tredici anni su ordine del padre. Egli cerca di trovare conforto nella religione, nella quale cerca la redenzione per i suoi crimini. Tuttavia quando al funerale arriva una corona funebre della famiglia Spoglia i due uomini impazziscono e decidono di agire definitivamente contro Gaspare Spoglia (Benicio del Toro), assassino del fratello. Da qui tutto cambierà drammaticamente.
Sceneggiato da Nicholas St. John e diretto da Abel Ferrara, Fratelli è un film sensazionale: profondo e ambizioso. L’autore adotta delle atmosfere cupe, dotandosi di una fotografia scura e giocata su grigi, marroni e neri. La scenografia è perfetta, così come anche il cast, capitanato da uno sfolgorante Chris Penn. La regia è ben calibrata, con alcuni movimenti di macchina arditi e dei bei primi piani. Ma ciò che sicuramente impressiona maggiormente è la decostruzione della famiglia mafiosa e la sua critica. In essa emerge tutta la negatività del bigottismo religioso tradizionale, che fa da preambolo ad una considerazione più elaborata: il ruolo dell’uomo nella Storia e la sua importanza nel disegno di Dio. Con una desolazione nella narrazione e con una lesionata freddezza Abel Ferrara dipinge una drammatica epopea mafiosa, esistenziale e morale. Un film gangster monumentale per la storia del cinema.
Donnie Brasco (1997)
Piccola perla cinematografica, il film narra la storia vera dell’infiltrato speciale del FBI Joe Pistone. Egli negli anni 70 si insinua nell’ambiente mafioso newyorkese con la falsa identità di Donnie Brasco (Johnny Depp) e, spacciandosi per un allibratore, riesce ad entrare nelle grazie di “Lefty” Ruggiero (Al Pacino), “soldato” anziano della famiglia Bonanno. Così facendo l’agente si legherà sempre di più a Lefty, che vedrà nel giovane la sua possibilità di ascesa nella gerarchia mafiosa. Andandogli dietro l’infiltrato scoprirà la verità sugli omicidi di Carmine Galante e “Sonny Red” Indelicato; inoltre riuscirà a comprendere il funzionamento del traffico di stupefacenti in seno alle malavita dopo un incontro con Santo Trafficante, trait d’union tra i Bonanno e Lucchese. Successivamente Donnie si renderà conto di aver oltrepassato il limite e di aver involontariamente condannato a morte Lefty, che aveva garantito per la sua affiliazione.
Scritto da Paul Attanasio, Donnie Brasco è un film gangster da vedere atipico, dai forti tratti melodrammatici e pessimistici. Tratto dal romanzo “Donnie Brasco: My Undercover Life in the Mafia” di Joseph Pistone, il film ne riproduce appieno la vita. Sotto il profilo tecnico la pellicola è notevole ed in primis colpisce la regia di Mike Newell, accorta nel coniugare perfettamente forma e contenuto. La fotografia e le musiche sono belle, ma i profili che colpiscono di più sono le interpretazioni e la sceneggiatura. Il cast è capace di riprodurre perfettamente i soggetti della sceneggiatura, soprattutto a fronte di una selezione attoriale di grande livello. Infatti non impressiona solo la performance di Johnny Depp, ma lasciano il segno anche quelle di Al Pacino, Michael Madsen e Anne Heche. Una riassunto per questo film gangster da vedere assolutamente: “Che te lo dico a fare?”
Jackie Brown (1997)
Jackie Brown (Pam Grier) è un affascinante hostess al servizio del trafficante d’armi Ordell Robbie (Samuel L. Jackson), per il quale contrabbanda denaro. Al fianco del criminale si accompagnano la bellissima Melanie Ralston (Bridget Fonda) e il sociopatico Louis Gara (Robert De Niro). Un giorno Jackie verrà intercettata ed arrestata dagli agenti Max Cherry (Robert Forster), della polizia di Los Angeles, e Ray Nicolette (Michael Keaton), dell’ATF. Questi, dopo aver trovato 50.000 dollari e una partita di cocaina nella borsa di Jackie, le proporranno l’immunità in cambio della sua collaborazione nella cattura di Ordell e la sua banda. Ma con la sua astuzia ed il suo fascino Jackie riuscirà a ingannare sia la polizia sia Ordell, in un cammino impervio e pieno di sangue. Riuscirà Jackie a venirne fuori definitivamente senza che una delle due fazioni, quella criminale o quella legale, venga a riscuotere il torto subito?
