Le scene più disturbanti della filmografia di David Lynch
Celebriamo uno dei registi più rivoluzionari dell’ultimo trentennio con le scene più disturbanti della sua filmografia
Autore di pellicole in cui dominano inquietudine e orrore, David Lynch ci ha regalato le scene più disturbanti della storia del cinema. Opere così contorte da non rientrare in un genere cinematografico preciso: il termine lynchiano è infatti sempre più utilizzato per identificare le pellicole che chiamano in causa i contenuti dell’inconscio. I film di Lynch, a metà tra realtà e dimensione onirica, ci permettono di esplorare un mondo assurdo e personale. Un mondo che in molti hanno provato a interpretare, senza riuscire però a decifrarne il senso profondo. Diverse volte è stato chiesto al regista di spiegare il significato dei suoi film, ma lui ha sempre risposto che questo dipende esclusivamente dall’occhio dello spettatore.
L’intento dei film di Lynch è realizzare opere che non siano facilmente identificabili, per creare nella mente di chi guarda una sensazione irrisolta di mistero. Immagini in cui regna un terrore assopito, che si trasforma in orrore assoluto a distanza di pochi frame. Data la sua capacità di spaziare nel genere, in questo articolo esploriamo quali sono le scene più disturbanti della sua filmografia. Ed è altamente consigliato guardare i suoi film nella loro interezza per poter apprezzare a pieno il flusso dissonante di ogni scena. Da Inland Empire a Rabbits, ecco le scene più disturbanti dei film di David Lynch.
Indice:
Le scene più disturbanti dai film cult di David Lynch
Eraserhead (1977) – L’uccisione del bambino
Uno dei debutti più originali della storia del cinema è sicuramente Eraserhead. L’inquietante lungometraggio girato in bianco e nero, ricco di sequenze oniriche e aperto a molteplici interpretazioni, vede una coppia costretta ad allevare un figlio mostruoso. La figura grottesca del bambino diventa puro simbolismo e acquisisce durante il film molteplici significati di disgusto e violenza.
Una delle scene più inquietanti è senza dubbio quella in cui il padre, Jack Nance, taglia le bende che tengono insieme le parti del figlio, rilevandone le interiora. Così, mentre il padre uccide il piccolo, si crea un disturbante pasticcio di interiora che assomigliano molto al tacchino nella scena dell’incipit. Il significato della scena apre a diverse interpretazioni: in molti pensano si tratti di una rappresentazione del rifiuto alla paternità, altri che sia un modo per salvare il bambino dal dolore dell’esistenza. Nel corso degli anni, Lynch si è sempre astenuto dal chiarire i dubbi sulla scena, in particolare quelle sul materiale usato per realizzare le interiora del bambino.
The Elephant Man (1980) – L’inizio
Considerato il più convenzionale dei suoi film, questo dramma storico racconta della vera storia di Joseph Merrick, un uomo inglese vissuto durante l’era vittoriana e affetto dalla Sindrome di Proteo; la malattia gli causò evidenti deformità nel corpo e nella testa, facendogli guadagnare il triste e offensivo appellativo di Uomo Elefante. Il ruolo del protagonista fu affidato a John Hurt (reduce dal successo di Alien), che fu affiancato dall’emergente Anthony Hopkins e Anne Bancroft. Il film si apre con una sequenza molto simile a Eraserhead, in cui la madre di Merrick viene calpestata da un branco di elefanti mentre le sue urla sono attutite. Alludendo alla bestialità e all’isteria violenta, questo film riuscì ad ottenere otto nomination all’Oscar, senza riuscire a vincerne nessuna.
The Elephant Man. Paramount Pictures
Blue Velvet (1986) – In Dreams
Caposaldo del cinema lynchiano, Blue Velvet racchiude tutte le tematiche care al regista, ed è qui che emerge l’uso anticonvenzionale della musica. Questa, infatti, diventa uno strumento per rivelare i temi nascosti e soprattutto l’identità dei personaggi. Una scena cult del film è quella in cui Jeffrey e Dorothy vengono violentemente portati da Frank, e da i suoi scagnozzi, nell’appartamento di un uomo di nome Ben; a quest’ultimo, Frank chiede di cantare una canzone in particolare.
