Nietzsche e il cinema: 15 film nietzschiani secondo FilmPost
Nietzsche al cinema: superuomo, eterno ritorno, morte di Dio, apollineo e dionisiaco e nichilismo
Se guardiamo alla storia del cinema risulta evidente che essa debba molto alla letteratura e alla filosofia. Infatti la “settima arte” si è servita a lungo delle teorie filosofiche, fino a farne alle volte il tema portante di tutta la narrazione. Tra i filosofi che maggiormente hanno contribuito alla fioritura di un filone di cinematografia filosofica vi è indubbiamente Friedrich Nietzsche. Il pensatore tedesco non solo ha ribaltato il concetto di mondo nel corso del XIX secolo, ma ha anche profondamente influenzato tutta la cultura del Novecento. Noi di FilmPost vogliamo quindi soffermarci su alcuni dei più bei film tratti dalla sua filosofia.
Difatti Nietzsche è stato in grado di sviluppare concetti ed idee rivoluzionarie come la teoria del superuomo, quella dell’eterno ritorno dell’uguale, l’annuncio della morte di Dio, l’equilibrio tra apollineo e dionisiaco e lo sviluppo del nichilismo; tutte concezioni rivoluzionarie e allo stesso tempo fortemente influenzate da arti quali la letteratura, la musica e la pittura. Pertanto come Il filosofo di Rocken ha preso dalle altre arti, la stessa cosa ha fatto il cinema novecentesco, mettendo in scena ripetutamente, e spesso sapientemente, tutte le sue riflessioni.
Indice
Nietzsche e il cinema: Il superuomo
Nodo alla gola (1948)
Prodotto e diretto dal maestro Alfred Hitchcock, Nodo alla gola (in originale Rope) è un capolavoro della storia del cinema sia a livello tematico che tecnico. Se infatti la perizia tecnica è da ritrovarsi nella sperimentazione hitchcockiana di girare tutto il film con dieci piani sequenza, lo spessore contenutistico risiede sicuramente in una rielaborazione della teoria del superuomo. Quest’ultima emerge lapalissianamente in Brandon Shaw (John Dall) e Phillip Morgan (Farley Granger), protagonisti omosessuali del film.
Essi sono dei fanatici della teoria del superuomo e vedono l’omicidio, motore del film, come un rito di iniziazione per elevarsi al di sopra dei concetti di bene e di male. Risulta quindi evidente la rielaborazione di Nietzsche da parte di Hitchcock, il quale riprende l’idea delle tre tappe della genesi dell’Ubermensch di Così parlò Zarathustra (cammello, leone, fanciullo) riassumendole nei personaggi, ma allo stesso tempo conclude l’opera con una visione fallimentare della teoria dell’oltreuomo. Infine anche il titolo originale identifica metonimicamente il superuomo, in quanto “rope” in inglese significa corda, lo stesso temine che Nietzsche utilizza per esemplificare la condizione umana. Nietzsche infatti dice: “L’uomo è una corda, annodata tra l’animale e il Superuomo- una corda tesa sopra l’abisso”.
Matrix (1999)
Incredibilmente famoso e super filosofico è chiaramente Matrix, film scritto e diretto dalle sorelle (allora fratelli) Wachowski. Vera e propria summa filosofica, Matrix si presuppone come un film rivoluzionario, tanto per il lato tecnico quanto per l’impianto argomentativo. Inoltre risulta lampante l’influenza di Nietzsche nel cinema delle Wachowski, così come in tutta la narrazione dell’opera, dove il tema sicuramente più importante è appunto quello del superuomo.
Neo (Keanu Reeves) infatti è l’eletto, vale a dire l’oltreuomo che, al pari di Zarathustra, ha il compito di guidare gli uomini nella guerra contro le macchine. Difatti egli non solo è conscio dell’ipocrisia e della doppiezza della realtà che lo circonda, ma accetta con amor fati questa condizione e, piuttosto che rispondere negativamente e continuare a vivere nell’oblio (pillola rossa o pillola blu), decide di affermare la sua volontà di potenza, risolvendo il conflitto platonico tra realtà e finzione.
Nietzsche e il cinema – 2001: Odissea nello spazio (1968)
In questo capolavoro della storia del cinema Stanley Kubrick non ha mai negato la sua ispirazione alla filosofia di Nietzsche. Infatti il lungometraggio del maestro americano ripropone molte rielaborazioni del pensiero del filosofo tedesco e tra tutte si distinguono quella del superuomo, preponderante, e quella dell’eterno ritorno. Il superuomo è qui identificato di nuovo con gli stilemi rappresentativi di Così parlò Zarathustra, dove Nietzsche descrive le tre figure, già sovrariportate, del cammello, del leone e del fanciullo. Se precedentemente avevamo visto una identificazione concettuale in Nodo alla Gola, lo stesso non si può dire per questo film.