Terza fatica di Quentin Tarantino, Jackie Brown è l’unico film dell’artista statunitense tratto da un libro: “Rum Punch” di Elmore Leonard. L’opera è forse la meno tarantiniana di tutta la filmografia, ma non per questo meno affascinante. Jackie Brown è un lungometraggio maturo, privo del solito umorismo, oscillante tra una forte malinconia e un romanticismo noir di altri tempi. Allo stesso modo le situazioni parossistiche sono smorzate e questa volta la violenza non è catartica, ma al contrario sensibilmente disturbante. In tutto ciò la regia si pone fluida, attenta e mai eccessivamente virtuosa. A testimonianza di ciò si riscontrano poche rotazioni, molte carrellate in avanti e un un montaggio meno alternato. Oltretutto il film omaggia la blaxplotation e sotto questo punto di vista ne ricalca i fondamenti, senza trascendere nell’esuberanza velleitaria del regista. Jackie Brown è un film gangster da vedere e riscoprire.
Film gangster da vedere: il consolidamento degli anni 2000
Infernal Affairs (2002)
Spiazzante gangster movie di inizio millennio che ha influenzato molti cineasti, Infernal Affairs narra una complicata storia di mafia e infiltrazioni poliziesche. Il film racconta infatti le vicende in seno al boss delle triadi Hon Sam (Eric Tsang), che da anni ha ormai fatto diventare “i suoi occhi nelle forze di polizia” la sua spia Lau Kin-ming (Andy Lau). Parimenti però hanno fatto le forze dell’ordine, capitanate da Wong Chi Shing (Anthony Wong), con una nuova leva: il giovane Chan Wing-Yan (Tony Leung Chiu-Wai). Si prefigura così un quadro pericoloso, dove le due talpe – ironicamente coetanee e della medesima estrazione sociale – avranno l’incarico di scoprirsi l’un l’altra. Difatti le fughe di notizie sono evidenti, danneggiano entrambe le fazioni e finiscono per culminare in una specie di paradosso di Achille e la tartaruga. Si arriverà quindi allo scontro frontale tra i due, ma la domanda è: chi vincerà?
Infernal Affairs è uno dei maggiori successi del cinema gangster hongkonghese degli anni 2000, forte di una sceneggiatura complessa, ma solidissima, e di una regia composta; Questa si struttura sapientemente sui più piani dell’opera, spaziando dal gangster classico al poliziesco, passando per il melodramma. Inoltre, seppur con alcuni difetti nel tratteggio di alcune psicologie caratteriali, il comparto tecnico costruisce mirabilmente una dimensione cupa e ambigua, a tratti oscura e ricca di suspense. È poi interessante notare l’impronta e il lascito del lungometraggio, che è stato non solo vittima di numerosi remake, ma anche di tanti cambiamenti. Se infatti Scorsese ne ha copiato in toto la struttura per il suo The Departed, il finale dell’originale è stato adattato per la Repubblica Popolare Cinese in modo da eluderne la censura. Infernal Affairs è ingiustamente sconosciuto a causa dei suoi remake, ma merita un’ampia considerazione.
Era mio padre (2002)
Anni Trenta, Illinois, tempo del Proibizionismo. John Rooney (Paul Newman), boss della mala, è il signore incontrastato della crimine. Si affida a due uomini di fiducia: il figlio biologico Connor (Daniel Craig) e quello adottivo Michael “Mike” Sullivan (Tom Hanks). Essi sono due killer spietati, pronti a tutto pur di difendere gli interessi del padre. Sullivan però è anche un affettuoso padre di famiglia con una bella moglie (Jennifer Jason Leigh) e due figli. Il primo però una notte segue il padre nel corso di una missione criminale e assiste ad un omicidio. Preoccupato dall’atteggiamento del ragazzo, Connor tenterà di uccidere tutta la famiglia, ma riuscirà a strappare a Mike solo Peter e la moglie Anne. Si scatenerà così un escalation di brutalità e inseguimenti; una serie di ostacoli che Mike Sullivan dovrà superare per fornire all’amato figlio un’esistenza tranquilla.