Così Ben, usando una lampada come finto microfono, la cui luce illumina il viso truccato, comincia a cantare in playback In Dreams facendone una pantomima grottesca, mentre Frank col labiale ne mima le parole. Fu proprio grazie alla presenza di In Dreams nel film che Roy Orbison (l’autore della canzone) tornò alla ribalta, anche se non aveva autorizzato l’uso del brano. Quando vide che la canzone era stata accostata ad alcune scene piuttosto perverse, Orbinson ne fu davvero infastidito. Più avanti, però, rimase affascinato dal modo in cui Lynch aveva trasformatò la canzone, che raccontava di un amore perduto.
The Straight Story (1999) – Il cervo
Questo è il film più atipico della filmografia di David Lynch, che non manca di regalarci scene davvero disturbanti. Racconta la storia vera di Alvin Straight, un anziano contadino dell’Iowa che, nel ’94, a bordo del suo piccolo trattore tosaerba, affrontò un viaggio di sei settimane, percorrendo quasi 400 km per andare a trovare il fratello Lyle; questo aveva precedentemente avuto un infarto, a Mount Zion nel Wisconsin.
Il suo viaggio lo porterà ad incontrare persone che arricchiranno il senso e lo spessore del suo cammino, portando il personaggio ad affrontare un’evoluzione. Una scena in particolare risulta disturbante, grazie anche all’ausilio della musica. Alvin, durante il suo percorso, incrocia una donna visibilmente agitata che ha appena investito un cervo. La drammaticità di quest’ultima, in contrasto alla calma sul viso dell’anziano, richiamano all’astrazione tipica dei film del regista, riuscendo a trasmettere un senso di angoscia viscerale.
L’anti-serialità – Le scene più disturbanti dei film di Lynch
Twin Peaks (1990) – La prima apparizione di BOB
Il mondo delle serie tv prima di Twin Peaks si reggeva su certi dogmi, uno di questi era intrattenere sempre senza annoiare. Lynch, insieme a Mark Frost e Angelo Badalamenti, creò qualcosa che andava contro tali dogmi. In Twin Peaks infatti troviamo tempi lunghissimi, dialoghi apparentemente nonsense e personaggi improbabili, ma questo non ha inficiato il successo della serie. Una delle inquadrature più celebri è quella in cui Sarah Palmer ha un’allucinazione alla fine del primo episodio.
Il dolore della mamma di Laura si trasforma in terrore e, guardando in alto a destra, si scorge Bob riflesso sullo specchio. Un’immagine che Lynch non aveva calcolato: l’attore Frank Silva, infatti, era un assistente della troupe fino a quel momento. Lynch si convinse a sviluppare il personaggio da quel riflesso accidentale e, in quel momento, nacque uno dei personaggi più terrificanti di fine millennio. In ogni scena in cui è presente Bob, si propaga sullo schermo un’atmosfera parecchio disturbante.
Rabbits (2002) – I conigli guardano la tv
Rabbits consiste in una serie di 8 cortometraggi, scritti da Lynch per il web in digitale. Le riprese avvenivano di notte, su un set costruito nel suo cortile; nel cast figurano i protagonisti di Mulholland Drive. L’idea di fondo è quella della sitcom, con la frequente incursione di risate e di applausi da parte di un pubblico preregistrato. Ciò che rende il tutto disturbante è l’apparizione bizzarra di attori umani, che indossano teste di coniglio inespressive. Il risultato è tale che alcuni psicologi hanno utilizzato le immagini di questo film durante vari esperimenti, per indurre un senso di crisi esistenziale in alcuni pazienti. Di recente, Lynch ha rieditato la serie in una versione divisa in quattro parti e l’ha postata gratuitamente su Youtube.
Personaggi dell’immaginario di Lynch – Le scene più disturbanti
Lost Highway (1997) – L’Uomo Misterioso alla festa
Il neo-noir Lost Highway ha molti elementi horror, ma quello che spicca è la creazione di uno dei personaggi più memorabili del regista: l’Uomo Misterioso, interpretato da Robert Blake. Questa è sicuramente una delle figure più inquietanti di Lynch viste sullo schermo, che ci regala alcune scene davvero disturbanti. Una in particolare vede il protagonista, Fred Madison, incontrarsi con uomo dal volto strano e inquietante. Costui dà a Fred il suo cellulare e gli chiede di comporre il suo numero di casa.