Kubrick dunque con il finale decide di creare una simbiosi figurativa, dove il feto che attraversa il monolite diventa in tutto e per tutto il fanciullo “Delle Tre Metamorfosi” . Si compie quindi per Kubrick la profezia del superuomo, colui che racchiude in sé la rinascita; una rinascita che identifica gli uomini precedentemente raffigurati come quel ponte tra scimmia e oltreuomo che Nietzsche descrive nei suoi scritti. Infine il riferimento a Nietzsche e al superuomo viene accentuato dalla citazione musicale diretta del pezzo Così parlò Zarathustra di Strauss, sicuramente non casuale.
Nietzsche e il cinema: l’eterno ritorno
Arrival (2016)
Penultimo film del regista Denis Villeneuve, Arrival si configura subito come un sorta di testamento sullo scorrere del tempo. Questo film infatti non solo riapre il filone di comunicazione con gli alieni, ma riporta in auge anche il concetto di eterno ritorno dell’uguale. Difatti Louise Banks (Amy Adams) è una linguista chiamata a decifrare il linguaggio di alcuni alieni, i quali si rende conto che comunicano mediante una lingua extradimensionale.
Sostanzialmente la loro lingua è costruita sul tempo e mediante la sua comprensione si viene a conoscenza di tutto il proprio passato e futuro. Pertanto tale fonte di sapere pone nel cinema anch’essa la domanda cardine dell’eterno ritorno di Nietzsche: “Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte? Graverebbe sul tuo agire come il peso più grande?”. Qui Villennueve riprende così anche il famoso “doppio divenir attivo delle forze” pensato da Gilles Deleuze ed esemplifica lo scavalcamento del nichilismo e il salto verso un nuovo mondo umano. In questo modo l’eterno ritorno diviene spinta verso l’accettazione della condizione umana con amor fati.
Memento (2000)
Capolavoro di Christophen Nolan, Memento è un film particolarmente complesso e sperimentale, sia dal punto di vista tematico che dal punto di vista della messa in scena della narrazione. L’opera infatti, che vede protagonista lo smemorato Leonard Shelby (Guy Pearce), gioca con i concetti di tempo e memoria, passando da Nietzsche a Freud. Stilisticamente il film è montato al contrario, con una costante ripresa di scene e frame cinematografici precedentemente rappresentati. Qui Nolan smonta e ricostruisce la macchina-cinema e nel farlo illustra quell’immagine del serpente che si morde la coda tanto cara al filosofo di Rocken.
La tematica nietzschiana emerge benissimo anche nel colpo di scena finale e nella sua duplice veste: quella della ripetizione gestuale e quella della riproposizione visiva. Ora l’eterno ritorno descritto nel film assume i connotati di due facce della stessa medaglia, le quali si intersecano tra loro. Tuttavia qui, rispetto ad Arrival, l’eterno ritorno non si scioglie dalla sua natura di “peso” umano diventando “gioia” superomistica, ma costringe invece il protagonista ad una sofferenza eterna. Pertanto, nonostante i molteplici omicidi, il protagonista non riesce idealmente a “recidere la testa del serpente” liberandosi del suo peso e si presta così a quella visione primordiale dell’uomo secondo Nietzsche. In questo caso l’eterno ritorno viene elaborato in maniera pessimistica e si inserisce nella riflessione temporale di Nolan. Una riflessione morale, filosofica, scientifica e strumentale.
Nietzsche e il cinema – Ricomincio da capo (1993)
Interpretato da uno stupefacente Bill Murray, il film rappresenta un vero e proprio gioiellino della commedia degli anni Novanta. La suggestione dell‘eterno ritorno qui è sostanzialmente il motore della narrazione poiché per Phil Connors (Bill Murray) ogni giorno è lo stesso: il 2 febbraio. Se la pellicola comunque riprende anche altre tematiche di Nietzsche in questa chiave, come ad esempio il superuomo e la sua accettazione dell’amor fati, tuttavia l’eterno ritorno della Gaia Scienza è il leitmotiv dell’opera. Qui esso è trattato e raffigurato sapientemente, creando appunto un “ritorno continuo” che assume delle caratteristiche vitali.