Secondo film da regista di Sam Mendes dopo il fortunato American Beauty, Era mio padre si prefigura un film gangster da vedere assolutamente. Fondato su una regia costituita da zoom in e dolly, carrellate, piani sequenza, primi piani e panoramiche di contrappeso, il film ha una fluidità perfetta. Impressionante anche la fotografia, di Conrad L. Hall, fredda ed echeggiante in qualche modo C’era una volta in America. La pellicola è ricca di colpi di scena, mai banali, anche se parte della storia, ossia il dramma padre-figlio, ha un po’ il sapore di già visto. La forza del film risiede nella riproposizione di un cinema d’epoca, più vicino ai canoni degli anni Sessanta che al quelli del Duemila. In conclusione Era mio padre è un viaggio nel vecchio cinema di gangster, che colpisce con un finale toccante.
Romanzo criminale (2005)
Anni Settanta, Roma. Dopo il rapimento di un aristocratico romano finito nel sangue, tre giovani senza scrupoli entrano nel traffico di eroina della capitale e in breve ne diventano i padroni. Così facendo stringono accordi con la mafia locale e, grazie alle protezioni politiche, riescono a completare la loro scalata. I tre uomini sono tutti conosciuti con i loro soprannomi: Il Libanese (Pierfrancesco Favino), megalomane e senza scrupoli, il Freddo (Kim Rossi Stuart), innamorato di Roberta (Jasmine Trinca), e il Dandi (Claudio Santamaria), invaghito della bella prostituta Patrizia (Anna Mouglalis); questa è anche contesa dal commissario Scialoja (Stefano Accorsi), rivale della banda determinato ad incastrarli. Questi arriverà a conoscere delle trame nere e perniciose, tanto impressionanti da farlo tornare sui suoi passi. Le domande cruciali sono quindi: quali saranno i risvolti finali della narrazione? Cosa ha scoperto Scialoja? Quale dei tre banditi la farà franca?
Adattamento dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e diretto da Michele Placido, il film racconta una storia fortemente ispirata alla Banda della Magliana. È questo il paradigma seguito nella costruzione dei personaggi, le cui psicologie ricalcano per certi versi quelle di Maurizio Abbatino e Claudio Sicilia. La regia dona quindi uno spaccato di quindici anni di storia d’Italia attraverso un cinema in parte gangster e in parte noir, con anche alcune punte di romanticismo. Tuttavia, per quanto il progetto sia interessante in tutte le sue componenti, l’autore non convince pienamente nella messinscena di alcuni episodi storici e nella conduzione di una buona sceneggiatura; ma beneficia comunque di un cast ispiratissimo e di un montaggio dinamico e fluido, che risalta al meglio sia le cesure che le azioni frenetiche. L’opera è un unicum italiano che, nonostante molti limiti, trova la giusta chiave per raccontare una feroce epopea gangster.
The Departed-Il bene e il male (2006)
The Departed è un film gangster da vedere del 2006 diretto da Martin Scorsese, remake del film hongkonghese Infernal Affairs. La storia è la stessa anche se cambia la location ed il finale. Qui il boss Frank Costello (Jack Nicholson) ha deciso di infiltrare un suo uomo, Colin Sullivan (Matt Damon), nella polizia di stato. Lo stesso però ha deciso di fare la sezione investigativa della polizia di Boston, capitanata dal comandante Oliver Queenan (Martin Sheen). Egli, accompagnato dall’agente Sean Dignam (Mark Wahlberg), ha designato per l’operazione una recluta sveglia ed intelligente, ma dal passato difficile: William “Billy” Costigan (Leonardo DiCaprio). Questi non solo riuscirà ad entrare nelle grazie di Costello, ma incomincerà a raccogliere moltissime informazioni su di lui. Ma la faccenda muterà non appena Billy e Colin capiranno che c’è una spia nelle rispettive fazioni. Avrà inizio quindi una reciproca ricerca della talpa con moltissimi risvolti inaspettati.