Anche se non dovrebbe esserci nessuno a casa, alla chiamata risponde una voce che è esattamente la stessa dell’uomo. Per tutto il film, l’identità dell’Uomo Misterioso rimane segreta. Sicuramente il tema della trasfigurazione, tanto caro a Lynch, qui è probabilmente legato alle personalità multiple e questo personaggio ne è metafora.
Eraserhead (1977) – In Heaven, everything is fine
Ritorniamo su un’altra scena di Eraserhead, film ricco di scene inquietanti che sembrano uscite dritte da un incubo. La scena in questione è quella della signora nel termosifone, che canta su un palco con una voce confortante; ma le sue deformità fisiche sul suo viso, come in The Elephant Man, ci ricordano costantemente lo spaventoso mondo che Lynch ha costruito. Definito da lui stesso il film più spirituale tra tutti, Eraserhead rappresenta con efficacia la ricerca dell’assurdo. Basata su una brevissima sceneggiatura, dopo aver abortito il progetto di un corto dal titolo Gardenback, la pellicola fu girata in bianco e nero a Beverly Hills, in una tenuta di proprietà dell’American Film Institute. Come ormai è noto, Lynch allestì una sala di montaggio clandestina all’insaputa della produzione, arrivando a vivere sul set. Questo perché i problemi finanziari legati alla realizzazione del film portarono il regista a perdere la casa.
Inland Empire (2006) – Le scene più disturbanti dei film di Lynch
Un altro personaggio disturbante dell’immaginario collettivo lynchiano è il Phantom. In Inland Empire, il più sperimentale tra tutti i suoi film, c’è una scena in particolare che vede Laura Dern avvicinata proprio da Phantom, in un corridoio così stretto da sembrare un quadro di Magritte. In un clima claustrofobico, il Phantom si avvicina per poi deformarsi in volto con un effetto super cheap.
Lynch è maestro anche in questo, e riesce a renderlo disturbante grazie alla sensazione di terrore e impotenza installata ormai nello spettatore, e che permane nonostante il cambio di scene. Il film è la rappresentazione definitiva del tema dell’ossessione in tutte le sue sfaccettature, ed è stato girato senza un vero e proprio copione. Il regista ha infatti svelato di aver scritto molte delle scene durante le riprese. Questo ha arricchito la storia di scene bizzarre e astratte, ma ha anche reso il film il più criptico della sua filmografia.
Dune (1984) – Il Barone e i tappi cardiaci
Sebbene lo stesso Lynch abbia rinnegato Dune, non si può ignorare la produzione impressionante e il design dei personaggi, che sostengono questa epica fantascienza imperfetta. Il più grottesco tra tutti è il Barone Harkonnen. Crivellato di verruche, il tiranno fluttua per le stanze nella sua tuta antigravità, schiamazzando e urlando ordini incoerentemente. L’aspetto ripugnante del Barone è il perfetto rivale dell’eroismo netto di Paul Atreides (interpretato da Kyle MacLachlan), mentre entrambi cercano di ottenere il controllo di Arrakis. Una delle scene più disturbanti è quella in cui vengono strappati i tappi cardiaci al Barone, sistema che utilizzava lui stesso per torturare i nemici o gli schiavi umani. Si è ipotizzato che il tappo cardiaco possa far parte di un sistema di filtraggio interno del corpo, essenziale per vivere nel mondo fortemente inquinato di Giedi Prime.
Wild at Heart (1990) – Le scene più disturbanti dei film di Lynch
Palma D’Oro a Cannes nel 1990, Wild at Heart è un road movie erotico a tratti psicologico, in cui Lynch ridisegna l’immaginario statunitense; il film fu accolto inizialmente in maniera fredda da gran parte di critica e pubblico. La pellicola è un puzzle delirante, in cui gli elementi si compongono e scompongono su diversi piani temporali e sequenze. La performance di Diane Ladd nel ruolo di Marietta Fortune, madre psicopatica di Lula interpretata da Laura Dern (figlia di Diane nella vita reale), è una forza della natura. Una scena davvero disturbante è quella in cui la donna si copre il viso e le braccia di rossetto rosso, mentre parla maniacalmente al telefono con il personaggio di Harry Dean Stanton. In molti hanno parlato del simbolismo della scena, in cui il color rosso sangue del lipstick richiamerebbe l’omicidio compiuto proprio dalla donna.