Perciò si nota come, nonostante il lungometraggio ci esponga nuovamente ad una lettura dell’accettazione con amor fati della condizione di prigionia, allo stesso tempo le modalità della trattazione sono differenti. Appunto per questo il protagonista infatti si evolve personalmente, distruggendo da un lato il suo ego e ricostituendo il suo essere individuo in un “noi” collettivo. Difatti Phil parte dallo snobbare tutti ad avere un rapporto con chiunque, riuscendo finalmente ad associare volti e storie a persone dapprima a lui sconosciute. L’opera si riepiloga dunque nella costruzione di una nuova socialità umana, la quale il regista Harold Ramis descrive eccellentemente con leggerezza.
Nietzsche e il cinema: la morte di Dio
Il Petroliere (2007)
Film pluripremiato, Il Petroliere rappresenta una pietra miliare dei primi anni 2000. Opera del grande Paul Thomas Anderson, il lungometraggio si qualifica per una molteplicità di temi, che spaziano al cinema da Omero a Nietzsche. Difatti la pellicola con due personaggi riesce abilmente a sottolineare il tema della morte di Dio, rappresentata dal contrasto tra Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis) e Ely Sunday (Paul Dano). Se il primo appunto incarna il capitalismo statunitense, la cui sommessa matrice borghese è comunque presente nel manierismo del personaggio, dall’altro lato il secondo esemplifica perfettamente il bigottismo fideistico. Si tocca così quindi anche quel conflitto tra visione nichilista e visione cristiano-platonica tipico della dialettica nietzschana.
Tra i due emerge dunque il contrasto tra pensiero e fede che regge il libero arbitrio, ma che caratterizza anche la rottura nietzschiana. Per Anderson, così come per Nietzsche, bisogna liberarsi dall’oscurantismo religioso mediante un’accettazione ragionevole, in modo tale da recuperare una dignità arbitraria. Dio è morto perché non fa più mondo, ovvero non risponde più alle esigenze spirituali e culturali della società. Anche alla luce di ciò si comprende la messa in scena della chiesa della Terza Rivelazione da parte di Anderson, che evidenzia sapientemente la deviazione malata del cristianesimo. Una deviazione che risponde alla mancanza di forza intrinseca della figura di Dio all’inizio del XX secolo e che distrugge la libertà di coscienza.
Nostalghia (1983)
Vincitore del festival di Cannes nel 1983, Nostalghia si prefigura come un film altamente filosofico e in parte nietzschiano. Questo capolavoro figlio del genio di Tarkovskij narra la storia di un poeta sovietico, Andrej Gorčakov (Oleg Jankovskij). Egli si reca in Italia per scrivere la biografia di Andrej Sosnovskij, compositore russo del XVIII secolo; da qui il protagonista incontrerà alcuni personaggi emblematici, tra cui il “folle” Domenico (Erland Josephson),e in seguito andrà incontro a più peripezie. Ora in quest’opera risulta chiaramente il ricalcare di Tarkovskij della annuncio della morte di Dio narrata nella Gaia Scienza. Infatti questo annuncio si sintetizza nella figura di Domenico ed in particolare nel suo discorso nel Campidoglio.
Tarkovskij qui, oltre a riprendere nella disposizione scenica la Golconda di Magritte, riesce ad esemplificare il “folle” dell’aforisma 125 e in un certo senso rinvigorisce l’annunciazione nietzschiana con la morte ideale e fisica del personaggio; una morte che verrà ribaltata successivamente nel suo film Sacrificio. Infine la nostalgia da cui deriva il titolo è sostanzialmente sia quella di Andrej, poeta espatriato, sia quella di ciascun personaggio, perennemente in lotta con se stesso. Si configura perciò anche un quadro nichilista, dove Tarkovskij delinea un discorso di ricerca e discussione spirituale nei personaggi.
Nietzsche e il cinema – Eyes Wide shut (1999)
Se Eyes Wide Shut a primo acchito sembra prestarsi ad una ritrattazione nel cinema del dionisiaco secondo Nietzsche, tuttavia si può intravedere una raffigurazione della morte di Dio. Una rivisitazione personale di Kubrick, il quale non vuole annunciare la morte di Dio, bensì metterci di fronte al risultato di questa morte; ovvero una società che vive senza valori, ma che non lo vuole accettare. La conferma appare nel persistere della morte di Dio, l’inesistenza dei palliativi di un tempo e meglio ancora l’inefficacia dei derivati e surrogati borghesi moderni.
Il fallimento di una borghesia che nell’età della morte di Dio, come acutamente osservato da Giuseppe Fornari, rifiuta la morte di Dio. Basti pensare ai palliativi inefficaci, che si identificano in alcol, droga e soprattutto sesso. Pertanto appare evidente come se la morte di Dio è negazione del presente a causa della caduta di tutti i valori, dall’altro lato il sesso è affermazione della presenza corporea e quindi vittoria del desiderio. Ciononostante si fa sesso ripetutamente e si abusa di droga, ma il tutto non porta ad alcuna soluzione; così facendo risorge ripetutamente il soggetto angosciato, il quale non fa che confermare la morte di Dio.