Film pluripremiato agli Oscar, The Departed ha rappresentato la consacrazione definitiva di Martin Scorsese. Bisogna dire che la pellicola pecca di originalità poiché non innova il cinema di gangster e cambia solo il finale dell’originale in una chiave giustizialista. Tuttavia il cast è mostruoso e la regia è impeccabile. Essa, assieme al montaggio, risalta i personaggi con i suoi ralenti, i suoi zoom in e le sue carrellate. Non deludono neanche la colonna sonora e la scenografia, le quali rendono onore all’atmosfera dell’opera. Discrimine del lungometraggio rispetto all’originale è però il tratteggio di tutte le psicologie, alcune delle quali in Infernal Affairs erano solo abbozzate; in più è di forte impatto anche il discorso dell’estrazione sociale, più incisivo perché inserito nella distruzione dell’illusorio american dream. The Departed è un film gangster da vedere per due motivi: Martin Scorsese e la riflessione sulla genesi della mafia bostoniana.
La promessa dell’assassino (2007)
Anna Khitrova (Naomi Watts) è un’ostetrica di origini russe che lavora in un ospedale di Londra. Rimane scossa all’indomani della morte di una quattordicenne, deceduta dopo aver partorito sua figlia. Nel cercare di rintracciare la famiglia della ragazza, in modo da affidarle la neonata, Anna trova il suo diario. All’interno c’è un biglietto recante l’insegna del ristorante Trans-Siberian, dove l’ostetrica si reca immediatamente in cerca di informazioni. Il posto è gestito da Semyon (Armin Mueller-Stahl), uomo posato e misurato, ma anche boss della mafiosa Vory V Zakone. Egli condivide il comando col figlio Kirill (Vincent Cassel), omosessuale represso. Questi è molto legato all’autista Nikolai Luzhin (Viggo Mortensen), oggetto del suo desiderio. Alla fine Anna traduce il diario e scopre la verità su Semyon, che ha invece riposto la sua fiducia su Nikolai. Ma niente è come sembra e tutto precipiterà in questo film gangster da vedere assolutamente.
La promessa dell’assassino rappresenta un unicum tra i film gangster da vedere, così come il suo autore: David Cronenberg. Regista eclettico, Cronenberg realizza un gioiello degli anni Duemila. In primo luogo riesce a narrare un contesto semi-sconosciuto come la mafia russa, ma nel farlo non si piega ai cliché e non cade nel banale; infatti l’opera è un poliziesco mafioso dai tratti drammatici e cupi. Tecnicamente questo film gangster è impeccabile, con una regia giocata su carrellate circolari, avanti e a precedere, primi piani, zoom in e particolari. Sono anche mostruosi il montaggio e le interpretazioni di tutto il cast: Viggo Mortensen, Naomi Watts, Vincent Cassel e Armin Mueller-Stahl. La promessa dell’assassino è quindi un film gangster da vedere su un’encomiabile costruzione dei caratteri e contenente al contempo forse la più bella lotta corpo a corpo degli ultimi 20 anni.
American Gangster (2007)
Film candidato agli Oscar del 2007, American Gangster narra la storia del narcotrafficante di Harlem Frank Lucas. Quest’ultimo nel 1968, dopo la dipartita del boss e suo capo Bumpy Johnson (Clarence Williams III), incomincia la sua scalata nel business della droga, determinato a schiacciare tutti quelli che lo ostacoleranno. L’idea geniale che lo eleverà a signore indiscusso di New York sarà però la scelta di importare eroina pura dalla Thailandia, dal cosiddetto Triangolo d’oro. Così facendo Lucas (Denzel Washington) non solo eliminerà gli intermediari, ma si assicurerà una qualità del prodotto notevolmente maggiore rispetto alla concorrenza. Dopo questa mossa rivoluzionaria incomincerà a vivere nell’agio, a frequentare ambienti altolocati e si sposerà con la bellissima Eva (Lymari Nadal). Ma Frank non ha considerato Richie Roberts (Russell Crowe), detective statale onesto, intelligente e determinato a fermarlo, sebbene sia pieno di problemi personali.