I jumpscare nelle scene più disturbanti dei film di Lynch
Mulholland Drive (2001) – Il suicidio di Diane Selwyn
David Lynch torna al suo stile più personale con Mulholland Drive, per raccontare una bella metafora sul cinema. Il titolo prende il nome da una strada di Hollywood, e ruota intorno al personaggio di Rita (Laura Harring); in seguito a un incidente stradale, la donna perde la memoria e incontra un’attrice australiana di nome Betty (Naomi Watts), la quale tenta di aiutarla. Legato al cinema classico e incredibilmente rivoluzionario, questo è uno dei film imperdibili del regista.
Una sfida alla logica, un vero e proprio deragliamento onirico che riesce a svolgersi su tre piani: realtà, sogno e subconscio, che si intrecciano tra loro alla perfezione. Il finale, in particolare, ci regala una scena disturbante alla Lynch. Il film si conclude infatti con il suicidio dell’attrice fallita Betty, mentre tutto intorno a lei diventa destabilizzante. Perseguitata da terribili allucinazioni e persa in una tragicità delirante, la donna preme il grilletto e si uccide, lasciando il pubblico sbigottito.
Lost Highway (1997) – Fred si guarda sul nastro
Lost Highway è un film decisamente complesso, con una trama contorta e stratificata su più livelli. Segue le vicende di Fred Madison (Bill Pullman), un musicista jazz che convive con la sua ragazza Renee (Patricia Arquette). Il musicista, in preda ad un crollo mentale, comincia a dubitare della fedeltà della sua ragazza. Inoltre alla sua villa cominciano ad essere recapitate delle videocassette in bianco e nero: nella prima si vede la loro casa ripresa da fuori, mentre nella seconda c’è una sequenza lenta di immagini, che riprende l’ingresso nella stanza in cui i due protagonisti dormono (senza accorgersi di essere ripresi).
Nel film c’è una scena che colpisce, ed è quella in cui Fred guarda le strane videocassette, ignaro di cosa lo aspetta. Viene mostrata una scena simile a quelle viste in precedenza, apparentemente di normale sorveglianza domestica. Tuttavia, Lynch perfora rapidamente questo falso senso di sicurezza, mostrando Fred accanto al corpo massacrato di sua moglie. Fred non ha alcun ricordo dell’accaduto, ma le prove sono schiaccianti e lui è condannato a morire sulla sedia elettrica.
The Alphabet (1969) – Scena finale
The Alphabet, portato a termine quando il cineasta aveva appena ventidue anni, permette di comprendere a pieno l’evoluzione autoriale del regista. Sua opera seconda, dopo il misconosciuto Six Figures Getting Sick, il corto è un’immersione in un universo da incubo, dal quale non sembra esservi alcuna via d’uscita. L’idea, partorita dalla mente dell’allora moglie Peggy, nasce da un sogno fatto dalla medesima, protagonista delle scene in live action. Il corto gioca con l’animazione in stop-motion e mostra una bambina catatonica, i cui organi si lacerano all’apparire di lettere dell’alfabeto. Sul finale la bambina inizia a ripetere le lettere dell’alfabeto con un fare terribilmente inquietante; la scena ricorda The Ring (uscito molti anni dopo). Il corto rappresenta simbolicamente gli effetti negativi dell’educazione, e il blocco psicologico che può scaturire dalla fatica nell’apprendere l’alfabeto.
Mulholland Drive (2001) – Winkie’s Diner
Per finire, torniamo a parlare di Mulholland drive, e di una scena definita la più angosciante di sempre. Nella cornice troviamo due uomini (Justin Theroux e Patrick Fischer) che fanno colazione da Winkie’s Diner, dove uno di loro parla di un incubo che ha avuto. Nell’incubo, egli continua a vedere un uomo mostruoso in agguato, in un vicolo molto vicino alla tavola calda. Per essere rassicurati dal fatto che fosse solo un sogno, i due decidono di andare sul posto, solo per trovare lo stesso mostro dell’incubo. Secondo alcuni si tratta del più terrificante jumpscare – tecnica con cui si vuole sorprendere e spaventare lo spettatore – della storia del cinema. Nella scena però non succede nulla di così sconvolgente ed è questo il tratto distintivo di Lynch: lasciare che l’elemento inquietante sia costante pur senza esplodere, ricordandoci che il surreale è sempre dietro l’angolo.