Nietzsche e il cinema: apollineo e dionisiaco
Arancia meccanica (1971)
Altro capolavoro di Stanley Kubrick, Arancia meccanica è un’opera visionaria ed originale. La pellicola infatti, tratta dall’omonimo romanzo di Burgess, si presta moltissimo ai temi nietzschiani e li elabora apertamente. Ora il tema che colpisce di più tra questi è il contrasto tra apollineo e dionisiaco, teorizzato da Nietzsche 100 anni prima nella Nascita della tragedia. Un argomento sicuramente conosciuto, ma difficile da rappresentare. Ciononostante Kubrick lo fa perfettamente, sunteggiando il tutto nel personaggio di Alex (Malcolm McDowell) e nella cura Ludovico. Pertanto, così come Nietzsche distingue tra apollineo e dionisiaco e teorizza un equilibrio tra i due per l’accettazione della vita, allo stesso modo Kubrick mette in atto un ribaltamento del concetto.
Difatti Nietzsche identificava da Socrate in poi il trionfo dell’apollineo, ovvero il momento dell’ordine e della forma, e una cosa simile si ritrova anche in Arancia Meccanica. Qui il soggetto Alex rappresenta il dionisiaco, ovvero il momento caotico e informe, ma viene sopraffatto dall’apollineo con la cura Ludovico (non a caso la scelta di Beethoven, che rappresenta un parallelismo con Wagner). Kubrick mette così in scena il trionfo dell’apollineo e tratteggia la società contemporanea come mezzo di allontanamento dalla vita pienamente vissuta. Una società che non sa dire sì alla vita e perciò non avrà mai tra le sue fila alcun superuomo.
Nymphomaniac vol.1 (2013)
Scandaloso e a lungo dibattuto, Nymphomaniac è forse uno dei film migliori di Lars Von Trier ed è anche uno dei più filosofici. Se inizialmente si potrebbe erroneamente minimizzare l’opera tacciandola di pornografia o lesione del pubblico pudore, successivamente, ad una visione più attenta, si potrà intravedere uno studio sulla sessualità per niente banale. In questa ricerca di Trier si coglie Nietzsche e il contrasto tra apollineo e dionisiaco. Inoltre il rapporto tra i momenti è ben esplicitato e raffigurato dal contrasto tra i due personaggi principali: Joe (Charlotte Gainsbourg) e Seligman (Stellan Skarsgard).
Essi sono agli antipodi, così come l’apollineo e il dionisiaco, e lottano tra di loro in maniera particolare. Lo schema del film infatti è formato dalla ricerca di una giustificazione di Seligman per ogni peripezia sessuale di Joe. Questo modello riprende qui il soffocamento dell’apollineo rispetto al dionisiaco, il quale deve essere soppresso, controllato e represso. Così facendo Trier erge a motivo narrativo la tesi nietzschiana e ricerca la dimensione di senso in un’atmosfera sessuale a tratti perversa. Joe soffre per la presenza sociale e costante dell’apollineo e il dionisiaco – l’abbandonarsi sessuale in questo caso – è una via di fuga. La spinta vitale non deve esaurirsi e ciò è possibile solo mediante il piacere animalesco (si vedano i parallelismi con gli animali tipici di Trier).
Nietzsche e il cinema – Melancholia (2011)
Altro film di Lars Von Trier, Melancholia si qualifica come un’opera estremamente accurata e pensata. Anche qui, così come in Nymphomaniac, il tema narrativo è rappresentato dal dualismo tra due personaggi: le sorelle Justine (Kirsten Dunst) e Claire (Charlotte Gainsbourg). Dualismo al pari del contrasto tra apollineo e dionisiaco, il quale emerge dai caratteri diversi delle due donne. Infatti se il pessimismo è interpretato da Justine, dall’altro lato l’apertura vitale e l’attitudine materna è raffigurata da Claire.
Qui apollineo e dionisiaco vengono visti tuttavia sotto una lente diversa e si costituisce un dialogo sulla depressione nella tensione tra i due momenti nietzschiani. Apollineo e dionisiaco sono facce di un problema più esteso, cioè un male di vivere dove sesso e ordine costituiscono elementi necessari, ma non sufficienti. Infine la sintesi nietzschiana viene ripresa anche musicalmente dalla ripetizione costante del pezzo wagneriano di Tristano e Isotta.