Opera dei primi anni Duemila di Ridley Scott, American Gangster è un film gangster da vedere, profondo e storicamente accurato. Scott qui gestisce il tutto con una regia perfetta, dove il virtuosismo non è mai fine a se stesso e dove, in tandem con la sceneggiatura, tratteggia gli ambienti, i personaggi e le loro rispettive motivazioni alla perfezione. Inoltre l’opera è fortemente realistica e il regista non si perde nel moralismo, ma anzi esaspera il cinismo sia di stampo capitalistico ed imprenditoriale sia di matrice razziale. Anche la scenografia e la fotografia sono ben realizzate, ma ciò che lascia a bocca aperta è il montaggio di Pietro Scalia, storico montatore di fiducia del regista americano. Infine le interpretazioni sono tutte eccellenti, con un Crowe e un Washington molto piacevoli in coppia. Perciò American Gangster è uno dei migliori film gangster da vedere nella storia del cinema degli anni Duemila.
Gomorra (2008)
Tratto dal pluripremiato successo editoriale Gomorra di Roberto Saviano, il film prende cinque storie del libro e ne estrapola la dimensione criminale. Si fa quindi la conoscenza del tredicenne Totò (Salvatore Abruzzese), adolescente determinato a diventare un boss; di Don Ciro (Gianfelice Imparato), detto “il sottomarino”, che deve sopravvivere in mezzo ad una guerra di mafia; si apprende anche la vicenda di Marco (Marco Macor) e Ciro (Ciro Petrone), i quali, suggestionati da Scarface e noncuranti del pericolo, rubano le armi alla camorra, dimenticando che certi errori costano caro. Altrettanto interessante è la vicenda di Roberto (Carmine Paternoster), che trova lavoro presso Franco (Toni Servillo), smaltitore illegale di rifiuti. Infine l’opera ci racconta la storia di Pasquale (Salvatore Cantalupo), sarto al servizio dei cinesi vittima dell’astio locale. Cinque storie, cinque drammi. Qui la narrazione si esemplifica efficacemente nelle scelte dei personaggi, simboli di una vita pericolosa e fagocitante.
Diretto da Matteo Garrone, Gomorra è un film gangster da vedere complesso, drammatico e morale (ma non moralista). Sotto l’egida di un’atmosfera un po’ noir e gangsteristica, Garrone e Saviano riproducono fedelmente uno dei contesti più torbidi e malati di Napoli e dintorni: la camorra. Il regista qui fa un lavoro impeccabile, giocando con la profondità e la scenografia in maniera pazzesca in modo da sviluppare un discorso visivo. La scenografia (le “Vele” di Scampia) cupa e tenebrosa inghiotte la macchina da presa e i suoi personaggi, al pari appunto della mafia locale. Tutto il comparto di contorno è funzionale al risultato impeccabile e si sintetizza in tre parti fondamentali: una fotografia cruda e grigia, una sceneggiatura realistica (si parla in dialetto) e una bella colonna sonora. Gomorra è un affresco di una Napoli priva di bellezza, ma allo stesso tempo sognatrice e ingenua, che viene infettata quotidianamente dal cancro della criminalità organizzata.
Nemico pubblico-Public Enemies (2009)
All’epoca della Grande Depressione John Dilinger (Johnny Depp) è il più famigerato criminale d’America e l’FBI di J. Edgar Hoover (Billy Crudup) è sulle sue tracce ormai da tempo. Hoover, stufo delle continue rapine di Dilinger, decide di affidare il caso a Melvin Purvis (Christian Bale), il quale cambierà drasticamente le tattiche del Bureau per acciuffare l’imprevedibile bandito. La polizia federale muterà drasticamente e non solo farà uso di intercettazioni telefoniche, ma anche di violenti interrogatori. Nel frattempo John incontrerà la bellissima Billie Frechette (Marion Cotillard), che in poco tempo si innamorerà di lui. Ma il quadro cambierà quando Purvis farà irruzione in un hotel credendo che ci sia il suo obiettivo, ma invece perderà un agente, freddato da Baby Face Nelson (Stephen Graham). Purvis però non si arrenderà e, dopo un tentativo fallito di imprigionare Dilinger, riuscirà a metterlo finalmente alle strette. Che fine farà John?
Tratto dal libro “Public Enemies: America’s Greatest Crime Wave and the Birth of the FBI” di Bryan Burrough, Public Enemies è un film diretto da Michael Mann. Questi compone un film gangster da vedere intrigante ed entusiasmante. La pellicola infatti ha molto ritmo, non annoia anche quando si prende i suoi tempi e la regia è costruita su uno stile realistico e verosimigliante. In linea con ciò è la scelta delle location, soprattutto luoghi reali degli eventi. La sceneggiatura invece riprende gli stilemi classici del cinema di Mann, vale a dire una lotta tra personaggi, ma non tra Bene e Male. Ogni carattere qui ha la sua condanna e paga il prezzo delle sue azioni. Menzione d’onore per la fotografia in digitale HD di Dante Spinotti, la quale regala un effetto granulato e una profondità di campo abbacinanti. Nemico Pubblico è un perla del cinema gangster.
Film gangster da vedere: la contemporaneità degli anni 2010
Gangster Squad (2013)
Los Angeles, 1949. Mickey Cohen (Sean Penn) è il signore indiscusso della California, ricchissimo grazie ai suoi guadagni criminali e circondato da bellissime donne, tra qui Grace Faraday (Emma Stone). Bill Parker (Nick Nolte), capo della polizia, decide così di formare una squadra per incastrare il violento boss. A capo dell’organizzazione Parker porrà il sergente, nonché veterano di guerra, John O’Mara (Josh Brolin), che avrà carta bianca nella scelta degli uomini. Le sue preferenze ripiegheranno quindi su quattro individui incorruttibili: Coleman Harris (Anthony Mackie), Conway Keeler (Giovanni Ribisi), Max Kennard (Robert Patrick) e Navidad Ramirez (Michael Peña). Jerry Wooters (Ryan Gosling), amico di O’Mara, declinerà invece la proposta, ormai disincantato dalle scelte della polizia; inoltre si avvicinerà sempre di più a Grace, per cui sarà disposto a correre molti pericoli pur di liberarla da Cohen. Sarà allora che Mickey scatenerà la sua furia, lasciandosi dietro una lunga scia di sangue.
Gangster Squad è stato massacrato ingiustamente dalla critica, dal momento che non si tratta di quel film scialbo e malfatto di cui tutti hanno parlato. È invece una pellicola interessante, diretta da Ruben Fleischer e con un cast impressionate. L’opera si qualifica come un gangster classico e traspone al cinema la storia di Cohen secondo gli articoli del reporter Paul Liebermann. Il risultato è un ottimo film gangster che, a discapito dei suoi difetti evidenti quali l’eccessivo citazionismo e la ridondante verbosità, riesce a creare un’intrigante amalgama tra hard boiled, noir e thriller. In questo giocano un ruolo importante la regia dinamica, il montaggio alternato e l’accurata scenografia, che tengono i tempi della narrazione; la fotografia è invece troppo patinata e vero anello debole del lungometraggio. Ciononostante questo film gangster da vedere non è banale, smorto e noioso come le recensioni della critica vorrebbero, bensì molto quadrato e se ne consiglia la visione.