Nietzsche e il cinema: il nichilismo
Deserto rosso (1964)
Leone d’Oro al miglior film nel 1964, Deserto rosso è indubbiamente uno delle opere migliori della filmografia di Michelangelo Antonioni. Egli, narrandoci la storia di una donna borghese, ossia Giuliana (Monica Vitti), decide di mettere in luce la vacuità del mondo borghese moderno. Una vuotaggine tipica della concezione nietzschiana del nichilismo e che il lungometraggio riprende apertamente. Ciò si sussume dal parallelismo della definizione del concetto nichilista tra Nietzsche e Antonioni. Se il primo infatti teorizza il nichilismo come “volontà del nulla”, cioè come l’attitudine cristiana di porre ragioni dell’Essere al di fuori del mondo terrestre, il secondo allo stesso modo fa dire a Giuliana: “C’è qualcosa di terribile nella realtà, e io non so cos’è. Nessuno me lo dice”.
Quest’affermazione riprende quindi il nulla, che anche il termine nichilismo identifica nella sua etimologia latina da nihil. Inoltre la sofferenza di Giuliana, l’incomprensione del marito Ugo (Carlo Chionetti) e l’empatia di Zeller (Richard Harris) completano il quadro nichilista. Nella macchina cinema, così come nella vita per Nietzsche, la protagonista affronta la paura: la paura del nulla. Quel nulla borghese che solo la protagonista, avulsa al contesto mondano occidentale e moderno, riesce a cogliere e che è appunto la mancanza di valori superiori o eterni, i quali sono alla base anche del platonismo. In tal modo Antonioni, descrivendo il disagio interiore di una donna moderna, fa emergere lo spaesamento tipico dell’assenza di un sistema valoriale e la sua continua, ma futile, ricerca.
Blow Up (1967)
Capolavoro secolare di Antonioni, Blow Up appare come una summa filosofica dell’arte, la quale tratteggia domande e risposte metafisiche fondamentali nel mondo moderno. Focalizzandosi sull’essere e il nulla, il regista ferrarese in Blow Up recupera anche il concetto nichilista di Nietzsche e lo trasporta al cinema. Tuttavia pochi nelle retrospettive hanno accennato a questa componente filosofica dell’opera e probabilmente lo hanno fatto in virtù di uno scetticismo nei confronti del critico/drammaturgo Carey Harrison. Questi prima di tutti aveva individuato nel finale la natura nichilista del film, che si percepisce nell’indagine investigativa e conoscitiva del reale.
Ora il fotografo Thomas (David Hammings), protagonista dell’opera, è la concettualizzazione della tensione tra la realtà e la sua rappresentazione. Una realtà che però è vista come sfuggente e posta su basi intellegibili e universali, cioè le stesse ragioni e gli stessi valori posti da Platone al di sopra del mondo terrestre. Evidenziando il dialogo uomo-spazio ed esasperando la profondità di campo, Antonioni riprende la vacuità del reale, facendo emergere nel finale tutto il nichilismo. Difatti non c’è un di più, ma c’e solo la finzione umana che personalizza la realtà e che non vuole ammettere il nulla dell’esistenza. Un nulla che sostanzialmente si deve tramutare in volontà di potenza e non volontà del nulla, che qui artisticamente viene tratteggiata dal neorealismo, la moda e la credenza pleonastica di cogliere il cosiddetto “noumeno” attraverso la manifestazione fenomenica.
The Addiction – Vampiri a New York (1995)
Diretto da Abel Ferrara, The Addiction rappresenta un film molto interessante. Infatti dietro ad una storia di vampiri, che molti potrebbero banalizzare e sminuire, si nasconde altresì una considerazione sul nichilismo nietzschiano. Ora il morso subito dalla studentessa di filosofia Kathleen Conklin (Lili Taylor) è un espediente per Ferrara per parlare di Nietzsche e della sua visione del mondo. Ciò si intravede dopo la trasformazione in vampiro della protagonista, la quale successivamente comprende il “male” come condizione connaturata all’individuo.
Con la metafora vampiresca Ferrara qui pone l’eterno dibattito tra cristianesimo e nichilismo, distruggendo l’etica e speculando sulla tematica religiosa. Si sviscerano così le implicazioni dell’anima ed anche le numerose stilizzazioni del cristianesimo, riuscendo poi a toccare altri temi nietzschiani come l’oltreuomo e la volontà di potenza. Nell’opera poi si sprecano le citazioni letterarie e i riferimenti culturali, i quali però non stonano ed anzi chiariscono spesso il discorso filosofico del lungometraggio.