La paranza dei bambini (2019)
Tratto dal bestseller di Roberto Saviano, La paranza dei bambini, come era stato Gomorra, racconta la storia di più personaggi. Qui protagonisti sono sei quindicenni della Napoli del 2018: Tyson (Artem Tkachuk), Biscottino (Alfredo Turitto), Lollipop (Ciro Pelecchia), Nicola (Francesco Di Napoli), Briatò (Mattia Del Balzo) e O’Russ (Ciro Vecchione). Il loro obiettivo è solo arricchirsi per poter vivere nel lusso, comprare abiti firmati e darsi alla pazza gioia. Trascorrono quindi le giornate nel Rione Sanità lavorando per il boss locale Lino Sarnataro (Aniello Arena), inviso al quartiere per le continue e violente estorsioni. Quando però verrà catturato dalla polizia, la banda si impossesserà di parte del territorio lasciato libero, grazie anche all’avallo di Don Vittorio (Renato Carpentieri). Infine essi avranno accesso finalmente alle armi da fuoco e ciò non farà che peggiorare la situazione. Partirà così una sanguinosa guerra camorrista, che metterà a rischio la vita di tutti.
Dopo il successo di “Fiore”, Claudio Giovannesi torna al cinema con un film gangster da vedere ambiziosissimo come La paranza dei bambini. L’esito è ottimo, grazie ad una regia meno verista e più minimalista, concentrata sui volti e sulla dimensione intima dei caratteri. Al pari la sceneggiatura di Saviano e Maurizio Braucci è formidabile nel donare dei dialoghi verosimiglianti e non solo tipici della dimensione gangsteristica, ma anche del dramma e di un western moderno. Emerge qui tutta la poliedricità dell’autore, che tratteggia una storia di vita e di mafia, di gioventù e spregiudicatezza, di azione e reazione. La scelta delle location è perfetta e la fotografia è di pregevole fattura, in un perfetto bilancio tra colori primari e secondari. La paranza dei bambini è un film gangster da vedere, che si allontana dai cliché sulla camorra e dona allo spettatore uno squarcio della manovalanza della criminalità organizzata.
The Irishman (2019)
Trasposizione cinematografica del bestseller di Charles Brandt, The Irishman narra la storia del criminale irlandese Frank Sheeran (Robert De Niro). Egli incomincia a muovere i primi passi nella malavita come “bravo ragazzo” con piccoli redditizi furterelli. In seguito, dopo aver fatto la conoscenza del boss mafioso Russell Bufalino (Joe Pesci), incomincerà ad entrare veramente nella mafia italo-americana. Frank tuttavia è anche membro dei Teamsters, l’organizzazione sindacale guidata da Jimmy Hoffa (Al Pacino), sindacalista ammanicato alle organizzazioni criminali. Egli è fondamentale per la continuità di rapporti tra immondo degli investitori, gli intermediari finanziari e la mafia e, servendosi dell’aiuto di quest’ultima, avrà la possibilità di entrare in amicizia con Frank. Il loro rapporto dunque si evolverà nel tempo fino a rasentare la fratellanza, ma le nuove scelte di Hoffa, invise alla mafia, costringeranno Frank al ruolo di mediatore, che indirizzerà la vicenda a dei risvolti inaspettati.
Ennesima fatica del maestro Martin Scorsese, The Irishman è un bellissimo gangster che, nonostante la sua lunghezza (209’), tratteggia un pezzo di storia americana col cinema malavitoso. I pregi del film sono innumerevoli, dal montaggio perfetto di Thelma Schoonmaker alla fotografia, dalla sceneggiatura alla scenografia incredibilmente realistica. Dall’altro lato la regia di Scorsese è titanica, simil testamentaria e capace di regalare virtuosismi mozzafiato, sequenze action e spunti di riflessioni artistici. Le prove attoriali sono allo stesso di altissimo livello, con un Al Pacino forse più ispirato degli altri due mostri sacri. Infine menzione d’onore per Harvey Keitel (Angelo Bruno), memorabile con sole pochissime battute. Discorso diverso invece per gli effetti speciali, strumentali all’invecchiamento dei vari personaggi nel tempo e comunque abbastanza convincenti. The Irishman si prefigura quindi come un progetto colossale, ma a seguito della visione non si potrà dire di essere delusi. In una frase: un film gangster da vedere a tutti i costi!